Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.13735 del 22/05/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRECO Antonio – Presidente –

Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – rel. Consigliere –

Dott. CASTORINO Rosaria Maria – Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 12841/2017 R.G. proposto da:

N.R., quale titolare dell’omonima ditta individuale “RG CLIMA”

di N.R., rappresentato e difeso, per procura in calce al ricorso, dall’avv. Anna SCIFONI, presso il cui studio legale è

elettivamente domiciliata in Roma, alla via Savoia, n. 33;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, C.F. *****, in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, presso la quale è domiciliata in Roma, alla via dei Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 7468/40/2016 della Commissione tributaria regionale del LAZIO, Sezione staccata di LATINA, depositata il 25/11/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 27/02/2019 dal Consigliere Lucio LUCIOTTI.

RILEVATO

che:

1. Con la sentenza in epigrafe indicata la CTR accoglieva parzialmente l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate avverso la sentenza della CTP di Latina che aveva accolto il ricorso proposto da N.R., quale titolare della ditta individuale RG CLIMA, avverso l’avviso di accertamento per II.DD. ed IVA 2008. La Commissione d’appello, per quanto qui rileva, osservava che non era fondata l’eccezione di nullità dell’atto impositivo impugnato per difetto dei poteri del funzionario sottoscrittore; che nel merito doveva ritenersi fondato il gravame agenziale in ordine alla deduzione/detrazione IVA di cui alle fatture passive ricevute dal contribuente delle quali erano emittenti la P. Costruzioni s.r.l. e la P. s.r.l., trattandosi di società “cartiere” e quindi da ritenersi oggettivamente inesistenti le prestazioni (appalto) fatturate.

2. Avverso tale statuizione il contribuente propone ricorso per cassazione affidato a tre motivi, il secondo dei quali articolato in due diverse censure, cui replica l’intimata con controricorso.

3. Sulla proposta avanzata dal relatore ai sensi del novellato art. 380 bis c.p.c., risulta regolarmente costituito il contraddittorio, all’esito del quale il ricorrente ha depositato memorie.

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo di ricorso viene dedotta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, la violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, e l’omesso esame di un fatto decisivo e controverso, per avere la CTR ritenuto tardiva e comunque infondata l’eccezione di invalidità dell’avviso di accertamento impugnato per difetto della qualità funzionale occorrente (dirigente) del sottoscrittore.

2. Il motivo è inammissibile ed anche infondato.

2.1. Invero, non solo risulta che il contribuente non aveva posto la questione in primo grado, con conseguente manifesta infondatezza del mezzo di cassazione in esame, (in realtà la questione dell’inesistenza dell’atto impositivo per illegittimità della sottoscrizione risulta essere stata posta per la prima volta nella memoria di replica depositata in secondo grado in data 06/05/2016, che, all’evidenza, non può contenere domande o eccezioni nuove che comportino un ampliamento del thema decidendum – Cass. n. 15051 del 2014; n. 9637 del 2017), ma il ricorrente, in presenza di una statuizione di merito che rileva la tardività dell’eccezione di nullità dell’avviso di accertamento, “al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, ha l’onere”, nella specie non adempiuto, “non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, ma anche, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di controllare “ex actis” la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione stessa” (Cass. n. 1435 del 2013; conf. Cass. n. 23675 del 2013, n. 27568 del 2017).

2.2. A ciò aggiungasi che “Nel processo tributario, la nullità dell’avviso di accertamento non è rilevabile d’ufficio e la relativa eccezione, se non formulata nel giudizio di primo grado, non è ammissibile qualora venga proposta nelle successive fasi del giudizio” (Cass., Sez. 5, Sentenza n. 13126 del 24/06/2016, Rv. 640141 – 01) e che “In tema di contenzioso tributario, è inammissibile il motivo del ricorso per cassazione con cui si denunci un vizio dell’atto impugnato diverso da quelli originariamente allegati, censurando, altresì, l’omesso rilievo d’ufficio della nullità, atteso che nel giudizio tributario, in conseguenza della sua struttura impugnatoria, opera il principio generale di conversione dei motivi di nullità dell’atto tributario in motivi di gravame, sicchè l’invalidità non può essere rilevata di ufficio, nè può essere fatta valere per la prima volta in sede di legittimità” (Cass., Sez. 5, Sentenza n. 22810 del 09/11/2015, Rv. 637348 – 01).

2.3. La sentenza impugnata si è espressamente e correttamente adeguata ai principi di diritto espressi in tali arresti giurisprudenziali.

3. Con la prima censura del secondo motivo viene dedotta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, la violazione e falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 7, e del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, nonchè vizio motivazionale per avere la CTR sostanzialmente respinto, omettendone l’esame, l’eccezione di invalidità dell’atto impositivo impugnato per carenza di motivazione.

4. Correttamente la CTR ha omesso l’esame di un motivo che, benchè proposto con il ricorso introduttivo, il contribuente non ha riproposto in grado di appello, come era suo onere del D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 56, (Cass., Sez. 5, Sentenza n. 26830 del 18/12/2014, Rv. 634237 – 01; Sez. 5, Sentenza n. 29368 del 07/12/2017, Rv. 646235 – 01). Peraltro, come ripetutamente sancito da questa Suprema Corte, l’omessa pronuncia (che è sostanzialmente il vizio dedotto dal ricorrente), qualora cada su una domanda inammissibile, non costituisce vizio della decisione impugnata, nè rileva come motivo di ricorso per cassazione, in quanto alla proposizione di una tale domanda non consegue l’obbligo del giudice di pronunciarsi nel merito (cfr. Cass. n. 22784 del 2018, n. 24445 del 2010 e n. 12412 del 2006), pertanto la doglianza del ricorrente deve ritenersi infondata.

4.1. La censura in esame è in ogni caso inammissibile per difetto di autosufficienza, avendo il ricorrente del tutto trascurato di riprodurre il contenuto motivazionale dell’avviso di accertamento, così impedendo a questo Collegio il necessario vaglio di fondatezza della doglianza.

5. Con la seconda censura del secondo motivo viene dedotta la violazione e falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, per avere la CTR omesso di pronunciare sul motivo di invalidità dell’avviso di accertamento perchè emesso ante tempus rispetto al termine dilatorio previsto dalla citata disposizione statutaria.

6.1. Anche in relazione a tale censura va ribadito il principio appena sopra ricordato (cfr. Cass. n. 22784 del 2018, n. 24445 del 2010 e n. 12412 del 2006), pertanto la doglianza del ricorrente deve ritenersi infondata.

7. Con il terzo motivo viene dedotto, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, il vizio motivazionale della sentenza impugnata per avere la CTR omesso l’esame di un fatto decisivo e controverso.

8. Il motivo è inammissibile in quanto con esso il ricorrente, oltre ad omettere di indicare specificamente i fatti che la CTR avrebbe pretermesso, facendo generico riferimento nel motivo a quattro fatture emesse dalla P. Costruzioni s.r.l. e ad un contratto di appalto, che invece sono state oggetto di specifico esame da parte dei giudici di appello (sentenza, pag. 3), si richiede alla Corte una inammissibile rivalutazione delle risultanze processuali, id est un nuovo giudizio di merito (Cass. n. 16526 del 2016; n. 91 del 2014; n. 5024 del 2012; v. anche Cass., Sez. 5, Sentenza n. 25332 del 28/11/2014, Rv. 633335 – 01, secondo cui “Il giudizio di cassazione è un giudizio a critica vincolata, nel quale le censure alla pronuncia di merito devono trovare collocazione entro un elenco tassativo di motivi, in quanto la Corte di cassazione non è mai giudice del fatto in senso sostanziale ed esercita un controllo sulla legalità e logicità della decisione che non consente di riesaminare e di valutare autonomamente il merito della causa. Ne consegue che la parte non può limitarsi a censurare la complessiva valutazione delle risultanze processuali contenuta nella sentenza impugnata, contrapponendovi la propria diversa interpretazione, al fine di ottenere la revisione degli accertamenti di fatto compiuti”).

9. In estrema sintesi il ricorso va rigettato ed il ricorrente condannato al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.300,00 per compensi, oltre al rimborso delle spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 27 febbraio 2019.

Depositato in Cancelleria il 22 maggio 2019

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