Corte di Cassazione, sez. V Civile, Sentenza n.13742 del 22/05/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI IASI Camilla – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto Luigi C.G. – Consigliere –

Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. CASTORINA Rosaria Maria – rel. Consigliere –

Dott. D’OVIDIO Paola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 11435-2011 proposto da:

POSTE ITALIANE, SPA in persona del Procuratore e legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DELLA SCROFA 57, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE PIZZONIA, che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati GIUSEPPE RUSSO CORVACE, GIANCARLO ZOPPINI giusta delega a margine;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI PESCHIERA BORROMEO;

– intimato –

Nonchè da:

COMUNE DI PESCHIERA BORROMEO, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA FLAMINIA VECCHIA 785, presso lo studio dell’avvocato VALENTINA ADORNATO, rappresentato e difeso dall’avvocato FRANCESCO TESAURO giusta delega a margine;

– controricorrente incidentale –

contro

POSTE ITALIANE SPA;

– intimato –

avverso la sentenza n. 142/2010 della COMM. TRIB. REG. di MILANO, depositata il 26/10/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 06/11/2018 dal Consigliere Dott. ROSARIA MARIA CASTORINA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. STEFANO VISONA’ che ha concluso per il rigetto del ricorso principale, accoglimento dei motivi 10 e 11, rigetto ricorso incidentale;

udito per il ricorrente l’Avvocato RUSSO CORVACE che si riporta agli atti;

udito per il controricorrente l’Avvocato GRADARA per delega dell’Avvocato TESAURO che si riporta agli atti.

RITENUTO IN FATTO

Poste Italiane s.p.a. è proprietaria, nel Comune di Peschiera Borromeo di un fabbricato adibito a centro di smistamento della corrispondenza (c.m.p.) e di un’area parzialmente edificabile. L’accatastamento è avvenuto nel 2006. Poste Italiane non aveva mai presentato dichiarazione ICI e versato l’imposta.

Il Comune di Peschiera Borromeo notificava 5 avvisi di accertamento relativi ad ICI per il 2002, 2003, 2004, 2005 e 2006 per l’area fabbricabile (basati sul valore venale in comune commercio come da Delib. della Giunta Comunale n. 114 del 2000).

Poste Italiane impugnava gli avvisi proponendo separati ricorsi che venivano rigettati dalla CTP di Milano.

La CTR della Lombardia, riuniti gli appelli, con sentenza n. 142/06/10 li respingeva ad eccezione della contestazione sulla continuazione, rideterminando la sanzione complessivamente dovuta.

Poste Italiane s.p.a. ricorre per la cassazione della sentenza affidando il suo mezzo a undici motivi.

Resiste con controricorso il Comune di Peschiera Borromeo che propone ricorso incidentale al quale Poste Italiane s.p.a. resiste con controricorso.

RITENUTO IN DIRITTO

1. Con il primo motivo di ricorso la società deduce la nullità della sentenza impugnata nella parte in cui ha dichiarato l’inammissibilità dei documenti depositati con note del 19.7.2009 e la violazione del combinato disposto del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 18,53 e 58, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4. La ricorrente deduce che la CTR avrebbe errato nel dichiarare l’inammissibilità dei documenti “in quanto riferiti ad un profilo di motivo non dedotto in primo grado”.

1.a. La censura è inammissibile per difetto di specificità in quanto la ricorrente deduce che la documentazione prodotta in appello era il prospetto ricostruttivo del valore contabile del c.p., lo stralcio del bilancio di esercizio della società chiuso al 31.12.2005, la documentazione contabile attestante lo scorporo del valore del terreno da quello del fabbricato, senza riprodurre nemmeno in sintesi il contenuto dei documenti, nè il motivo di censura dell’atto impugnato ai fini della valutazione della erroneità della dichiarazione di inammissibilità.

Tale omissione si pone in contrasto con i principi sanciti dall’art. 366 c.p.c., comma 2, n. 6, e art. 369 c.p.c., comma 1, n. 4, i quali impongono al ricorrente, quando siano in gioco atti processuali ovvero documenti o prove orali la cui valutazione debba essere fatta ai fini dello scrutinio di un vizio di violazione di legge, ex art. 360 c.p.c., n. 3, di carenze motivazionali, ex art. 360 c.p.c., n. 5, o di un “error in procedendo”, ai sensi della medesima norma, nn. 1, 2 e 4, di indicarne il contenuto in ricorso e di indicarne l’esatta allocazione nel fascicolo d’ufficio o in quello di parte, rispettivamente acquisito o prodotto in sede di giudizio di legittimità. Tali principi valgono anche per la deduzione di “errores in procedendo”: questa Corte ha, infatti, precisato che, anche nel caso in cui vengano dedotti errori di tal fatta, rispetto ai quali il giudice di legittimità è anche giudice del fatto a cui è consentito l’esame diretto degli atti, tale esame è pur sempre circoscritto a quegli atti ed a quei documenti che la parte abbia specificamente indicato ed allegato, secondo le forme previste dagli artt. 366 e 369 c.p.c., (Cass. ex plurimis, Cass. 16167/ 2015, 16534/ 2015, 24481/2014, 8008/ 2014, 896/2014, Cass. Sez. Un. 8077 del 2012, cit.). La parte non è esonerata dal riportare, in seno al ricorso per cassazione, gli elementi ed i riferimenti atti ad individuare nei suoi termini esatti, e non genericamente, il vizio denunciato, in modo da consentire alla Corte di effettuare, senza compiere generali verifiche, il controllo del corretto svolgersi dell’iter processuale.

2. Con il secondo, il terzo e il quarto motivo di ricorso la ricorrente Poste Italiane deduce illegittimità della sentenza impugnata nella parte in cui ha respinto la doglianza della società afferente l’illegittimità dell’azione dell’Ente che avrebbe tassato due volte la stessa area lamentando un vizio di motivazione in relazione ad un fatto controverso e decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, un vizio di violazione e falsa applicazione del combinato disposto degli artt. 817 e 818 c.c., nonchè del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, art. 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, e un vizio di motivazione contraddittoria in relazione ad un fatto controverso e decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

2.a. Le censure possono essere trattate congiuntamente in quanto strettamente connesse. Esse non sono fondate.

La CTR con accertamento in fatto, insindacabile in questa sede, ha verificato che non sussisteva alcuna doppia imposizione in quanto, sebbene il Comune avesse emesso per le stesse annualità altri avvisi di accertamento ICI, essi riguardavano un diverso immobile, ossia un fabbricato adibito a centro meccanizzato posta (c.m.p.) che era stato assoggettato ad imposizione con riferimento al suo valore contabile (rivalutato) quindi con esclusione dell’area edificabile.

La CTR ha inoltre osservato “a nulla vale rilevare che i dati catastali indicati negli avvisi concernenti i due diversi immobili coincidono parzialmente, così come a nulla vale rilevare che nella perizia disposta dal Comune per la stima della rendita catastale del fabbricato si faccia riferimento per la descrizione dello stato dei luoghi all’area scoperta con vincolo di uso pubblico, atteso che l’imponibile concernente gli avvisi relativi al fabbricato è dato dal suo valore di libro, come è chiaramente specificato nella motivazione dei relativi avvisi….” fatto mai contestato dalla ricorrente.

2.b. Correttamente la CTR ha escluso il vincolo di pertinenzialità.

Ai sensi del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, art. 1 comma 2, “Presupposto dell’imposta ICI è il possesso di fabbricati, di aree fabbricabili… siti nel territorio dello Stato, a qualsiasi uso destinati…”; ai sensi dell’art. 2, comma 1, lett. a): “Ai fini dell’imposta di cui all’art. 1:…..per fabbricato si intende l’unità immobiliare iscritta o che deve essere iscritta nel catasto edilizio urbano, considerandosi parte integrante del fabbricato l’area occupata dalla costruzione e quella che ne costituisce pertinenza…”;

della lett. b): “Ai fini dell’imposta di cui all’art. 1: per area fabbricabile si intende l’area utilizzabile a scopo edificatorio in base agli strumenti urbanistici generali o attuativi…”.

Poichè un’area non è oggetto di ICI se è pertinenza di un fabbricato, ma è oggetto di ICI se è fabbricabile bisogna stabilire quale sia il rapporto tra edificabilità e pertinenzialità del medesimo bene. La giurisprudenza della Corte al riguardo si è orientata nel senso che “il D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, art. 2, comma 1, lett. a), fornendo, ai fini dell’imposta, la nozione di fabbricato ed escludendo l’autonoma tassabilità della relativa area pertinenziale, assoggettata al regime del bene principale, presuppone l’accezione di pertinenza di cui all’art. 817 c.c., rendendo irrilevante il regime di edificabilità che lo strumento urbanistico a quell’area attribuisca, di guisa che, quando nella medesima porzione immobiliare coesistano accessorietà ed edificabilità, l’effetto attrattivo che discende dal vincolo di asservimento rende ininfluente l’altra destinazione, siccome attinente a fini estranei al rapporto con la cosa principale considerata dalla norma tributaria” (Corte di cassazione 25 marzo 2005, n. 6501, preceduta, nello stesso senso, dalle sentenze: 23 settembre 2004, n. 19161; 26 agosto 2004, n. 17035; 17 dicembre 2003, n. 19375). Si può aggiungere, a specificazione del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, art. 2, comma 1, che, delle due norme estraibili dalle lett. a) e b), quella (lett. b) che prevede l’imponibilità ICI dell’area fabbricabile è la regola, rispetto alla quale si pone come speciale, o, se si vuole, derogatoria, la non imponibilità ICI dell’area pertinenziale, anche se, secondo la giurisprudenza di questa Corte, essa sia edificabile.

L’attribuzione della qualità di pertinenza fonda sul criterio fattuale e cioè sulla destinazione effettiva e concreta della cosa al servizio o ornamento di un’altra, secondo la relativa definizione contenuta nell’art. 817 c.c.. Ne deriva che, per qualificare come pertinenza di un fabbricato un’area edificabile, è necessario che intervenga un’oggettiva e funzionale modificazione dello stato dei luoghi che sterilizzi in concreto e stabilmente lo “ius edificandi” e che non si risolva, quindi, in un mero collegamento materiale, rimovibile “ad libitum” (In applicazione del principio, la S.C. ha annullato con rinvio la sentenza della Commissione tributaria che aveva fondato la prova della natura pertinenziale di un’area edificabile rispetto ad un fabbricato industriale sul mero rilascio della concessione per la costruzione di una recinzione unica intorno al fabbricato ed al terreno edificabile, oggetto della pretesa fiscale)”; così Cass. 25027/09, nella cui motivazione, peraltro, si precisa che, come già chiarito in Cass. 19639/09, “al contribuente che non abbia evidenziato nella denuncia l’esistenza di una pertinenza non è consentito contestare l’atto con cui l’area (asseritamente) pertinenziale viene tassata deducendo solo nel giudizio la sussistenza del vincolo di pertinenzialità” conformi, Cass. 22844/10 e Cass. 22128/10, nella quale ultima si precisa altresì che “l’esclusione dell’autonoma tassabilità delle aree pertinenziali, prevista dal D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, art. 2, si fonda sull’accertamento rigoroso dei presupposti di cui all’art. 817 c.c., desumibili da concreti segni esteriori dimostrativi della volontà del titolare, consistenti nel fatto oggettivo che il bene sia effettivamente posto, da parte del proprietario del fabbricato principale, a servizio (o ad ornamento) del fabbricato medesimo e che non sia possibile una diversa destinazione senza radicale trasformazione, poichè, altrimenti, sarebbe agevole per il proprietario al mero fine di godere dell’esenzione creare una destinazione pertinenziale che possa facilmente cessare senza determinare una radicale trasformazione dell’immobile stesso”.

E’ incontestato che nell’anno di imposta per cui è causa il preteso asservimento dell’area in questione al fabbricato adibito a centro di smistamento della corrispondenza non è stato esplicitato, non avendo la società mai presentato la dichiarazione.

La CTR ha adeguatamente motivato sul punto, da un canto evidenziando che il vincolo pertinenziale non risultava dalla dichiarazione ICI e dall’altro evidenziando che Poste Italiane aveva manifestato l’intenzione di utilizzare tale area a scopo edificatorio avendo chiesto, nel 2001, la concessione edilizia per l’ampliamento del centro meccanografico”, concessione di cui aveva chiesto la proroga più volte, con ciò dimostrando chiaramente di volere utilizzare lo ius edificandi.

3. Con il quinto motivo la ricorrente Poste Italiane deduce l’illegittimità della sentenza impugnata nella parte in cui ha respinto il motivo relativo alla illegittimità/erroneità della pretesa fiscale in quanto fondata su di un valore dell’area incongruo. Violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 59, comma 1, lett. g), e del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 5 comma 5, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

4. Con il sesto motivo la ricorrente Poste Italiane deduce l’illegittimità della sentenza impugnata nella parte in cui ha respinto il motivo relativo alla illegittimità/erroneità della pretesa fiscale in quanto fondata su di un valore dell’area incongruo. Motivazione insufficiente in ordine a un fatto controverso e decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5.

4.a. Le censure possono essere trattate congiuntamente.

Esse non sono fondate.

La decisione impugnata è coerente con la previsione di cui al D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 2, comma 1A, lett. b), così come interpretata dal preminente indirizzo giurisprudenziale di legittimità sulla nozione di edificabilità ai fini Ici.

Questa Corte ha affermato (Cass. Sez. Un. 25506/06, Cass. 26462/2017 Cass.11176/10; Cass. 20256/08; Cass. 19131/07ed altre in termini) che: a) la natura edificabile di un’area (ai fini dell’applicabilità del criterio di determinazione della base imponibile fondato sul valore venale) deve essere desunta dalla qualificazione ad essa attribuita nel piano regolatore generale adottato dal Comune, indipendentemente dall’approvazione dello stesso da parte della Regione, e dall’adozione di strumenti urbanistici attuativi (principio fissato – a seguito dell’entrata in vigore del D.L. n. 203 del 2005, art. 11 quaterdecies, comma 16, convertito con modificazioni dalla L. n. 248 del 2005, e del D.L. n. 223 del 2006, art. 36,comma 2, convertito con modificazioni dalla L. n. 248 del 2006, che hanno fornito l’interpretazione autentica del D.Lgs. n. 504 del 1992 cit., art. 2, comma 1A, lett. b); b) il D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 5, comma 5, nel prevedere che il valore dell’area fabbricabile debba essere costituito da quello venale in comune commercio, fa riferimento all’area complessivamente ed unitariamente interessata dalla modificazione urbanistica, senza che dalla base imponibile così determinata vengano scorporate porzioni di tale area, in ragione della diversa destinazione che esse possano eventualmente avere nell’ambito della realizzazione dell’intero processo edificatorio; c) la ricomprensione nella base imponibile altresì delle aree di urbanizzazione e di intervento c.d. “standard” risponde alla logica secondo cui, ai fini del concreto e proficuo esercizio dello jus aedificandi, è necessario che l’area sia urbanizzata; con la conseguenza che non si può non tenere conto dell’incidenza degli spazi riservati (secondo le prescrizioni dello strumento urbanistico attuativo) ad infrastrutture e servizi di interesse generale, ai quali sono finalizzate le opere di urbanizzazione.

Il D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 1, non ricollega il presupposto dell’imposta all’idoneità del bene a produrre reddito ovvero alla sua attitudine ad incrementare il proprio valore o il reddito prodotto, posto che, D.Lgs. n. 504 del 1992, ex art. 5, il valore dell’immobile assume rilievo ai soli fini della base imponibile e, quindi, della concreta misura dell’imposta; la diversità di destinazione delle porzioni interne alla suddetta area di intervento complessivamente ed unitariamente considerata è rilevante ma al diverso fine (non della “natura” – edificabile o meno – dell’area, bensì) del “valore venale” ad essa attribuibile secondo i parametri tutti di cui al del cit. D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 5, comma 5, (già SSUU 25506/06 cit. ebbero ad affermare che, ferma restando l’edificabilità dell’area “l’inapplicabilità del criterio fondato sul valore catastale dell’immobile impone peraltro di tener conto, nella determinazione della base imponibile, della maggiore o minore attualità delle sue potenzialità edificatorie, nonchè della possibile incidenza degli ulteriori oneri di urbanizzazione sul valore dello stesso in comune commercio”).

Da ciò consegue che, al fine di determinare in concreto la base imponibile, la valutazione dell’area medesima deve essere effettuata secondo il criterio del valore commerciale complessivo (non segmentato in ragione del valore attribuibile alle singole parti che la compongono), tenendo ben presenti i differenti livelli di edificabilità di queste ultime.

Quanto alla determinazione del valore, la censura è inammissibile poichè involge questioni di merito in ordine alla ritenuta correttezza del criterio di determinazione del valore delle aree, avendo la CTR motivato adeguatamene sul punto.

In particolare la CTR ha rilevato che il Comune aveva adottato una prima Delib. del consiglio comunale 14 aprile 2003, n. 31, e una successiva della Giunta comunale 18 luglio 2006, n. 56, con le quali erano stati determinati i valori venali dei terreni nella categoria D1 destinati al completamento degli impianti produttivi esistenti. Tali atti non sono stati impugnati.

4.c. La Corte di legittimità ha avuto modo di affermare il principio secondo cui, in tema di imposta comunale sugli immobili, la delibera con cui la giunta municipale provvede, ai sensi della L. n. 446 del 1997, art. 52, ad indicare i valori di riferimento delle aree edificabili, come individuati dall’ufficio tecnico comunale sulla base di informazioni acquisite presso operatori economici della zona, è legittima, costituendo esercizio del potere, riconosciuto al consiglio comunale dalla L. n. 446 cit., art. 59, lett. g), e riassegnato alla giunta dal D.Lgs. n. 267 del 2000, di determinare periodicamente e per zone omogenee i valori venali in comune commercio delle aree fabbricabili, al fine della delimitazione del potere di accertamento del comune qualora l’imposta sia versata sulla base di un valore non inferiore a quello predeterminato, e, pur non avendo natura imperativa, integra una fonte di presunzioni dedotte da dati di comune esperienza, idonei a costituire supporti razionali offerti dall’Amministrazione al giudice, ed utilizzabili, quali indici di valutazione, anche retroattivamente (Cass. n. 16620 del 05/07/2017; Cass. n. 15555 del 30/06/2010).

La CTR ha, inoltre, evidenziato che le circostanze dedotte dalla ricorrente (la vicinanza al *****, ad alcuni pozzi non meglio specificati e all’aeroporto di *****) non erano idonee a incidere sul valore venale del bene.

5. Con il settimo motivo la contribuente deduce l’illegittimità della sentenza impugnata nella parte in cui ha respinto il motivo relativo alla illegittimità/infondatezza parziale della pretesa fiscale in relazione all’area destinata a viabilità. Violazione e falsa applicazione del combinato disposto del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 2, comma 1, lett. B), e art. 5, comma 5, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

5.a. La censura non è fondata.

Dalla sentenza della CTR si evince che la superficie interessata è pari a mq 123826,15 di cui il Comune ha accertato l’edificabilità in relazione a mq 76517,00. Il Comune ha scorporato, dall’area complessivamente edificabile (mq 78.512,00), mq 1995,00 destinati a viabilità per effetto di una variante al PRG adottata nel 2002 e non l’ha considerata edificabile, ma a servizio della residua area edificabile. La CTR ha osservato che la valutazione dell’area era stata effettuata correttamente secondo il criterio del valore commerciale complessivo “prescindendo” dal diverso livello di edificabilità.

Sebbene la CTR usi impropriamente l’espressione “prescindendo”, dal tenore complessivo del ragionamento nonchè sulla base del rilievo successivo e cioè che “l’area edificabile è stata valutata nel suo complesso dal Comune che ha attribuito un determinato valore al mq, che poi è stato moltiplicato, senza possibilità di variazioni, per il numero di mq di ciascuna superficie” si comprende che la CTR ha ritenuto che l’area era stata complessivamente ed unitariamente valutata, “tenendo conto” delle modificazioni urbanistiche.

Tale statuizione appare coerente con la giurisprudenza di questa Corte in base alla quale in tema di ICI, il parametro per la determinazione del valore dell’area fabbricabile, fissato dal D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 5, comma 5, è quello del valore venale in comune commercio, sul quale necessariamente incide il diverso livello di edificabilità delle parti che compongono l’area fabbricabile. Ne deriva che la valutazione dell’area medesima deve essere effettuata secondo il criterio del valore commerciale complessivo (pur tenendo conto dei differenti livelli di edificabilità delle parti che la compongono) e non attraverso la sommatoria del valore commerciale di sue eventuali segmentazioni individuate in funzione della loro specifica edificabilità (Cass. 20256/2008).

6. Con l’ottavo motivo la ricorrente deduce l’illegittimità della sentenza impugnata nella parte in cui ha respinto il motivo relativo alla illegittimità delle sanzioni irrogate per difetto di motivazione nonchè per violazione dei criteri normativamente previsti per la loro determinazione. Violazione e falsa applicazione del combinato disposto del D.Lgs. n. 472 del 1997, artt. 7, 16, 17, e art. 3 Cost., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

7. Con il nono motivo la contribuente deduce l’illegittimità della sentenza impugnata nella parte in cui ha respinto il motivo relativo alla illegittimità delle sanzioni irrogate per difetto di motivazione nonchè per violazione dei criteri normativamente previsti per la loro determinazione. Motivazione insufficiente in ordine a un fatto controverso e decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

7.a. Le censure possono essere trattate congiuntamente.

Esse non sono fondate.

La CTR motivando adeguatamente sul punto ha rilevato che: “l’applicazione delle sanzioni nella misura massima era corretta ed aderente alla Delib. del consiglio comunale n. 41 del 1998, atteso che la società non ha mai presentato dichiarazione ICI, nè pagato l’imposta producendo perdita di gettito per gli anni passati non più accertabili e stante l’elevato importo evaso”.

Non sembra riscontrabile nella fattispecie quella giustificabile incertezza circa la portata applicativa delle norme che giustifica, a mente del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 8, la non applicabilità delle sanzioni. Invero dal combinato disposto del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 1, comma 2, e art. 2, comma 1, lett. b), emerge in modo inequivocabile l’imponibilità a fini ICI delle superfici edificabili, per tali intendendosi le aree utilizzabili a scopo edificatorio in base agli strumenti urbanistici generali o attuativi. Nella fattispecie, poi, non può essere revocata in dubbio la destinazione del terreno in questione ad opera del vigente P.R.G. Nè può rilevare nel senso della non tassabilità la previsione di cui al D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 2, comma 1, lett. a), che ricomprende nella nozione di fabbricato l’area occupata dalla costruzione e quella che ne costituisce pertinenza proprio per l’impossibilità di riconoscere all’area de qua natura di pertinenza…”

In base alla giurisprudenza di questa Corte (sentenze 28 novembre 2007, n. 24670, e 21 marzo 2008, n. 7765): a) “Le sanzioni non sono comunque irrogate quando la violazione dipende da incertezza normativa oggettiva tributaria, cioè dal risultato equivoco dell’interpretazione delle norme tributarie accertato dal giudice, anche di legittimità”; b) l’incertezza normativa oggettiva tributaria è la situazione giuridica oggettiva, che si crea nella normazione per effetto dell’azione di tutti i formanti del diritto, tra cui in primo luogo, ma non esclusivamente, la produzione normativa, e che è caratterizzata dall’impossibilità, esistente in sè ed accertata dal giudice, d’individuare con sicurezza ed univocamente, al termine di un procedimento interpretativo metodicamente corretto, la norma giuridica sotto la quale effettuare la sussunzione di un caso di specie ultima o, se si tratta del giudice di legittimità, del fatto di genere già categorizzato dal giudice di merito; c) solo in questo senso oggettivo, con esclusione di qualsiasi rilevanza sia delle condizioni soggettive individuali sia delle condizioni soggettive categoriali, l’incertezza normativa, in quanto esiste in sè, opera nei confronti di tutti; d) l’incertezza normativa oggettiva non è in alcun modo rapportabile, non solo ad un singolo soggetto, cioè ad un soggetto di specie ultima, ma a nessuna classe di soggetti, cioè a nessuna categoria, perchè essa è, invece, rapportabile solo allo stesso ordinamento giuridico cui appartiene la normazione da interpretare: l’incertezza normativa è oggettiva, perchè essa esiste in sè ed è rilevante in sè, in quanto impossibilità di stipulare una convenzione interpretativa delle norme, con la conseguente necessità dell’intervento autoritativo del giudice; e) l’incertezza normativa oggettiva non ha il suo fondamento nell’ignoranza giustificata, ma nell’impossibilità, abbandonato lo stato d’ignoranza, di pervenire comunque allo stato di conoscenza sicura della norma giuridica tributaria.

La infondatezza della censura relativa all’incertezza normativa oggettiva risulta, invero, dalla totale mancanza dell’indicazione, ad opera della contribuente nel corso del giudizio di merito di qualsiasi fatto al quale far risalire l’incertezza normativa.

La valutazione della congruità della sanzione nella misura massima, così come motivata, si sottrae al sindacato di questa Corte.

8. Con il decimo motivo di ricorso Poste Italiane s.p.a. deduce nullità della sentenza impugnata nella parte in cui ha respinto il motivo relativo alla illegittimità delle sanzioni per indebita applicazione della recidiva. Violazione del combinato disposto del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57, e art. 112 c.p.c.. Lamenta in particolare che la CTR avrebbe ritenuto inammissibile, perchè circostanza nuova, la deduzione della mancanza di prova che la violazione fosse stata fatta dallo stesso soggetto persona fisica che aveva commesso le analoghe violazioni.

8.a. La censura è inammissibile sebbene debba essere corretta la motivazione della CTR.

Secondo l’insegnamento di questa Corte “E’ ammissibile l’impugnazione con la quale l’appellante si limiti a dedurre soltanto vizi di rito avverso una pronuncia che abbia deciso anche nel merito in senso a lui sfavorevole, solo ove i vizi denunciati comporterebbero, se fondati, una rimessione al primo giudice ai sensi degli artt. 353 e 354 c.p.c.; nelle ipotesi in cui, invece, il vizio denunciato non rientra in uno dei casi tassativamente previsti dai citati artt. 353 e 354 c.p.c., è necessario che l’appellante deduca ritualmente anche le questioni di merito, con la conseguenza che, in tali ipotesi, l’appello fondato esclusivamente su vizi di rito è inammissibile, oltre che per un difetto di interesse, anche per non rispondenza al modello legale di impugnazione”. (Cass. 2053/2010).

Nella specie la ricorrente non aveva alcun interesse a dimostrare che la contestazione della violazione fosse stata fatta alla stessa persona fisica che aveva commesso analoghe violazioni, essendo del tutto irrilevante la circostanza in considerazione del fatto che Poste Italiane s.p.a. è una persona giuridica.

Con il D.L. 30 settembre 2003, n. 269, convertito nella L. 24 novembre 2003, n. 326, è stata introdotta la regola della applicabilità delle sanzioni amministrative tributarie alla sola persona giuridica e non più alla persona fisica autrice o coautrice della violazione (art. 7). La riforma del sistema comporta che il carattere afflittivo delle sanzioni amministrative tributarie non esige più l’applicazione delle stesse soltanto in capo alla persona fisica autrice materiale dell’illecito. In questo senso è stata modificata la riforma tributaria del sistema sanzionatorio realizzata col D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, che, accogliendo il modello penalistico di sanzione, aveva optato per l’applicabilità della stessa esclusivamente in capo all’autore materiale dell’illecito (art. 2, comma 2), secondo la impostazione già adottata in sede di riforma delle sanzioni amministrative (L. 6 novembre 1981, n. 689).

9. Con l’undicesimo motivo Poste Italiane s.p.a. deduce l’illegittimità della sentenza impugnata nella parte in cui ha respinto il motivo relativo alla illegittimità delle sanzioni per indebita applicazione della recidiva. Violazione e falsa applicazione del combinato disposto della L. 23 dicembre 1996, n. 662, art. 3, comma 133, lett. f), del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 7, comma 3, e art. 99 c.p., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.. Lamenta che la CTR avrebbe erroneamente ritenuto l’applicabilità della recidiva nonostante nessuna delle precedenti violazioni fosse stata accertata con sentenza definitiva, muovendo il suo rilievo sulla base del sistema sanzionatorio penale che impone, per l’applicazione della recidiva, un accertamento giudiziale definitivo.

9.a. La censura è fondata per quanto di ragione.

La recidiva in materia tributaria è disciplinata del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 7, comma 3.

La norma, nel testo vigente ratione temporis, prevedeva: “La sanzione può essere aumentata fino alla metà nei confronti di chi, nei tre anni precedenti, sia incorso in altra violazione della stessa indole non definita ai sensi degli artt. 13, 16 e 17, o in dipendenza di adesione all’accertamento. Sono considerate della stessa indole le violazioni delle stesse disposizioni e quelle di disposizioni diverse che, per la natura dei fatti che le costituiscono e dei motivi che le determinano o per le modalità dell’azione, presentano profili di sostanziale identità”.

Nella specie è incontestato che le medesime violazioni fossero state contestate nei tre anni precedenti e la CTR ha ritenuto sussistere il presupposto per l’applicazione della recidiva nella quantificazione della sanzione ICI, senza verificare se le precedenti violazioni fossero state definitivamente accertate o non fossero state oggetto di impugnazione.

9.b. Lo stesso D.Lgs., all’art. 12, detta le disposizioni in materia di concorso di violazioni e continuazione. Al proposito, l’art. 12, comma 2, prevedeva che fosse soggetto al cumulo giuridico delle sanzioni “chi, anche in tempi diversi, commette più violazioni che, nella loro progressione, pregiudicano o tendono a pregiudicare la determinazione dell’imponibile ovvero la liquidazione anche periodica del tributo”. La norma ha rimosso il previgente regime del cumulo materiale disponendo l’applicazione della sanzione che dovrebbe infliggersi per la violazione più grave, aumentata da un quarto al doppio. A differenza dell’art. 81 cpv. c.p., l’art. 12, comunque ispirato alla disciplina penalistica, non prevede la ricorrenza del medesimo disegno tipico della continuazione di reati, privilegiando invece il profilo oggettivo della vicenda. L’interruzione della continuazione (art. 12, comma 6), preclude l’applicazione del trattamento sanzionatorio di favore previsto dall’art. 12, comma 1, dal momento in cui l’agente abbia avuto contezza della contestazione relativa alla illiceità del comportamento, ossia quando l’amministrazione si sia attivata per comunicare all’autore le verificate violazioni. Di conseguenza, il soggetto potrà beneficiare del cumulo giuridico per tutte le violazioni antecedenti alla comunicazione, tornando invece operante la separata valutazione per quelle successive.

L’art. 12, comma 5, nel testo vigente ratione temporis prevedeva che “Quando violazioni della stessa indole vengono commesse in periodi di imposta diversi, si applica la sanzione base aumentata dalla metà al triplo.

Se l’ufficio non contesta tutte le violazioni o non irroga la sanzione contemporaneamente rispetto a tutte, quando in seguito vi provvede determina la sanzione complessiva tenendo conto delle violazioni oggetto del precedente provvedimento. Se più atti di irrogazione danno luogo a processi non riuniti o comunque introdotti avanti a giudici diversi, il giudice che prende cognizione dell’ultimo di essi ridetermina la sanzione complessiva tenendo conto delle violazioni risultanti dalle sentenze precedentemente emanate”…..

9.c. Il D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 7, comma 3, e art. 12, prevedono la compatibilità tra la “recidiva” in materia tributaria e la continuazione.

In particolare tanto l’art. 7, comma 3, che l’art. 12, comma 5, fanno espressamente riferimento a “violazioni della stessa indole” reiterate nel tempo.

L’astratta compatibilità tra i due istituti impone di valutare il fondamento della recidiva e della continuazione nel sistema tributario (tanto più alla luce della modifica, in vigore dal 1.1.2016 sebbene non applicabile a questo giudizio ratione temporis, del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 7m comma 3, operata dal D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 158, che ha previsto l’obbligatorietà dell’applicazione della recidiva).

La questione della compatibilità e la contestuale coniugabilità di diversi valori e riferimenti non è dato pretorio, bensì è voluta dalla legge, la quale dunque ha, per criterio interpretativo dogmatico, ben considerato le differenze di struttura ontologica dei due istituti, ovvero la diversa considerazione dei fatti che essi suppongono.

Il cumulo giuridico rappresenta, infatti, un beneficio che discende dalla sostanziale unitarietà della trasgressione; la recidiva, al contrario, punisce con più rigore chi si ostini a commettere consecutivamente la stessa violazione. A dispetto dell’espressione “stessa indole”, usata con disinvoltura dal legislatore all’art. 7 ed all’art. 12, le prospettive dei due istituti sono completamente diverse e non possono essere sovrapposte in maniera acritica.

Ciò trova, del resto, autorevole conferma nella giurisprudenza della Cassazione penale, in parte già richiamata (Cass. 9148/1996; Cass.49658/2014; Cass.21043/2018), secondo cui il trattamento sanzionatorio più mite è giustificato dal minor disvalore sociale associato al reato continuato.

Non appare dirimente, tuttavia, il riferimento al sistema della recidiva penale il quale presuppone, in coerenza con la presunzione di non colpevolezza, un accertamento giudiziale definitivo della responsabilità. Invece l’azione amministrativa per sua natura si fonda sulla presunzione di legittimità del suo atto e su questa la autoritarietà e la esecutività immediata del suo agire organizzativo. In altri termini, le due recidive, al di là delle assonanze logiche dovute all’operare in entrambe del rilievo del precedente, sono predisposte a tutela di diverso valore e di distinti riferimenti costituzionali. Essendo la esecutività dell’atto amministrativo sussistente fino a che esso non venga dichiarato invalido o revocato, e dunque i suoi effetti permanenti nel mondo del diritto fino a quel momento, ed essendo invece la condanna del giudice penale pienamente efficace nei suoi riflessi sostanziali solo a giudicato intervenuto.

9.d. Notevoli difficoltà derivano all’interprete, come si è visto dall’utilizzo dell’espressione “stessa indole” sia in tema di recidiva, sia in tema di violazione ultrannuale.

L’art. 7, comma 3, infatti, presenta un’importante differenza rispetto alle norme previgenti sulla recidiva, rispettivamente contenute nel D.P.R. n. 600 del 1973, art. 54, comma 2, e nel D.P.R. n. 633 del 1972, art. 49, comma 2: mentre queste ultime configuravano la recidiva nei confronti di chi, nei tre anni precedenti, fosse incorso in un’altra violazione della stessa indole, per la quale fosse stata inflitta la pena pecuniaria, la nuova norma sembra prescindere dall’intervento di una contestazione o irrogazione tra la prima violazione e le successive.

Ciò assume rilievo ai fini della compatibilità tra recidiva e cumulo giuridico delle sanzioni: se infatti la recidiva non necessitasse di una precedente irrogazione definitiva di sanzioni, essa non sarebbe mai applicabile unitamente alla continuazione la quale, viceversa, è interrotta dalla punizione delle violazioni pregresse.

Se, pertanto, si individuasse il fondamento della recidiva nella reiterazione di una violazione, contestata ma non definitivamente accertata, la compatibilità tra i due istituti non potrebbe essere ritenuta. Lo escluderebbe l’unificazione dovuta al vincolo della continuazione cui sono soggette violazioni della stessa indole commesse in periodi di imposta diversi. L’incompatibilità tra tali istituti sarebbe determinata dalle loro differenti strutture logiche. Infatti l’unicità delle violazioni della stessa indole si contrappone, in via di principio, alla pluralità di violazioni che fungono da presupposto della recidiva.

Se invece si afferma, come ritiene questo Collegio che la recidiva si fonda sulla sussistenza di un precedente accertamento definitivo la preclusione costituita dall’inserimento nella vicenda della continuazione viene meno: il soggetto può ben aver commesso più violazioni della stessa indole ed è in tal caso possibile tener conto contemporaneamente delle valutazioni operate dal legislatore corrispondenti alla continuazione e alla recidiva.

Il compimento di un’altra violazione incarnante il superamento di quel momento di valore rappresentato dall’accertamento giudiziale della violazione (o dalla definitività della stessa per mancata impugnazione) potrà coniugarsi col disvalore proprio della perpetrazione di una ripetuta condotta di violazioni della stessa indole.

Consegue che, per giustificare la recidiva, nel sistema delineato dal del D.Lgs. n. 472 del 1992, art. 7, comma 3, e art. 12, comma 5, è necessario, quanto alla azione amministrativa e dunque al rilevo fiscale, che la violazione sia stata definitivamente accertata dal Giudice Tributario, ovvero sia divenuta definitiva per la mancata impugnazione della contestazione della violazione.

9.e. L’undicesimo motivo del ricorso principale deve essere, conseguentemente accolto e affermato il seguente principio di diritto: la recidiva di cui al D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 7, comma 3, può essere applicata quando le violazioni antecedenti quella della cui sanzione si controverte risultano definitivamente accertate dal giudice Tributario o siano divenute definitive per mancata impugnazione della contestazione della violazione.

10. Con il motivo di ricorso incidentale il Comune di Peschiera Borromeo deduce violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 7, comma 3, in quanto la CTR ha ritenuto di applicare sia la recidiva sia la continuazione, ma ha erroneamente determinato la sanzione.

10.a. La censura va esaminata alla luce di quanto affermato in relazione al motivo n. 11 e al principio di diritto ivi affermato.

Si evince dalla motivazione che la CTR ha ritenuto sussistere i presupposti per l’applicazione tanto della recidiva che della continuazione ed ha applicato la continuazione sulla sanzione più grave afferente l’anno 2006 (Euro147.210,00) senza prima operare l’aumento per la recidiva.

La CTR avrebbe dovuto previamente accertare se le violazioni precedentemente contestate fossero definitive ai fini della recidiva e commisurare la sanzione tenendo conto sia della recidiva che della continuazione in caso di risposta positiva oppure determinare la sanzione applicando solo la continuazione. A tanto provvederà il giudice di rinvio.

La sentenza deve essere, pertanto, cassata con rinvio alla CTR della Lombardia, in diversa composizione la quale si atterrà ai principi di diritto sopra affermati e provvederà anche sulle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie l’undicesimo motivo di ricorso e il ricorso incidentale per quanto di ragione; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla CTR della Lombardia in diversa composizione anche per le spese del presente giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 6 novembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 22 maggio 2019

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