LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Presidente –
Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –
Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –
Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –
Dott. FICHERA Giuseppe – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 14019/2012 R.G. proposto da:
Agenzia delle Entrate, (C.F. *****), in persona del direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocatura generale dello Stato, elettivamente domiciliata presso i suoi uffici in Roma via dei Portoghesi 12.
– ricorrente –
contro
Etnall s.p.a., (C.F. *****), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avv. Vincenzo Taranto, elettivamente domiciliata presso il suo studio, in Catania via Aldebaran 21.
– controricorrente –
Avverso la sentenza n. 113/18/2011 della Commissione Tributaria Regionale della Sicilia, sezione staccata di Catania, depositata il 14 aprile 2011.
Sentita la relazione svolta all’udienza del 13 novembre 2018 dal Consigliere Giuseppe Fichera.
Udite le conclusioni del Sostituto Procuratore Generale Stefano Visonà, che ha chiesto l’accoglimento del primo motivo del ricorso e il rigetto del secondo, terzo e quarto motivo.
Udito l’avv. Massimo Bachetti per la ricorrente.
FATTI DI CAUSA
Etnall s.p.a. impugnò separatamente due avvisi di accertamento notificati dall’Agenzia delle Entrate, con cui vennero ripresi a tassazione maggiori redditi ai fini IRPEG, IRAP ed IVA per l’anno d’imposta 2003, sull’assunto dell’esistenza di maggiori ricavi, di costi e altri oneri non deducibili e di IVA non detraibile.
Il primo ricorso della contribuente venne accolto solo parzialmente, con l’annullamento dell’atto impugnato in relazione ad una parte dei maggiori ricavi accertati, ai costi non riconosciuti e all’IVA indebitamente detratta, mentre il secondo venne integralmente accolto con annullamento dell’avviso di accertamento.
Proposti separati appelli dall’Agenzia delle Entrate, la Commissione Tributaria Regionale della Sicilia, sezione staccata di Catania, disposta la riunione dei giudizi, con sentenza depositata il 14 aprile 2011, li respinse entrambi.
Avverso la detta sentenza, l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione affidato a quattro motivi, cui resiste con controricorso Etnall s.p.a..
Le parti hanno depositato memorie ex art. 378 c.p.c..
RAGIONI DELLA DECISIONE
1 Con il primo motivo l’Agenzia delle Entrate lamenta violazione del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 55, in quanto la commissione tributaria regionale ha ritenuto erroneamente che il contributo in conto capitale ricevuto per l’anno 2003 potesse essere contabilizzato, ai fini della formazione del reddito, nell’esercizio successivo.
1.2. Il motivo è infondato, considerato che il D.P.R. n. 917 del 1986, art. 55, – nel testo ratione temporis applicabile, precedente alla riforma del 2004 – fa rientrare nei redditi d’impresa (comma 3, lett. b), i proventi in denaro o in natura conseguiti a titolo di contributo, soggiungendo che “Tali proventi concorrono a formare il reddito nell’esercizio in cui sono stati incassati o in quote costanti nell’esercizio in cui sono stati incassati e nei successivi ma non oltre il quarto”.
E nella vicenda all’esame risulta che la società ha incassato il contributo nell’anno 2004 e, quindi, in quell’esercizio lo ha correttamente contabilizzato, restando esclusa qualsivoglia violazione della suddetta norma.
2. Con il secondo motivo assume violazione dell’art. 2697 c.c., del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 598, nonchè del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, in quanto il giudice di merito non ha considerato che spettava al contribuente l’onere di dimostrare l’esistenza dei presupposti per ottenere la deduzione dei costi sostenuti.
2.1. Il motivo è inammissibile in quanto, per un verso, addirittura omette di indicare le specifiche norme che sarebbero state violata dal giudice di merito, invocando genericamente la falsa applicazione di un intero testo normativo e, per altro verso, non coglie la ratio decidendi del provvedimento impugnato, in quanto, a differenza di quanto affermato dalla ricorrente, la CTU ha ritenuto che la contribuente, come era suo preciso onere, avesse dimostrato di avere sostenuto, tramite la documentazione prodotta, taluni costi di manutenzione e riparazione in relazione all’attività d’impresa svolta.
3. Con il terzo mezzo lamenta la violazione del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 76, comma 7-bis e 7-ter, nonchè della L. 21 novembre 2000, n. 342, art. 1, avendo la commissione regionale ritenuto erroneamente deducibili le spese e le altre componenti negative derivanti da operazioni intercorse con imprese domiciliate in stati non appartenenti all’Unione Europea, ma a fiscalità privilegiata (la c.d. black list).
3.1. Il motivo è inammissibile, in quanto la ricorrente non censura la motivazione resa dalla commissione tributaria regionale, che ha seccamente ritenuto i costi “effettivamente sostenuti”, ma invoca una violazione di legge che all’evidenza non sussiste, in quanto il giudice di merito ha invece esattamente fatto applicazione dell’orientamento di questa Corte, a tenore del quale l’abolizione (prevista dalla L. 27 dicembre 2006, n. 296, art. 1, commi 301, 302 e 303), del previgente regime di indeducibilità dei costi relativi ad operazioni commerciali intercorse con soggetti domiciliati in Paesi a fiscalità privilegiata ha carattere retroattivo, sicchè la deducibilità risulta subordinata solo alla prova dell’operatività dell’impresa estera contraente e della effettività della transazione commerciale (Cass. 27/03/2015, n. 6205; Cass. 27/02/2015, n. 4030; Cass. 24/09/2014, n. 20081).
4. Con il quarto motivo eccepisce violazione dell’art. 112 c.p.c., poichè il giudice d’appello ha omesso di pronunciare sul motivo di gravame sollevato dall’Agenzia delle Entrate, con il quale censurava la sentenza di primo grado per non essersi pronunciata, a causa di un errore nell’individuazione dell’avviso di accertamento impugnato, sul diritto della contribuente a dedurre le spese e altre componenti negativi del reddito derivanti da operazioni intercorse con imprese domiciliate in stati a fiscalità privilegiata.
4.1. Il motivo è inammissibile.
Com’è noto, secondo l’orientamento di questa Corte, il rapporto tra le istanze delle parti e la pronuncia del giudice, agli effetti dell’art. 112 c.p.c., può dare luogo a due diversi tipi di vizi: se il giudice omette del tutto di pronunciarsi su una domanda od un’eccezione, ricorrerà un vizio di nullità della sentenza per error in procedendo, censurabile in Cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4; se, invece, il giudice si pronuncia sulla domanda o sull’eccezione, ma senza prendere in esame una o più delle questioni giuridiche sottoposte al suo esame nell’ambito di quella domanda o di quell’eccezione, ricorrerà un vizio di motivazione, censurabile in Cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5). L’erronea sussunzione nell’uno piuttosto che nell’altro motivo di ricorso del vizio che il ricorrente intende far valere in sede di legittimità, comporta l’inammissibilità del ricorso (Cass. 11/05/2012, n. 7268).
Nella vicenda che ci occupa, è all’evidenza come la commissione tributaria regionale abbia preso in esame il motivo di appello formulato dall’Agenzia delle Entrate, rigettandolo integralmente; dunque non di omessa pronuncia, bensì di carente motivazione sulla relativa eccezione si trattava, palesandosi il motivo in esame centrato sulla violazione della legge processuale inammissibile.
5. Le spese del giudizio seguono la soccombenza.
P.Q.M.
Respinge il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 10.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento ed agli accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 13 novembre 2018.
Depositato in Cancelleria il 22 maggio 2019