LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Presidente –
Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –
Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –
Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –
Dott. FANTICINI Giovanni – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 6468-2012 proposto da:
COBARR SPA, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA PO 28, presso lo studio dell’avvocato ATTILIO PELOSI, rappresentato e difeso dagli avvocati PAOLA LUMINI, LUIGI CARDASCIA giusta delega in calce;
– ricorrente –
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;
– controricorrente –
e contro
AGENZIA DELLE ENTRATE UFFICIO DI *****;
– intimata –
avverso la sentenza n. 7/2011 della COMM. TRIB. REG. SEZ. DIST. di LATINA, depositata il 17/01/2011;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 13/11/2018 dal Consigliere Dott. GIOVANNI FANTICINI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. STEFANO VISONA’ che ha concluso per l’accoglimento del ricorso;
udito per il ricorrente l’Avvocato LUMINI che ha chiesto l’accoglimento;
udito per il controricorrente l’Avvocato PUCCIARIELLO che si riporta agli atti.
FATTI DI CAUSA
In data 9 luglio 2002, la Cobarr S.p.A. presentava all’Agenzia delle Entrate – Ufficio di ***** istanza di rimborso IVA per l’importo di Euro 596.256,51; il preteso diritto al rimborso scaturiva dall’erronea applicazione dell’imposta ad alcune note di credito emesse in favore della Cobarr da parte della Italpet Preforme, in quanto si trattava di variazioni in diminuzione relative ad operazioni per le quali era stata emessa fattura in regime di non imponibilità.
Stante l’inerzia dell’Ufficio, la Cobarr impugnava il silenzio-rifiuto formatosi sull’istanza.
Con sentenza n. 176/06/07 del 26 settembre 2007, la C.T.P. di Frosinone respingeva il ricorso della società.
La C.T.R. del Lazio – Sez. Staccata di Latina, con la sentenza n. 7/39/11 del 17 gennaio 2011, respingeva l’appello della Cobarr S.p.A.; per quanto rileva in questa sede, il giudice d’appello osservava: “La richiesta di rimborso non può essere accolta per difetto di legittimazione attiva perchè… “Il soggetto legittimato alla domanda di rimborso è sempre solo il cedente il bene o il servizio che indebitamente corrisponda all’imposta all’erario” – nella fattispecie, i requisiti soggettivi si cumulano nella Italpet Preforme – e, inoltre, anche perchè, come ribadito dall’Ufficio, la Cobarr, facendo parte di un gruppo, non provvedeva mai all’esborso dell’IVA, neppure mediante addebito, ma semplicemente evidenziava il debito IVA nei prospetti di liquidazione periodica trasmessi alla controllante Mossi e Ghinolfi S.p.A. che perciò sopportava concretamente il relativo onere”.
Avverso tale decisione la Cobarr S.p.A. propone ricorso per cassazione, affidato a due motivi.
Resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate, la quale tra l’altro rileva, senza però proporre ricorso incidentale, l’infondatezza della pretesa di rimborso in quanto carente di prova.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Col primo motivo di ricorso la Cobarr lamenta violazione (ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 17,18,19 e 26, per avere la C.T.R. escluso la sua legittimazione ad avanzare l’istanza di rimborso quale effettivo titolare del rapporto tributario.
2. Il motivo è infondato.
Nella fattispecie in esame la Cobarr, cessionaria di beni alienati dalla Italpet Preforme nell’ambito di operazioni non imponibili IVA, aveva successivamente rideterminato i prezzi delle vendite; conseguentemente la Italpet Preforme aveva emesso tre note di accredito, ma aveva erroneamente applicato l’IVA, imposta che veniva registrata a debito dalla Cobarr (corrispondentemente, la Italpet operava la detrazione dell’importo delle note); avvedutesi dell’errore, la Italpet (con ravvedimento operoso) versava all’Erario l’imposta erroneamente detratta, mentre la Cobarr presentava l’istanza di rimborso all’Agenzia delle Entrate.
La situazione è fiscalmente regolata dalle norme in materia di variazioni IVA (D.P.R. n. 633 del 1972, art. 26, comma 2), secondo le quali “Se un’operazione per la quale sia stata emessa fattura, successivamente alla registrazione di cui agli artt. 23 e 24, viene meno in tutto o in parte, o se ne riduce l’ammontare imponibile,… in conseguenza dell’applicazione di abbuoni o sconti previsti contrattualmente, il cedente del bene o prestatore del servizio ha diritto di portare in detrazione ai sensi dell’art. 19, l’imposta corrispondente alla variazione, registrandola a norma dell’art. 25”; le note di credito devono essere emesse alla medesima aliquota d’imposta applicata a suo tempo nell’emissione della fattura di vendita anche se questa, nel frattempo, è cambiata.
Anche recentemente la giurisprudenza di questa Corte ha stabilito che è il cedente del bene (o prestatore del servizio) a vantare il diritto di portare in detrazione l’imposta corrispondente alla variazione, mentre il cessionario (o committente) che abbia già registrato l’operazione deve, invece, annotare la variazione in diminuzione, ma il suo diritto alla restituzione dell’importo pagato a titolo di IVA deve essere esercitato nei confronti del cedente (o prestatore).
La questione è stata chiaramente e diffusamente ricostruita nella motivazione di Cass., Sez. 5, Sentenza n. 23288 del 27/9/2018 (con richiami dei precedenti di legittimità e della Corte di Giustizia dell’Unione Europea), alla quale il Collegio intende dare continuità riportandone i passaggi essenziali che riguardano anche il caso de quo:
“Ciò che è controverso in giudizio non è la legittimazione processuale… che è data dall’acquisizione della qualità di parte, bensì quella sostanziale, determinata dalla sussistenza del diritto di richiedere il rimborso e, per derivazione, di quello di contestare il rifiuto opposto alla richiesta.
Secondo la ricorrente i principi unionali di neutralità, effettività e non discriminazione consentirebbero o addirittura imporrebbero che il cessionario-committente, che sia anche soggetto passivo dell’IVA, richieda direttamente all’erario il rimborso dell’imposta pagata e non dovuta.
Questa tesi tradisce la confusione tra differenti fattispecie giuridiche, ossia tra la posizione del soggetto che esercita il diritto alla detrazione dell’imposta versata nell’operazione di acquisto a monte (ossia, in caso di eccedenza a credito, ne chiede il rimborso con la dichiarazione fiscale) con la ben diversa posizione del soggetto che ha assolto l’IVA in rivalsa nei confronti del soggetto passivo (emittente la fattura) e che, sul presupposto del parziale o totale pagamento indebito di detta somma (in quanto l’imposta liquidata in fattura non era dovuta, del tutto – operazione esente o non imponibile – oppure in parte – errata applicazione di un’aliquota maggiore-), ne chiede la restituzione, anzichè al soggetto passivo, direttamente al fisco.
Le due fattispecie sono ancorate a presupposti differenti, che non ne consentono la fungibilità.
Presupposto della prima è l’esercizio del diritto alla detrazione dell’IVA, che inerisce al meccanismo stesso dell’IVA, e si fonda proprio sull’esistenza di un’imposta dovuta.
Presupposto della seconda è il diritto al rimborso, ancorato all’esistenza di un versamento indebito alle autorità tributarie, da parte di un soggetto passivo, di una somma a titolo di IVA: alla base del diritto alla ripetizione è quindi il carattere indebito dell’IVA, di modo che l’onere economico che ne deriva da tale versamento va neutralizzato nei confronti di tale soggetto passivo (in termini, Corte Giust. 14 giugno 2017, causa C-38/16, Compass Contract Services Ltd).
Il rischio di confusione discende dal fatto che dal compimento dell’operazione imponibile scaturiscono tre rapporti (uno, tra l’amministrazione finanziaria e il cedente, relativo al pagamento dell’imposta; un secondo, tra il cedente e il cessionario, concernente la rivalsa; un terzo, tra l’amministrazione e il cessionario, relativo alla detrazione dell’imposta assolta in via di rivalsa), i quali, peraltro, pur essendo collegati, non interferiscono.
Sicchè il cedente non può opporre al cessionario, il quale agisca nei suoi confronti per restituzione dell’indebito, l’avvenuto versamento dell’imposta; il cessionario non può opporre all’amministrazione, che escluda la detrazione dell’imposta erroneamente liquidata in fattura, che l’imposta è stata assolta in via di rivalsa e versata all’amministrazione medesima; il prestatore che abbia proceduto, in favore dell’erario, a un versamento IVA superiore al dovuto è legittimato a pretendere il rimborso dall’amministrazione finanziaria, non ostandovi la circostanza che abbia recuperato mediante rivalsa la pretesa eccedenza d’imposta dal committente (Cass. 13 gennaio 2017, n. 780).
In seno ai rapporti tra cedente/prestatore, cessionario/committente e fisco, soltanto il cedente/prestatore ha titolo ad agire per il rimborso nei confronti dell’amministrazione, la quale, pertanto, essendo estranea al rapporto tra cedente/prestatore e cessionario/committente, non può essere tenuta a rimborsare direttamente a quest’ultimo quanto dallo stesso versato in via di rivalsa (tra varie, vedi Cass. 6 luglio 2011, n. 14933; 26 agosto 2015, n. 17169; con riferimento alla triplice natura dei rapporti che derivano dalla medesima operazione economica, vedi anche sez. un., 20 luglio 2017, n. 26437).
Al riguardo, la Corte di Giustizia ha ripetutamente sottolineato (tra varie, con sentenza 27 aprile 2017, causa C-564/15, Farkas) che, in mancanza di disciplina dell’Unione in materia di domande di rimborso delle imposte, spetta all’ordinamento giuridico interno di ciascuno Stato membro stabilire i requisiti al ricorrere dei quali tali domande possono essere presentate, purchè i requisiti in questione rispettino i principi di equivalenza e di effettività, vale a dire, non siano meno favorevoli di quelli che riguardano reclami analoghi basati su norme di natura interna e non siano congegnati in modo da rendere praticamente impossibile l’esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico dell’Unione (espressamente in termini, sentenza del 15 marzo 2007, Reemtsma Cigarettenfabriken, causa C35/05, punto 37).
E la Corte ha anche riconosciuto che un sistema nel quale, da un lato, il venditore del bene che ha versato erroneamente alle autorità tributarie l’IVA può chiederne il rimborso e, dall’altro, l’acquirente di tale bene può esercitare un’azione civilistica di ripetizione dell’indebito nei confronti di tale venditore, rispetta i principi di neutralità e di effettività.
Un sistema così congegnato, infatti, consente all’acquirente, gravato dell’imposta erroneamente fatturata, di ottenere il rimborso delle somme indebitamente versate (Corte Giust. in causa C-35/05, cit., punti 38 e 39 e giurisprudenza ivi citata).
Gli Stati membri devono dunque prevedere gli strumenti e le modalità procedurali necessari per consentire a detto acquirente di recuperare l’imposta indebitamente fatturata, in modo da rispettare il principio di effettività.
Sicchè soltanto se il rimborso risulti impossibile o eccessivamente difficile, il principio di effettività può imporre che l’acquirente del bene in questione sia legittimato ad agire per il rimborso direttamente nei confronti delle autorità tributarie (come nel caso di fallimento del venditore: Corte Giust. in causa C564/15, Farkas, cit.; conf., 31 maggio 2018, cause C-660 e 661/16, KollroB e Wirti, punto 66).
Il fruitore dei beni o dei servizi può dunque ottenere il rimborso dell’imposta illegittimamente versata esperendo nei confronti del cedente o del prestatore un’azione di ripetizione d’indebito di rilevanza civilistica (vedi, in tema di IVA, Corte Giust. 15 dicembre 2011, causa C-427/10, Banca Popolare Antoniana Veneta, punto 42 e, in tema di accise, Corte Giust. 20 ottobre 2011, causa C-94/10, Danfoss).”.
La conclusione non incide sulla giurisdizione del giudice tributario rispetto alla domanda avanzata dalla Cobarr, dovendosi ribadire l’orientamento secondo cui “Appartiene alla giurisdizione delle commissioni tributarie la domanda proposta nei confronti dell’Amministrazione finanziaria per la restituzione di somme indebitamente versate a titolo d’imposta sul valore aggiunto, una volta che ne sia rifiutato il rimborso, senza che la giurisdizione del giudice tributario possa venir meno per essere stato proposto il ricorso dal cessionario del bene o dal committente del servizio, invece che dal soggetto passivo del rapporto tributario, atteso che esulano dalla giurisdizione e sono ad essa gradate le questioni relative alla legittimazione attiva ed alla ammissibilità della domanda.” (Cass., Sez. U., Sentenza n. 9142 del 17/04/2009, Rv. 607454-01).
3. Col secondo motivo si deduce violazione (ex art. 36 c.p.c., comma 1, n. 3), del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 73, e del D.M. 13 dicembre 1979, artt. 4, 5 e 6, per avere la C.T.R. escluso la sua legittimazione ad avanzare l’istanza di rimborso in quanto appartenente ad un gruppo societario nel quale la controllante effettuava le liquidazioni di tutte le controllate (compensandole tra loro) e un unico versamento dell’imposta dovuta.
4. Sebbene sia superata dalle argomentazioni sopra esposte al punto 2., anche la seconda censura – fondata sull’autonomia giuridica e fiscale della Cobarr S.p.A. rispetto alle altre società controllate dalla Mossi e Ghinolfi S.p.A. (che procede alla liquidazione IVA di gruppo) è infondata.
Infatti, in tema di liquidazione dell’IVA di gruppo (nel regime di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 73, comma 3, ratione temporis vigente), dalla speciale modalità di compensazione infragruppo dell’obbligazione tributaria – che consente il sollecito rimborso dei crediti IVA vantati da una, o da alcune società del gruppo, mediante compensazione con l’eventuale IVA a debito delle altre del medesimo gruppo – deriva che il diritto ad ottenere il rimborso sorge soltanto in capo alla controllante e, cioè, al soggetto fiscale sul quale ricadono gli obblighi della dichiarazione fiscale (v. Cass., Sez. 5, Sentenza n. 10207 del 18/05/2016).
5. In conclusione, il ricorso è respinto.
Alla decisione fa seguito la condanna della ricorrente alla rifusione, in favore della controricorrente Agenzia, delle spese di questo giudizio di cassazione, le quali sono liquidate nella misura indicata nel dispositivo secondo i parametri del D.M. Giustizia 8 marzo 2018, n. 37, (in proposito, e con riguardo all’applicabilità dei parametri fissati dal previgente D.M. n. 55 del 2014, Cass., Sez. 6-2, Sentenza n. 21205 del 19/10/2016, Rv. 641672-01).
P.Q.M.
La Corte:
rigetta il ricorso;
condanna la ricorrente a rifondere alla controricorrente le spese di questo giudizio, che liquida in Euro 10.000,00 per compensi, oltre a spese prenotate a debito.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Quinta Sezione Civile, il 13 novembre 2018.
Depositato in Cancelleria il 22 maggio 2019