LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Presidente –
Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –
Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –
Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –
Dott. SUCCIO Roberto – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 25375/2013 R.G. proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio eletto in Roma, via Dei Portoghesi, n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato;
– ricorrente –
Contro
C.D. rappresentato e difeso giusta delega in atti dall’avv. Sergio Cacopardo e dall’avv. Alberto Pennisi ed elettivamente domiciliato presso lo studio di quest’ultimo in Roma, Viale G.
Mazzini n. 142;
– resistente –
Avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Sicilia n. 107/01/12 depositata il 27/09/2012, non notificata;
Udita la relazione della causa svolta nell’adunanza camerale del 24/10/2018 dal consigliere Succio Roberto.
RILEVATO
che:
– con la sentenza di cui sopra la Commissione Tributaria Regionale ha respinto l’appello dell’Erario confermando la pronuncia di prime cure e sancendo l’illegittimità dell’atto di contestazione e irrogazione sanzioni per IVA 2003 impugnato;
– avverso la sentenza di seconde cure propone ricorso per cassazione l’Amministrazione Finanziaria con atto affidato a quattro motivi; resiste con controricorso il contribuente.
CONSIDERATO
che:
– con il primo motivo di ricorso si denuncia insufficienza e incongruità della motivazione, ai sensi all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per avere erroneamente la CTR non tenuto conto dei rilievi presentati dall’Ufficio, in relazione al contenuto degli atti richiamati per relationem nell’atto impugnato; il secondo motivo di ricorso censura la gravata sentenza per insufficienze a incongruità della motivazione ex art. 360 c.p.c., n. 5, per non avere la CTR colto la reale portata della dichiarazione del contribuente di cui a pag. 6 del PVC del 22.06.2004, nella quale vi sarebbe prova della perfetta comprensione da parte del medesimo delle ragioni dei rilievi di cui all’atto impugnato;
– i motivi possono trattarsi congiuntamente, per le ragioni che si diranno, e sono entrambi inammissibili;
– osserva la Corte in via preliminare che la sentenza impugnata risulta depositata in data 27 settembre 2012 e quindi trova applicazione, quanto ai motivi di ricorso e ai vizi deducibili per cassazione, il nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (come modificato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, cosiddetto “Decreto Sviluppo”, pubblicato in Gazzetta Ufficiale 26 giugno 2012, n. 147, convertito con modificazioni, dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, pubblicata in Gazzetta Ufficiale n. 187 del 11-08-2012);
– tal disposizione consente, applicabile alle sentenze pubblicata a partire dall’11 settembre 2012, quindi anche alla pronuncia qui gravata che risulta depositata in data 27 settembre 2012, di adire la Suprema Corte per “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”;
– conseguentemente, poichè formulate con riferimento al previgente testo del n. 5 di cui sopra, tutte le censure aventi per oggetto il difetto di motivazione, incluso quindi il secondo motivo di ricorso, non sono consentite e debbono esser dichiarate inammissibili;
– il terzo motivo di ricorso denuncia la violazione ed errata applicazione di norme di diritto ex art. 360 c.p.c., n. 3, in relazione al D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 16 e allo Statuto dei diritti del contribuente (D.Lgs. n. 212 del 2000), art. 7, per avere la CTR erroneamente ritenuto privo dei requisiti prescritti dal D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 16, in quanto immotivato, l’atto impugnato;
– il motivo è fondato;
– come si evince dalla lettura della sentenza, a fronte di una serie di recuperi d’imposta derivanti sia dall’assoggettamento a IVA ordinaria quali cessioni intracomunitaria, sia da omessa registrazione di fatture, sia da errata contabilizzazione di IVA a debito, sia soprattutto con riferimento alle operazioni rientranti nel regime c.d. del “margine”, il contribuente ha reso una dichiarazione (riportata nel PVC del 11.6.2004, pag.5) con la quale ha – proprio con riferimento al rilievo relativo al c.d. regime del “margine” – dichiarato che l’errore era stato commesso dal fornitore estero che aveva trattato l’operazione come cessione intracomunitaria anzichè, come correttamente dovevasi, come operazione assoggettata al c.d. regime del “margine”;
– è evidente, secondo questa Corte, come da tal documentazione si evinca che il contribuente era perfettamente a conoscenza delle ragioni non solo fattuali (riportate in PVC) ma anche delle ragioni giuridiche sulle quali si fondava la pretesa; di qui la sufficienza, ai fini del rispetto del requisito motivazionale, dell’avvenuta trascrizione nell’avviso di accertamento della dichiarazione, o del suo contenuto, resa dal contribuente sul punto;
– in altre parole, ritiene la Corte che la motivazione (intesa come esplicitazione delle ragioni in fatto e diritto sulle quali si fonda la maggior pretesa tributaria azionata con il provvedimento impugnato) possa e debba risultare e consistere anche nelle dichiarazioni rese dal contribuente in sede di accesso, ispezione o verifica; nel presente caso l’aver ammesso l’errore di cui si è detto, a fronte della contestazione dell’errore da parte dei verificatori, risulta elemento idoneo e sufficiente a motivare l’atto impugnato, ferma restando la ripartizione dell’onere della prova che è profilo autonomo rispetto al requisito della motivazione;
– il quarto motivo, con il quale si denuncia la violazione della disciplina relativa al c.d. “regime del margine”, è diretto a colpire la seconda “ratio decidendi” sulla quale la CTR fonda la propria decisione: secondo la gravata sentenza l’Ufficio non avrebbe fornito idonea spiegazione in ordine alle ragioni della mancata diligenza adoperata dallo stesso nell’esecuzione delle operazioni commerciali contestate;
– il motivo è fondato;
– come le Sezioni Unite di questa Corte hanno ben chiarito (Civile Sent. Sez. U. Num. 21105 Anno 2017) “in tema di IVA, il c.d. regime del margine, previsto dal D.L. 23 febbraio 1995, n. 41, art. 36 (convertito dalla L. 22 marzo 1995, n. 85) e dagli artt. da 311 a 325 della direttiva 2006/112/CE del Consiglio del 28 novembre 2006 (e, già, dall’art. 26 bis della sesta direttiva 77/388/CEE del Consiglio del 17 maggio 1977) per le cessioni, da parte di rivenditori, di beni d’occasione, di oggetti d’arte, da collezione o di antiquariato, costituisce un regime d’imposizione speciale, facoltativo e derogatorio, in favore del contribuente, del sistema normale dell’IVA: ne consegue che la sua disciplina va interpretata restrittivamente e applicata in termini rigorosi, nei limiti di quanto necessario al raggiungimento dello scopo dell’istituto. Con particolare riferimento alla compravendita di veicoli usati, il cessionario, al quale l’amministrazione finanziaria contesti, in base ad elementi oggettivi e specifici, tale fruizione, deve provare la propria buona fede, cioè di aver agito in assenza di consapevolezza di partecipare ad un’evasione fiscale e di aver adoperato la diligenza massima esigibile da un operatore accorto secondo i criteri di ragionevolezza e di proporzionalità, in rapporto alle circostanze del caso concreto – al fine di evitare di essere coinvolto in una tale situazione, in presenza di indizi idonei a farne insorgere il sospetto. Rientra in tale condotta anche l’individuazione, nei limiti dei dati risultanti dalla carta di circolazione in suo possesso, eventualmente integrati da elementi di agevole e rapida reperibilità, dei precedenti intestatari del veicolo, al fine di accertare, sia pure solo in via presuntiva, se l’IVA sia stata, o no, già assolta a monte da altri, nell’ambito della catena di fornitura, senza possibilità di detrazione: in caso di esito positivo, il diritto di applicare il regime del margine deve essere riconosciuto, anche qualora l’amministrazione dimostri, attraverso indagini e controlli inesigibili dal contribuente, che in realtà l’imposta, per qualsiasi motivo, non era stata detratta. Nell’ipotesi, invece, in cui dalla verifica del contribuente emerga che i precedenti titolari svolgano tutti attività di rivendita, noleggio o leasing nel settore del mercato dei veicoli, opera la presunzione (contraria, in base al criterio di normalità probabilistica) dell’avvenuto esercizio del diritto alla detrazione dell’IVA assolta a monte per l’acquisto dei veicoli stessi, in quanto beni destinati ad essere impiegati nell’esercizio dell’attività propria dell’impresa, con conseguente negazione del diritto alla fruizione del trattamento fiscale più favorevole”;
– negli indicati termini, in conclusione, il ricorso dell’Agenzia delle entrate deve essere accolto, poichè il giudice a quo, nel valutare il comportamento del contribuente, ha commesso errore di diritto in quanto non si è attenuto ai principi dettati da questa Corte e sopra enunciati;
– conseguentemente la sentenza va cassata.
P.Q.M.
dichiara inammissibili il primo e secondo motivo di ricorso, accoglie il terzo e il quarto motivo di ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione Tributaria Regionale della Sicilia in diversa composizione che provvederà anche quanto alle spese del presente giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 24 ottobre 2018.
Depositato in Cancelleria il 22 maggio 2019 Sommario IntestazioneFattoDirittoP.Q.M.
Copia negli appunti