Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.13752 del 22/05/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Presidente –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –

Dott. FICHERA Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 6525/2012 R.G. proposto da:

P.R. (C.F. *****), rappresentato e difeso dall’avv. Giovanna Fiore, elettivamente domiciliato presso il suo studio in Roma, via degli Scipioni 94.

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate (C.F. *****), in persona del direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocatura generale dello Stato, elettivamente domiciliata presso i suoi uffici in Roma via dei Portoghesi 12.

– controricorrente –

e contro

Gest Line s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore.

– intimata –

Avverso la sentenza n. 234/45/2011 della Commissione Tributaria Regionale della Campania, depositata il giorno 9 giugno 2011.

Sentita la relazione svolta nella Camera di consiglio del giorno 24 ottobre 2018 dal Consigliere Fichera Giuseppe.

FATTI DI CAUSA

P.R. impugnò la cartella di pagamento notificata dalla Gest Line s.p.a., in relazione alla indebita compensazione dell’IVA dovuta per l’anno 2004.

Accolta l’impugnazione in primo grado, l’Agenzia delle Entrate propose appello innanzi alla Commissione Tributaria Regionale della Campania, che accogliendo il gravame, con sentenza depositata il 9 giugno 2011, respinse il ricorso proposto dal contribuente.

Avverso la detta sentenza, P.R. ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi; Agenzia delle Entrate resiste con controricorso, mentre non ha spiegato difese la Gest Line s.p.a..

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo deduce il ricorrente la violazione del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, artt. 30 e 55, del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, art. 5, comma 1 e del D.P.R. 22 luglio 1998, n. 322, art. 8, comma 3, in quanto il giudice di merito ha erroneamente ritenuto che non fosse consentito compensare il credito IVA nell’anno successivo alla sua maturazione.

1.2. Il motivo è inammissibile, in quanto il ricorrente non coglie la ratio decidendi del provvedimento impugnato.

Invero la commissione tributaria regionale ha affermato che “Il credito deve essere provato con idonea documentazione, il che nella fattispecie non è avvenuto”; dunque, è irrilevante accertare qui la tempestività o meno della dichiarazione del contribuente, in quanto secondo il giudice di merito, comunque, non è stata raggiunta la prova dell’esistenza del credito IVA portato in compensazione.

2. Con il secondo complesso motivo assume violazione degli artt. 115,342 e 345 c.p.c., in quanto le doglianze formulate in appello dall’Agenzia delle Entrate difettavano della necessaria specificità e contenevano poi eccezioni nuove, non consentite in sede di gravame; infine, la documentazione prodotta dal contribuente non era stata specificatamente contestata in primo grado dall’amministrazione.

2.1. Il motivo è, anzitutto, infondato in relazione ai motivi di appello, in quanto dalla lettura del relativo atto si evince chiaramente come l’Agenzia delle Entrate abbia sufficientemente specificato i motivi del gravame avverso la sentenza resa dalla commissione tributaria provinciale, censurandola nella parte in cui aveva ritenuto provato il credito portato in detrazione dal contribuente.

Va ricordato poi, per un verso, che secondo l’orientamento delle sezioni unite di questa Corte, il rilievo d’ufficio delle eccezioni in senso lato non è subordinato alla specifica e tempestiva allegazione della parte ed è ammissibile anche in appello, dovendosi ritenere sufficiente che i fatti risultino documentati ex actis (Cass. s.u. 07/05/2013, n. 10531); e per altro verso che il principio di non contestazione, di cui all’art. 115 c.p.c., comma 1, si applica anche nel processo tributario, ma, attesa (“indisponibilita” dei diritti controversi, riguarda esclusivamente i profili probatori del fatto non contestato, e semprechè il giudice, in base alle risultanze ritualmente assunte nel processo, non ritenga di escluderne l’esistenza (Cass. 18/05/2018, n. 12287; Cass. 06/02/2015, n. 2196).

Dunque, nella vicenda che ci occupa, è certo che la carenza di prova del credito IVA vantato dal contribuente, trattandosi di eccezione in senso lato, poteva essere rilevata dalla commissione tributaria anche in sede di appello, nè poteva rilevare in senso contrario la circostanza che il documento prodotto non fosse stato contestato dall’amministrazione in primo grado.

3. Le spese seguono la soccombenza tra le parti costituite.

P.Q.M.

Respinge il ricorso.

Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.000,00 per compensi, oltre alle spese anticipate a debito ed agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 24 ottobre 2018.

Depositato in Cancelleria il 22 maggio 2019

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