LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –
Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –
Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –
Dott. FRACANZANI Marcello Maria – Consigliere –
Dott. VENEGONI Andrea – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 12563-2016 proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE E DEL TERRITORIO elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
L.M., elettivamente domiciliata in AUGUSTA VIA G. LAVAGGI 59, presso lo studio dell’avvocato RAFFAELE CARROZZA, che la rappresenta e difende giusta delega in calce;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 898/2016 della COMM. TRIB. REG. SEZ. DIST. di SIRACUSA, depositata il 08/03/2016;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 13/03/2019 dal Consigliere Dott. ANDREA VENEGONI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DE MATTEIS STANISLAO che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito per il ricorrente l’Avvocato PELUSO che si riporta agli atti;
udito per il controricorrente l’Avvocato CARROZZA che ha chiesto l’inammissibilità in subordine infondatezza.
FATTI DI CAUSA
L’Agenzia delle Entrate ricorre contro la sentenza della CTR della Sicilia che rigettava l’appello dell’ufficio contro la sentenza della CTP che annullava il provvedimento di diniego di rimborso dell’irpef pagata nel triennio 1990-92 in favore di L.M., in proprio e quale erede di C.R..
La richiesta di rimborso era relativa al 90% delle somme pagate a titolo di imposte dirette nel triennio 1990-92, sulla base di quanto previsto dalla L. n. 289 del 2002, art. 9, comma 17, che stabiliva la possibilità, per i soggetti colpiti dal sisma del dicembre 1990 nella Sicilia orientale, di definire le proprie posizioni fiscali per gli anni suddetti attraverso il pagamento del 10% di quanto dovuto. Tale norma era stata interpretata come applicabile anche ai contribuenti che avevano già versato il dovuto in base alla normativa ordinaria, con possibilità, quindi, di ottenere il rimborso del 90% di quanto corrisposto all’erario.
La CTP accoglieva il ricorso, e la CTR rigettava l’appello dell’ufficio, affermando che la misura di cui alla L. n. 289 del 2002, art. 9, comma 17, in favore dei contribuenti colpiti dal sisma della Sicilia Orientale del dicembre 1990 poteva avvenire attraverso il rimborso del 90% di quanto versato a titolo di imposta, e che la domanda di rimborso relativa al caso di specie, presentata il 14.12.2007, non era tardiva perchè il termine biennale di presentazione operava fino all’1.3.2010, ai sensi della L. 28 febbraio 2008, n. 31.
Inoltre, la CTR rigettava l’eccezione dell’ufficio di difetto di legittimazione attiva della contribuente alla domanda di rimborso, basata sul fatto che solo il sostituto di imposta, che aveva effettuato il versamento, sarebbe stato legittimato attivo alla domanda di rimborso, e non il lavoratore dipendente, sostituito.
Contro tale sentenza ricorre l’ufficio sulla base di un motivo.
Gli eredi di C.R. si sono costituiti con controricorso.
Il difensore ha presentato memoria del 7.2.2019 con cui chiede la condanna del ricorrente alle spese di lite e la distrazione delle stesse.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con l’unico motivo di ricorso l’ufficio deduce violazione e/o falsa applicazione della L. n. 289 del 2002, art. 9, comma 17, nonchè della L. n. 190 del 2014, art. 1, comma 665 (Legge di stabilità 2015), in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
La CTR avrebbe errato nel riconoscere i presupposti della domanda di rimborso nel caso di specie, perchè il contribuente originario, C.R., non era legittimato, essendo sostituito di imposta, e non sostituto. La L. n. 190 del 2014, art. 1, comma 665, infatti, fa riferimento solo alle imposte “versate” e non “trattenute”, cosicchè solo il sostituto di imposta è autore del versamento, ed è unico legittimato a chiedere il rimborso.
Inoltre, la sentenza della CTR ha data per ammessa la prova dell’effettivo versamento delle imposte, mentre l’onere spettava al contribuente che ha chiesto il rimborso.
Il motivo, che, in realtà, si articola in due parti, è infondato.
La L. n. 289 del 2002, art. 9, comma 17, ha autorizzato, in effetti, i contribuenti dell’area del suddetto sisma a definire le proprie posizioni tributarie con il versamento del 10% di quanto dovuto.
A seguito dei dubbi intervenuti sull’applicabilità di tale norma anche a coloro che avevano già versato interamente le imposte in base alla disciplina ordinaria, la L. n. 190 del 2014, art. 1, comma 665, ha completato il quadro normativo della suddetta agevolazione, prevedendo la possibilità di rimborso per chi aveva già versato importi in eccedenza rispetto a quanto previsto dall’art. 9, comma 17.
La L. n. 190 del 2014, art. 1, comma 665, prevede, infatti, che:
665. I soggetti colpiti dal sisma del 13 e 16 dicembre 1990, che ha interessato le province di Catania, Ragusa e Siracusa, individuati ai sensi dell’art. 3 Ord. del Ministro per il coordinamento della protezione civile 21 dicembre 1990, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 299 del 24 dicembre 1990, che hanno versato imposte per il triennio 1990-1992 per un importo superiore al 10 per cento previsto dalla L. 27 dicembre 2002, n. 289, art. 9, comma 17, e successive modificazioni, hanno diritto, con esclusione di quelli che svolgono attività d’impresa, per i quali l’applicazione dell’agevolazione è sospesa nelle more della verifica della compatibilità del beneficio con l’ordinamento dell’Unione Europea, al rimborso di quanto indebitamente versato, a condizione che abbiano presentato l’istanza di rimborso ai sensi del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 21, comma 2, e successive modificazioni. Il termine di due anni per la presentazione della suddetta istanza è calcolato a decorrere dalla data di entrata in vigore della L. 28 febbraio 2008, n. 31, di conversione del D.L. 31 dicembre 2007, n. 248.
Tale normativa aveva, però, generato un ulteriore dubbio interpretativo, e cioè se, nel caso di imposte dovute da persone fisiche attraverso il meccanismo della sostituzione di imposta, la legittimazione alla domanda di rimborso spettasse anche al sostituito, atteso che quest’ultimo non è il soggetto che ha “versato” materialmente le imposte, come letteralmente sembra richiedere la norma per la domanda di rimborso.
La questione è stata risolta dalla giurisprudenza dapprima, e poi nuovamente dal legislatore, cosicchè sulla stessa si è formato oggi un orientamento consolidato, che ammette la legittimazione anche in favore del sostituito.
Ne è espressione, tra le altre, sez. VI-5 n. 5897 del 2019, secondo cui:
Ed invero, questa Corte, esaminando specificamente la tematica prospettata dall’Agenzia volta a sostenere che il sostituto d’imposta non sarebbe legittimato e richiedere il rimborso delle imposte versate per il triennio 1990/1992 alla stregua della citata L., art. 9, comma 17, e della L. n. 190 del 2014, art. 1, comma 665, ha di recente ribadito che “in tema di agevolazioni tributarie, il rimborso d’imposta di cui alla L. n. 190 del 2014, art. 1, comma 665, a favore dei soggetti colpiti dal sisma siciliano del 13 e 16 dicembre 1990, può essere richiesto sia dal soggetto che ha effettuato il versamento (cd. sostituto d’imposta) sia dal percipiente delle somme assoggettate a ritenuta (cd. “sostituito”) nella sua qualità di lavoratore dipendente.” (Cass. nn. 14406/2016, 18905/2016, Cass. n. 15027/2017, Cass. n. 17472/2017). Va poi aggiunto che la legittimazione del sostituito d’imposta ha trovato conferma nel D.L. n. 91 del 2017, art. 16-octies, conv. L. n. 123 del 2017, che ha testualmente incluso nel perimetro di godimento del beneficio L. n. 190 del 2014, ex art. 1,comma 665, “i titolari di redditi di lavoro dipendente nonchè i titolari di redditi equiparati e assimilati a quelli di lavoro dipendente in relazione alle ritenute subite”; il limite introdotto dalla norma sopravvenuta laddove autorizza il rimborso fino a concorrenza dell’apposito stanziamento con riduzione del 50% in ipotesi di eccedenza delle richieste non incide sul titolo della ripetizione, ma unicamente sull’esecuzione dello stesso, delineandosi come un posterius rispetto all’odierno giudizio. La censura è pertanto priva di fondamento.
Nello stesso senso, solo tra le più recenti, sez. V, n. 5304 del 2019 e n. 3642 del 2019.
In effetti, come emerge dalle suddette pronunce, il legislatore è intervenuto di recente per dirimere il dubbio che si era formato in base alla lettera della norma del 2014, con il D.L. n. 91 del 2017, art. 16-octies, come modificato dalla L. di conversione n. 123 del 2017, che ha stabilito:
1. Alla L. 23 dicembre 2014, n. 190, art. 1, comma 665, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) al primo periodo, dopo le parole: “L. 27 dicembre 2002, n. 289, art. 9, comma 17, e successive modificazioni,” sono inserite le seguenti: “compresi i titolari di redditi di lavoro dipendente, nonchè’ i titolari di redditi equiparati e assimilati a quelli di lavoro dipendente in relazione alle ritenute subite,” e dopo le parole: “al rimborso di quanto indebitamente versato,” sono inserite le seguenti: “nei limiti della spesa autorizzata dal presente comma,”;
prevedendo così espressamente la legittimazione dei sostituiti, in virtù di rapporti di lavoro dipendente o ad essi assimilati, a formulare l’istanza di rimborso.
Il motivo in questa parte deve, pertanto, essere rigettato.
Il ricorso, peraltro, sebbene in maniera sintetica e quasi accennata, sembra anche voler contestare la seconda affermazione in base alla quale la CTR ha rigettato l’appello, e cioè quella attinente alla prova dell’avvenuto versamento del 90% delle imposte da parte del contribuente (tramite il sostituto), poichè solo la prova dell’avvenuto versamento materiale dell’importo legittimerebbe la domanda di rimborso.
La CTR sul punto aveva dichiarato infondata l’eccezione dell’ufficio, affermando che il contribuente aveva prodotto le certificazioni da cui emergeva l’effettuazione delle ritenute subite, ed imputando anche all’ufficio la tardività dell’eccezione relativa alla prova.
L’ufficio, nella prima parte del ricorso, dimostra di voler contestare tale parte della sentenza, ribadendo, tra le righe, che era onere del contribuente dimostrare l’avvenuto versamento delle imposte di cui aveva poi chiesto il rimborso.
Anche questa parte di motivo appare infondata.
In primo luogo, non appare censurabile la sentenza della CTR, avendo correttamente applicato il principio di onere della prova. La stessa, infatti, è partita dal presupposto che fosse il contribuente a dover dimostrare di avere versato le imposte di cui chiedeva il rimborso, ed ha concluso che lo stesso ciò ha fatto nel caso concreto, presentando le certificazioni da cui emergevano le ritenute subite.
L’apprezzamento di tale prova è, poi, questione non sindacabile in questa sede.
Peraltro, anche su questo aspetto può essere utile per dirimere la questione l’analisi dell’intervento normativo, in particolare del già citato art. 16-octies, laddove afferma che:
Il contribuente che abbia tempestivamente presentato un’istanza di rimborso generica ovvero priva di documentazione e, per gli anni d’imposta 1990, 1991 e 1992, non abbia presentato le dichiarazioni dei redditi, entro il 30 ottobre 2017 può integrare l’istanza già presentata con i dati necessari per il calcolo del rimborso.
Successivamente al 30 ottobre 2017, gli uffici dell’Agenzia delle entrate richiedono i dati necessari per il calcolo del rimborso, che devono essere forniti entro sessanta giorni dalla richiesta, ai contribuenti che abbiano tempestivamente presentato un’istanza di rimborso generica ovvero priva di documentazione e, per gli anni d’imposta 1990, 1991 e 1992, non abbiano presentato le dichiarazioni dei redditi e non abbiano provveduto all’integrazione.
Per i contribuenti titolari di redditi di lavoro dipendente nonchè’ titolari di redditi equiparati e assimilati a quelli di lavoro dipendente che hanno presentato la dichiarazione dei redditi modello 740 per le stesse annualità, l’importo oggetto di rimborso viene calcolato direttamente dall’Agenzia delle entrate in funzione delle ritenute subite a titolo di lavoro dipendente in essa indicate.
Da tale norma si deduce, quindi, da un lato che la mancanza di documentazione in allegato alla domanda di rimborso, e quindi, in sostanza, la carenza di prova per determinare l’an ed il quantum del rimborso, non sono considerati dal legislatore direttamente motivo di rigetto o di inammissibilità dell’istanza, dando vita piuttosto ad un confronto con l’ufficio ed alla possibilità di integrazione dei documenti rilevanti; dall’altro che per i lavoratori dipendenti, qualora presentino il mod. 740, la prova dell’effettuazione delle ritenute, ai fini del rimborso, consiste nella sola indicazione di esse nella suddetta dichiarazione.
Nel caso di specie, peraltro, stando a quanto affermato dalla CTR, si verterebbe in una situazione in cui il contribuente ha adempiuto al suo onere probatorio secondo le sue possibilità, e quindi non emerge alcun errore di diritto sul punto da parte della sentenza impugnata.
Il ricorso deve, quindi, essere respinto.
Quanto alle spese, di cui il difensore del contribuente ha chiesto la distrazione in proprio favore, previa condanna dell’ufficio soccombente, va, tuttavia, rilevato che il chiarimento normativo sul problema della legittimazione attiva del sostituito è intervenuto solo nel 2017, e quindi in data successiva alla proposizione del ricorso che è datata maggio 2016. Sussistono, pertanto, giusti motivi per la compensazione delle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Compensa tra le parti le spese processuali del presente giudizio.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 13 marzo 2019.
Depositato in Cancelleria il 22 maggio 2019