Corte di Cassazione, sez. V Civile, Sentenza n.13781 del 22/05/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. ZOSO Liana Maria Teresa – Consigliere –

Dott. CAPRIOLI Maura – Consigliere –

Dott. RUSSO Rita – rel. Consigliere –

Dott. MONDINI Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 25462-2013 proposto da:

TITAN ITALIA SPA in persona del Presidente e legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DELLA BALDUINA 7, presso lo studio dell’avvocato CONCETTA TROVATO, rappresentato e difeso dall’avvocato GIORGIO VASELLI giusta delega in calce;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI FINALE EMILIA in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA COSSERIA 2, presso lo studio dell’avvocato ALFREDO PLACIDI, rappresentato e difeso dagli avvocati GIOVAN LUDOVICO DELLA FONTANA, GUGLIELMO DELLA FONTANA giusta delega in calce;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1341/2012 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, depositata il 01/10/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 03/04/2019 dal Consigliere Dott.ssa RUSSO RITA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DE MATTEIS STANISLAO che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito per il ricorrente l’Avvocato TROVATO per delega orale dell’Avvocato VASELLI che ha chiesto l’accoglimento;

udito per il controricorrente l’Avvocato TOZZI per delega dell’Avvocato DELLA FONTANA che ha chiesto il rigetto.

FATTI DI CAUSA

1.- La società TITAN ITALIA s.p.a. (già Siria s.p.a.) è proprietaria di uno stabilimento industriale posto nel Comune di Finale Emilia, sulla riva destra del fiume Panaro. La società, con atto di citazione del 21 luglio 1993, ha opposto l’ingiunzione di pagamento del 22 giugno 1993 con la quale il Comune ha preteso i canoni di raccolta, allontanamento e scarico delle acque di rifiuto degli insediamenti produttivi, per anni 1990-1991. La società oppone di avere già pagato il tributo scorporando dal canone dovuto per il servizio fognario quello per la depurazione. Questo in quanto la azienda è collegata alla fognatura comunale, ma non all’impianto di depurazione, che è ubicato sulla riva sinistra del Panaro. Poichè i locali della società sono posti invece sulla riva destra del Panaro, la fognatura scarica direttamente nel fiume e non nell’impianto di depurazione.

2.- Nel corso del giudizio di merito è stata espletata una consulenza dalla quale si desume che l’allaccio al depuratore è possibile, ma solo con costi elevati che renderebbero l’operazione antieconomica perchè occorrerebbe fare una tubazione che attraversi il fiume Panaro. In primo grado le ragioni della contribuente sono state accolte. La Corte di appello di Bologna, adita dal Comune di Finale, ha riformato la sentenza di primo grado e rigettato l’opposizione della società.

2.- La contribuente ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza di secondo grado, affidato a due motivi. Ha resistito il Comune con controricorso. E’ stata depositata memoria ex art. 380 c.p.c. Alla pubblica udienza del 3 aprile 2019 il P.G. si è espresso per il rigetto del ricorso, i procuratori hanno insistito in atti.

RAGIONI DELLA DECISIONE

3.- Con il primo motivo di ricorso, si lamenta la violazione e falsa applicazione della L. n. 319 del 1976, artt. 16,17,17 bis e 17 ter.

Il giudice di secondo grado ha ritenuto che poichè il canone ha natura di tributo, esso deve pagarsi per la sola esistenza dell’impianto di depurazione anche se concretamente non fruito, osservando che comunque l’allaccio sarebbe possibile anche ‘se costoso.

Secondo la contribuente, invece, l’impianto di depurazione non può neppure considerarsi esistente perchè non è istituto in quella parte di territorio comunale ove insistono le sue officine, fisicamente separata dall’altra parte del territorio, ove insiste il depuratore, dal fiume Panaro.

Il motivo è fondato.

Si deve chiarire che il canone di fognatura e depurazione delle acque reflue di cui alla L. n. 319 del 1976, art. 16 aveva, all’epoca cui si riferisce il canone oggi in discussione (1990-1991), natura di tributo comunale e che solo successivamente detti canoni si sono trasformati da tributo a “corrispettivo di diritto privato”. In particolare della citata L. n. 319 del 1976, art. 17, prevedeva che fosse dovuta una quota parte di tariffa anche per il servizio depurazione “se istituito”. Pertanto, si è ritenuto obbligatorio il relativo pagamento per effetto della sola istituzione del servizio e dell’allaccio alla rete fognaria, indipendentemente dall’effettiva utilizzazione (Cass. n. 2820/2012). Questa Corte ha affermato che per far sorgere l’obbligo del pagamento del canone, è sufficiente che il Comune abbia istituito e predisposto gli impianti necessari per il relativo servizio e che esso sia concretamente fruibile dall’utente, a prescindere dalla sua utilizzazione o meno per fatto del destinatario medesimo (Cass. n.7209/2016).

La contribuente contesta proprio questo punto e cioè la esistenza e predisposizione dell’impianto di depurazione nello specifico territorio ove insistono i suoi locali e assume che, data la impossibilità di fruire del servizio, è come se il servizio fosse inesistente. La Corte d’appello invece ritiene che non si può distinguere tra parti del territorio dove l’impianto è istituito e dove non è istituito, posto che è possibile la fruizione dell’impianto sia pure a costi che rendono l’operazione non vantaggiosa, dovendosi realizzare una tubazione che attraversi il fiume Panaro.

In verità proprio queste affermazioni comprovano la bontà della tesi della ricorrente: il requisito della concreta fruibilità dell’impianto non può considerarsi sussistente, dal momento che l’utente, anche volendo, non può allacciarsi all’impianto di depurazione, mancando (all’epoca) la tubazione che, attraversando il fiume, raggiunge il territorio in questione. Se il Comune non ha completato l’impianto di depurazione con quelle strutture che, superando gli ostacoli naturali (in questo caso il fiume), consentono anche alla ricorrente di allacciarsi, l’impianto non si può considerare istituito e pertanto non è dovuto, nonostante la sua natura di tributo, il canone per la quota di depurazione, perchè effettivamente il servizio in quella specifica parte del territorio deve considerarsi inesistente. In tal senso questa Corte, con riferimento allo stesso territorio (riva destra del fiume Panaro) ha già ritenuto che un servizio di depurazione siffatto, cui sia impossibile allacciarsi è da considerarsi giuridicamente inesistente perchè si tratta di un servizio che l’ente non fornisce nè in grado di fornire (Cass. n. 18699/2004).

Il ricorso è pertanto da accogliere, e, cassando la sentenza impugnata può decidersi nel merito, non essendo necessari accertamenti in fatto, con l’accoglimento dell’originario ricorso del contribuente.

Il secondo motivo del ricorso riguarda le spese del giudizio, che tenendo conto dell’esito del giudizio, possono essere compensate nei giudizi di merito, stante il progressivo consolidamento della giurisprudenza in materia, avuto riguardo alla data di inizio della presente controversia (1993) e si liquidano secondo il principio della soccombenza per il giudizio di legittimità, come da dispositivo.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, accoglie l’originario ricorso del contribuente.

Compensa le spese dei gradi di merito e condanna il Comune di Finale Emilia al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 6.000,00, oltre rimborso spese forfetarie ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 3 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 22 maggio 2019

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