Corte di Cassazione, sez. V Civile, Sentenza n.13792 del 22/05/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE MASI Oronzo – Presidente –

Dott. CROLLA Cosmo – Consigliere –

Dott. CAPRIOLI Maura – rel. Consigliere –

Dott. MONDINI Antonio – Consigliere –

Dott. CAVALLARI Dario – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 25982-2016 proposto da:

FRUTTICOLTORI ASSOCIATI PARMENSI SOC. AGRICOLA COOPERATIVA IN LIQUIDAZIONE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA COSSERIA 5, presso lo studio dell’avvocato GUIDO FRANCESCO ROMANELLI, che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati CLAUDIO MAZZADI, VIRGILIO ANTELMI giusta delega a margine;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI SALA BAGANZA in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA GIOVANNI PAISIELLO 15, presso lo studio dell’avvocato GRAZIANO BRUGNOLI, rappresentato e difeso dall’avvocato MASSIMILIANO BATTAGLIOLA giusta delega in calce;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 317/2016 della COMM. TRIB. REG. di BOLOGNA, depositata il 08/02/2016;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 12/04/2019 dal Consigliere Dott. CAPRIOLI MAURA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. PEDICINI ETTORE che ha concluso per l’accoglimento del ricorso;

udito per il ricorrente l’Avvocato GATTO per delega dell’Avvocato ROMANELLI che si riporta e chiede l’accoglimento.

La Frutticoltori Associati Parmensi società agricola cooperativa in liquidazione (di seguito Fap) impugnava dinanzi alla CTP di Parma l’avviso di accertamento notificatole dal Comune di Sala Baganza per versamento dell’ICI in misura inferiore rispetto ai valori dichiarati per l’anno d’imposta 2006 relativamente a fabbricato del quale deduceva il carattere strumentale all’esercizio di attività agricola.

La CTP di Parma accoglieva il ricorso limitatamente alla parte relativa all’applicazione delle sanzioni e lo rigettava per quanto atteneva al versamento del tributo che assumeva dovuto in quanto non classificato nella categoria catastale D10.

La CTR Bologna investita dell’appello della contribuente con sentenza nr. 317 del 25.1.2016, lo rigettava ritenendo non rilevante la pronuncia nr. 39/2009 della CTR di Parma perchè riferita ad una diversa annualità rispetto a quella oggetto del contenzioso in discussione.

Escludeva poi che la presentazione in data 30.9.2011 della domanda di variazione catastale da parte della contribuente nella categoria D10, ai sensi del del D.L. n. 70 del 2011, art. 7, comma 2 bis, poteva incidere sulle annualità pregresse essendo gli atti di accertamento dell’imposta antecedenti alla suddetta istanza di variazione ed afferenti ad altra vicenda giudiziaria.

Avverso detta sentenza ricorre per cassazione la Frutticultori Associati Parmensi affidando il ricorso a tre motivi.

Il Comune di Comune di Sala Baganze resiste con controricorso.

Entrambe le parti hanno depositato memoria.

Con il primo motivo denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione fra le parti e la violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto in relazione all’art. 2909 c.c. (art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5).

Lamenta infatti che il Giudice d’appello non avrebbe considerato l’intervenuto passaggio in giudicato della sentenza della CTR di Parma nr. 30/2009 con cui era stata dichiarata la non assoggettabilità ad Ici per l’anno di imposta 2005 degli immobili di proprietà Fap in quanto strumentali alle attività agricole nonchè la sentenza di analogo tenore pronunciata dalla CTR di Parma (nr. 154/2015) con riferimento alle diverse annualità di imposta 2007, 2008 e 2009.

Con un secondo motivo deduce la violazione e la falsa applicazione del D.L. n. 557 del 1993, art. 9, comma 3 bis, del D.L. n. 207 del 2008, dell’art. 23,comma 1 bis e del DI 1992 nr 504 art. 2,comma 1 lett a) e del D.L. n. 70 del 2011, art. 7, comma 2 bis, convertito in L. n. 106 del 2011 e del D.L. 31 agosto 2013, n. 102, art. 2, comma 5 ter, convertito con la L. n. 124 del 2013.

La ricorrente si duole che il giudice di appello non avrebbe tenuto conto del corpo di norme sopravvenute dopo la decisione di primo grado e degli orientamenti giurisprudenziali formatesi sul punto in merito alla portata ed agli effetti della dichiarazione di variazione catastale facendo in tal modo erronea applicazione del DI 1993 nr 557 e delle altre norme sopra richiamate. Relativamente al primo profilo va osservato che il requisito della “ruralità” di un soggetto, la cui sussistenza è necessaria ai fini dell’imponibilità del reddito d’impresa, va accertato, in base ai suoi elementi costitutivi di cui al D.L. menzionato, art. 9 (trattandosi di impresa agricola e di fabbricato strumentale all’attività svolta dai soci della società).

Il vincolo oggettivo del giudicato esterno attiene solo i fatti che, per legge, hanno efficacia permanente o pluriennale, producendo effetti per un arco di tempo che comprende più periodi di imposta o nei quali l’accertamento concerne la qualificazione del rapporto.

In questo senso occorre ricordare i principi affermati da pregresse pronunce delle SS.UU. della Corte di Cassazione, le quali hanno avuto modo di rilevare che “Quando i giudizi tra le stesse parti abbiano riferimento al medesimo rapporto giuridico, ed uno di essi sia stato definito con sentenza passata in giudicato, l’accertamento così compiuto in ordine alla situazione giuridica ovvero alla soluzione di questioni di fatto e di diritto relative ad un punto fondamentale comune ad entrambe la cause, formando la premessa logica indispensabile della statuizione contenuta nel dispositivo della sentenza, preclude il riesame dello stesso punto di diritto accertato e risolto, anche se il successivo giudizio abbia finalità diverse da quelle che hanno costituito lo scopo ed il petitum del primo. Tale efficacia, riguardante anche i rapporti di durata, non trova ostacolo, in materia tributaria, nel principio dell’autonomia dei periodi d’imposta, in quanto l’indifferenza della fattispecie costitutiva dell’obbligazione relativa ad un determinato periodo rispetto ai fatti che si siano verificati al di fuori dello stesso, oltre a riguardare soltanto le imposte sui redditi ed a trovare significative deroghe sul piano normativo, si giustifica soltanto in relazione ai fatti non aventi caratteristica di durata e comunque variabili da periodo a periodo (ad esempio, la capacità contributiva, le spese deducibili), e non anche rispetto agli elementi costitutivi della fattispecie che, estendendosi ad una pluralità di periodi d’imposta (ad esempio, le qualificazioni giuridiche preliminari all’applicazione di una specifica disciplina tributaria), assumono carattere tendenzialmente permanente. In riferimento a tali elementi, il riconoscimento della capacità espansiva del giudicato appare d’altronde coerente non solo con l’oggetto del giudizio tributario, che attraverso l’impugnazione dell’atto mira all’accertamento nel merito della pretesa tributaria, entro i limiti posti dalle domande di parte, e quindi ad una pronuncia sostitutiva dell’accertamento dell’Amministrazione finanziaria (salvo che il giudizio non si risolva nell’annullamento dell’atto per vizi formali o per vizio di motivazione), ma anche con la considerazione unitaria del tributo dettata dalla sua stessa ciclicità, la quale impone, nel rispetto dei principi di ragionevolezza e di effettività della tutela giurisdizionale, di valorizzare l’efficacia regolamentare del giudicato tributario, quale norma agendi cui devono conformarsi tanto l’Amministrazione finanziaria quanto il contribuente nell’individuazione dei presupposti impositivi relativi ai successivi periodi d’imposta”. (Cass. SS. UU. n. 13916/2006; Cass. n. 23032/2015; Cass. n. 8658/2001, n. 6883/2001; cfr. anche sentenza 2017 nr. 10546; Cass. 2018 nr. 17760).

La preclusione del giudicato opera nel caso di giudizi identici – per soggetti, causa petendi e petitum – ma nei soli limiti dell’accertamento delle questioni di fatto e non anche in relazione alle conseguenze giuridiche, (v. Cass. n. 20029/11, 5727/18, 26457/17, 14303/17, 20257/15, 21395/17).

In questo caso non è possibile invocare la forza espansiva del giudicato esterno formatosi in relazione alla pronuncia della CTP di Parma nr. 30 del 2009 per far retroagire gli effetti della classificazione catastale (A/6- D/10) dei fabbricati rurali al fine di beneficiare dell’esenzione di cui al D.L. n. 504 del 1992, art. 7, comma 2 e art. 2.

Il primo motivo pertanto non merita accoglimento.

Relativamente alla seconda doglianza proposta va ribadito l’orientamento di legittimità in tema di Ici dei fabbricati rurali, non monolitico ma largamente prevalente, secondo cui: per la dimostrazione della ruralità dei fabbricati, ai fini del trattamento esonerativo, è dirimente l’oggettiva classificazione catastale con attribuzione della relativa categoria (A/6 per le unità abitative, o D/10 per gli immobili strumentali); sicchè l’immobile che sia stato iscritto come “rurale”, in conseguenza della riconosciuta ricorrenza dei requisiti previsti dal D.L. 30 dicembre 1993, n. 557, art. 9 (conv. in L. 26 febbraio 1994, n. 133) non è soggetto all’imposta, ai sensi del D.L. 30 dicembre 2008, n. 207, art. 23, comma 1 bis (conv. in L. 27 febbraio 2009, n. 14) e del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, art. 2, comma 1, lett. a); – per converso, qualora l’immobile sia iscritto in una diversa categoria catastale (di non ruralità), è onere del contribuente, che invochi l’esenzione dall’imposta, impugnare l’atto di classamento per la ritenuta ruralità del fabbricato, restandovi altrimenti quest’ultimo assoggettato; – allo stesso modo, il Comune deve impugnare autonomamente l’attribuzione della categoria catastale A/6 o D/10, al fine di poter legittimamente pretendere l’assoggettamento del fabbricato all’Ici.

Si tratta di orientamento già fissato dalla sentenza SSUU n. 18565/09, secondo cui: “in tema di imposta comunale sugli immobili (ICI), l’immobile che sia stato iscritto nel catasto fabbricati come rurale, con l’attribuzione della relativa categoria (A/6 o D/10), in conseguenza della riconosciuta ricorrenza dei requisiti previsti dal D.L. n. 557 del 1993, art. 9,conv. con L. n. 133 del 1994, e successive modificazioni, non è soggetto all’imposta ai sensi del combinato disposto del D.L. n. 207 del 2008, art. 23, comma 1 bis, convertito con modificazioni dalla L. n. 14 del 2009 e del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 2, comma 1, lett. a). L’attribuzione all’immobile di una diversa categoria catastale deve essere impugnata specificamente dal contribuente che pretenda la non soggezione all’imposta per la ritenuta ruralità del fabbricato, restando altrimenti quest’ultimo assoggettato ad ICI: allo stesso modo il Comune dovrà impugnare l’attribuzione della categoria catastale A/6 o D/10 al fine di potere legittimamente pretendere l’assoggettamento del fabbricato all’imposta”.

Tuttavia, vanno evidenziati, quale ius superveniens, i seguenti disposti che hanno incidenza per l’esito della presente controversia: 1) il D.L. 13 maggio 2011, n. 70, convertito dalla L. 12 luglio 2011, n. 106, che, all’art. 7, comma 2 bis, ha previsto che, ai fini del riconoscimento della ruralità degli immobili, i contribuenti avessero la facoltà (esercitabile entro il 30 settembre 2011) di presentare all’allora Agenzia del Territorio una domanda di variazione della categoria catastale per l’attribuzione delle categoria A/6 e D/10, a seconda della destinazione, abitativa o strumentale dell’immobile, sulla base di un’autocertificazione attestante che l’immobile possedeva i requisiti di ruralità di cui al D.L. n. 557 del 1993, art. 9, convertito in L. n. 133 del 1994, e modificato dal D.L. 1 ottobre 2007, n. 159, art. 42 bis, convertito con modificazioni in L. 29 novembre 2007, n. 159, “in via continuativa a decorrere dal quinto anno antecedente a quello di presentazione della domanda”; 2) dal D.L. 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, in L. 22 dicembre 2011, n. 214, che ha quindi previsto, all’art. 13, comma 14 bis, che le domande di variazione di cui al predetto D.L. n. 70 del 2011, producessero “gli effetti previsti in relazione al riconoscimento del requisito della ruralità fermo restando il classamento originario degli immobili ad uso abitativo”; 3) il D.M. Economia e Finanze 26 luglio 2012, che ha stabilito, all’art. 1, che “Ai fabbricati rurali destinati ad abitazione ed ai fabbricati strumentali all’esercizio dell’attività agricola è attribuito il classamento, in base alle regole ordinarie, in una delle categorie catastali previste nel quadro generale di qualificazione. Ai fini dell’iscrizione negli atti del catasto della sussistenza del requisito di ruralità in capo ai fabbricati rurali di cui al comma 1, diversi da quelli censibili nella categoria D/10 (Fabbricati per funzioni produttive connesse alle attività agricole), è apposta una specifica annotazione. Per il riconoscimento del requisito di ruralità, si applicano le disposizioni richiamate al D.L. 30 dicembre 1993, n. 557, art. 9, convertito, con modificazioni, dalla L. 26 febbraio 1994, n. 133 e art. 2 Presentazione delle domande per il riconoscimento del requisito di rurali”; 4) dal D.L. 31 agosto 2013, n. 102, convertito, con modificazioni, in L. 28 ottobre 2013, n. 124, art. 2, comma 5 ter, che ha stabilito che “ai sensi della L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 1, comma 2, del D.L. 6 dicembre 2011, n. 201, art. 3, comma 14 bis, convertito, con modificazioni, dalla L. 22 dicembre 2011, n. 214, deve intendersi nel senso che le domande di variazione catastale presentate ai sensi del D.L. 13 maggio 2011, n. 70, art. 7, comma 2 bis, convertito, con modificazioni, dalla L. 13 maggio 2011, n. 106, e l’inserimento dell’annotazione degli atti catastali, producono gli effetti previsti per il requisito di ruralità di cui al D.L. 30 dicembre, n. 557, art. 9, convertito, con modificazioni, dalla L. 26 febbraio 1994, n. 133, e successive modificazioni, a decorrere dal quinto anno antecedente a quello di presentazione della domanda”.

Si tratta infatti di disposizioni che rafforzano l’orientamento esegetico già adottato dalle SSUU nel 2009, in quanto disciplinano le modalità (di variazione-annotazione) attraverso le quali è possibile pervenire alla classificazione della ruralità dei fabbricati, anche retroattivamente, onde beneficiare dell’esenzione Ici; sulla base di una procedura ad hoc che non avrebbe avuto ragion d’essere qualora la natura esonerativa della ruralità fosse dipesa dal solo fatto di essere gli immobili concretamente strumentali all’attività agricola, a prescindere dalla loro classificazione catastale conforme.

Secondo il dettato normativo, su menzionato, di cui al D.L. n. 102 del 2013, art. 2, comma 5 ter, convertito in L. n. 124 del 2013; le domande di variazione catastale, ai fini del riconoscimento del requisito di ruralità, producono effetto “a decorrere dal quinto anno antecedente a quello di presentazione della domanda”.

Nel caso di specie, risulta che la F.A.P. aveva presentato in data 30.9.2011 domanda di variazione catastale della categoria D10 usufruendo dell’opportunità di legge, (corredata, dalla successiva autocertificazione) – con successivo inserimento agli atti catastali della dichiarazione di sussistenza dei requisiti di ruralità, -; con conseguente effetto retroattivo anche a valere per gli anni d’imposizione oggetto del presente giudizio.

Ciò è conforme agli ultimi orientamenti giurisprudenziali “aggiornati” alla normativa sopra indicata: “In tema d’ICI, le variazioni della categoria catastale D.L. n. 70 del 2011, ex art. 7, comma 2 bis, convertito con modificazioni nella L. n. 106 del 2011, producono effetti, ai fini del riconoscimento del requisito della ruralità degli immobili, dal quinquennio antecedente alla presentazione della domanda, in virtù della norma d’interpretazione autentica di cui al D.L. n. 102 del 2013, art. 2, comma 5 ter, convertito in L. n. 124 del 2013” (Cass. ord. n. 24366/16, 24020715; Cass. 2017 nr. 16280).

Gli effetti retroattivi connessi alla dichiarazione di variazione catastale portano a ritenere assorbito il terzo motivo del ricorso con cui era stata censurata la violazione del D.L. n. 102 del 2013, art. 2, comma ter, in relazione alla affermata necessità di presentare ai fini dell’esenzione Ici per i fabbricati della ricorrente Fap di apposita istanza al Comune.

La sentenza in accoglimento del secondo motivo, rigettato il primo e assorbito il terzo, va cassata e decisa nel merito non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, stante il pacifico inserimento del manufatto al catasto come rurale annullando l’avviso di accertamento per all’anno d’imposta 2006.

Resta da definire la questione delle spese relative alla fase di merito.

Ritiene la Corte che gli oneri processuali vadano compensate tenuto conto che la questione giuridica ha trovato soluzione alla luce di interventi legislativi.

Le spese della presente fase vanno poste a carico della controricorrente e liquidate in dispositivo secondo i criteri del D.M. n. 37 del 2018.

P.Q.M.

La Suprema Corte:

Accoglie il ricorso, cassa la decisione e decidendo nel merito accoglie l’originario ricorso del contribuente; compensa le spese delle fasi di merito;

condanna il Comune di Sala Baganza al pagamento delle spese processuali che si liquidano in complessivi Euro 2500,00 oltre accessori di legge ed al 15% per spese generali.

Così deciso in Roma, il 12 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 22 maggio 2019

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