LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DE MASI Oronzo – Presidente –
Dott. CROLLA Cosmo – Consigliere –
Dott. CAPRIOLI Maura – Consigliere –
Dott. MONDINI Antonio – rel. Consigliere –
Dott. CAVALLARI Dario – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 2489-2015 proposto da:
MANZI SRL in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA MARIA CRISTINA 8, presso lo studio dell’avvocato GOFFREDO GOBBI, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato DENIS CAMPANA giusta delega a margine;
– ricorrente –
contro
COMUNE DI CURNO in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA MERULANA 141, presso lo studio dell’avvocato ANTONFRANCESCO VENTURINI, rappresentato e difeso dall’avvocato VALTER GENTILI giusta delega a margine;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 5583/2014 della COMM. TRIB. REG. SEZ. DIST. di BRESCIA, depositata il 28/10/2014;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 12/04/2019 dal Consigliere Dott. MONDINI ANTONIO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. PEDICINI ETTORE che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito per il ricorrente l’Avvocato CAMPANA che ha chiesto l’accoglimento;
udito per il controricorrente l’Avvocato GENTILI che ha chiesto il rigetto.
FATTI DELLA CAUSA 1. Con il ricorso proposto per la cassazione della sentenza emessa dalla commissione tributaria regionale della Lombardia in data 28 ottobre 2014, con n. 5583, la srl Manzi investe la Corte della questione della debenza dell’Ici su aree gravate di servitù di uso pubblico (nella specie: aree in proprietà, pro quota, di essa ricorrente e su cui, per contratto con il Comune di Curno, è stata costituita una servitù di uso pubblico).
2. La commissione ha deciso per la debenza dell’imposta pretesa dal Comune con quattro avvisi di accertamento relativi agli anni dal 2006 al 2009, sulla base della motivazione per cui il D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 3, contempla quali soggetti passivi del tributo il proprietario dell’immobile ovvero il titolare del diritto di usufrutto, di uso, di abitazione, di enfiteusi o di superficie sull’immobile ma non il titolare del diritto di servitù con la conseguenza che per gli immobili in questione, soggetti a servitù, l’imposta resta a carico della ricorrente.
3. Quest’ultima sostiene che la commissione ha falsamente applicato gli artt. 1027 e 1069 c.c., ha violato gli artt. 825 e 1021 c.c. e il D.Lgs. n. 504 del 1992, artt. 1,2 e 3, in quanto ha considerato la c.d. servitù di uso pubblico come vera servitù laddove invece avrebbe dovuto considerarla come diritto reale costituito ai sensi dell’art. 825 c.c. per il conseguimento di fini di pubblico interesse corrispondenti a quelli a cui servono i beni demaniali medesimi ed in particolare come diritto d’uso (art. 1021 c.c.) coi conseguente esclusione dell’obbligo impositivo a carico della proprietà.
4. Il Comune di Curno resiste con controricorso.
5. Entrambe le parti hanno depositato memoria illustrativa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. La sentenza oggetto di impugnazione, una volta emendata dall’errore motivazionale da cui è affetta, resiste alle censure della ricorrente.
2. La servitù di uso pubblico è definibile come diritto di uso di beni privati da parte di una collettività di persone non individuate. Tale diritto è diverso dalla servitù come definita dall’art. 1027 c.c. (“peso imposto su un fondo a vantaggio di altro fondo appartenente a diverso proprietario”) per l’assorbente ragione che difetta il requisito della predialità (manca infatti un fondo dominante). Di qui la necessità di correggere la motivazione della sentenza impugnata.
3. La c.d. servitù di uso pubblico è uno ius in re aliena di natura reale e pubblicistica, determinativo dell’impossibilità per il proprietario del fondo asservito di opporsi al relativo uso da parte dei componenti la collettività, riconducibile ad una autonoma categoria di diritti reali parziari, con base normativa rinvenibile nell’art. 825 c.c., seconda parte (Diritti demaniali su beni altrui. 1. Sono parimenti soggetti al regime del demanio pubblico i diritti reali che spettano allo Stato, alle province e ai comuni su beni appartenenti ad altri soggetti, quando i diritti stessi sono costituiti per l’utilità di alcuno dei beni indicati dagli articoli precedenti o per il conseguimento di fini di pubblico interesse corrispondenti a quelli a cui servono i beni medesimi), la cui titolarità spetta all’ente pubblico non in quanto tale ma in quanto ente esponenziale della collettività utilizzatrice. Va peraltro notato che il proprietario, sebbene non più uti dominus e in via esclusiva, ma come parte della collettività impersonata dal comune mantiene il possesso degli immobili in questione.
4. Atteso il (già ricordato) disposto del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 3 e stante la autonomia del diritto reale parziario in questione rispetto ad ogni altro diritto reale minore -segnatamente rispetto al diritto d’uso, evocato dalla ricorrente con richiamo dell’art. 1021 c.c., prima parte, ma non assimilabile alla servitù di uso pubblico in primo luogo perchè avente per contenuto la facoltà, spettante all’usuario, di godimento diretto del bene altrui laddove, nel caso di servitù di uso pubblico, tale facoltà non spetta all’ente titolare del diritto ma alla collettività di riferimento e in secondo luogo perchè necessariamente definito nel tempo, come precisato da questa Corte con la sentenza 14 settembre 1991, n. 9593, laddove la servitù di uso pubblico, essendo correlata ad un bisogno duraturo della collettività di riferimento, è tendenzialmente perpetua -, soggetto passivo dell’imposta per immobili la cui proprietà sia limitata in funzione dell’interesse collettivo non può che essere il proprietario.
5. Il ricorso deve essere rigettato.
6. Le spese seguono la soccombenza.
7. Ai sensi del T.U. approvato con il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il pagamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
P.Q.M.
rigetta il ricorso;
condanna la ricorrente a rifondere al Comune di Curno le spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 600,00, oltre spese forfetarie e accessori di legge; ai sensi del T.U. approvato con il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il pagamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, nella camera di Consiglio, il 12 aprile 2019.
Depositato in Cancelleria il 22 maggio 2019