LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CRUCITTI Roberta – Presidente –
Dott. CATALDI Michele – Consigliere –
Dott. CONDELLO Pasqualina A.P. – Consigliere –
Dott. FEDERICI Francesco – rel. Consigliere –
Dott. FRACANZANI Marcello M. – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 236-2015 proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
S.O., elettivamente domiciliata in ROMA VIA DELLE TRE MADONNE 18, presso lo studio dell’avvocato ALESSANDRA ZAMBRINO, rappresentata e difesa dall’avvocato DOMENICO ROMANO;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 4881/2014 della COMM. TRIB. REG. della CAMPANIA, depositata il 20/05/2014;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 28/03/2019 dal Consigliere Dott. FEDERICI FRANCESCO.
RITENUTO
che:
L’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza n. 4881/03/2014, depositata dalla Commissione Tributaria Regionale della Campania il 20.05.2014, con la quale, confermando la decisione di primo grado, era accolto il ricorso di S.O. avverso il silenzio rifiuto opposto dalla Amministrazione alla istanza di rimborso delle imposte trattenute dal Ministero delle Finanze, in occasione del suo pensionamento, per la corresponsione dall’apposito Fondo di previdenza di Euro 43.925,00 a titolo di indennità supplementare.
La S. aveva adito la Commissione Tributaria Provinciale di Caserta, che con sentenza n. 585/08/2012 aveva accolto il ricorso sull’assunto che l’indennità spettante era costituita da contributi versati dai dipendenti del Ministero e come tale non era assoggettabile ad Irpef. L’Agenzia impugnava la decisione dinanzi alla Commissione Tributaria Regionale della Campania, che con la sentenza ora al vaglio della Corte rigettava l’appello sulla base delle medesime ragioni del giudice di primo grado.
L’Agenzia censura la sentenza con un solo motivo, dolendosi della violazione del D.P.R. n. 917 del 1986, artt. 17 e 19, nonchè del D.P.R. n. 1034 del 1984, art. 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per aver erroneamente sostenuto che il Fondo di previdenza per il personale del Ministero delle Finanze istituito con D.P.R. n. 211 del 1981 fosse costituito per effetto esclusivo di contributi dei dipendenti.
Ha dunque chiesto la cassazione della sentenza, con ogni consequenziale statuizione.
Si è costituita la contribuente, che ha contestato il ricorso, sollevando eccezioni di inammissibilità e nel merito insistendo per la sua infondatezza.
CONSIDERATO
che:
Esaminando preliminarmente le eccezioni di inammissibilità sollevate dalla controricorrente, esse sono entrambe infondate.
E’ infondato l’eccepito difetto di autosufficienza del ricorso, perchè, al contrario di quanto sostenuto dalla difesa della contribuente, esso, invocando un error iuris in iudicando, contiene gli esatti riferimenti normativi in base ai quali l’unico motivo è stato formulato, la sufficiente esposizione delle ragioni giuridiche sulle quali il giudice regionale ha inteso costruire la decisione, la circoscritta ricostruzione delle ragioni giuridiche per le quali l’Agenzia sostiene una interpretazione diversa da quella accolta nella sentenza impugnata.
E’ infondata anche la seconda eccezione di inammissibilità, invocata ai sensi dell’art. 360 bis c.p.c., perchè, sebbene al momento del deposito del ricorso esistevano precedenti di legittimità conformi alla decisione assunta dal giudice regionale, i motivi di impugnazione erano comunque già idonei a prospettare ragioni per il mutamento di quell’orientamento, come poi effettivamente verificatosi.
La questione che si pone è quella della qualificazione dell’indennità spettante al dipendente del Ministero economico al momento del pensionamento, in particolare dell’indennità erogata dal Fondo di Previdenza per il personale del Ministero dell’Economia e delle Finanze all’atto della cessazione dal servizio, nonchè della composizione del fondo medesimo.
E’ incontestato che l’indennità ha natura di “indennità equipollente” al trattamento di fine rapporto, mentre il contrasto maggiore che emerge tra le rispettive posizioni riguarda la composizione del fondo. Per l’Agenzia esso è formato da contribuzione pubblica, con conseguente tassazione; per i contribuenti sarebbe composto da contributi a carico del dipendente e da esso versati nel fondo previdenziale, con conseguente esclusione della tassazione.
In ordine alla base imponibile e al calcolo dell’imposta per le indennità equipollenti si era già posto il problema se in esse fossero comprese le indennità di buonuscita, la cui inclusione era stata negata in origine da una parte della dottrina e soprattutto dalla giurisprudenza per una pretesa natura assistenziale o previdenziale delle medesime o per una disparità di trattamento rispetto alle assicurazioni sulla vita. Riconosciutane la natura retributiva per l’intervento della Corte Cost. (sent. n. 178/1986), si era tuttavia consentito che dal suo ammontare fosse detraibile ai fini impositivi una somma pari al contributo che il lavoratore versa al Fondo di Previdenza (all’epoca l’Enpas). Il TUIR, art. 17, recepiva la nuova disciplina. Il problema posto inizialmente per la sola indennità di buonuscita, fu successivamente sollevato per tutte le altre indennità equipollenti, alla cui formazione contribuisce direttamente il lavoratore. Alla soluzione negativa prevalsa in un primo tempo seguì poi un cambio di rotta, dettato da esigenze di maggiore equità fiscale, sicchè il Legislatore – con il D.L. n. 70 del 1988, art. 4, comma 3, convertito con L. n. 154 del 1988 – ha esteso la disciplina delle indennità di buonuscita a tutte le indennità equipollenti a cui il lavoratore concorre direttamente. Ciò ha comportato la modifica parziale del TUIR, art. 17, comma 1 (ratione temporis vigente, la cui disciplina è ora contenuta nel TUIR, art. 19,comma 2 bis), formulato senza specificare la percentuale a carico del contribuente, così come previsto per l’indennità di buonuscita, ma più genericamente, poichè in tema di indennità equipollenti l’importo a carico del lavoratore varia in relazione all’istituto cui fa capo l’erogazione della indennità.
La premessa fa meglio comprendere come nel caso di specie si fronteggiano due opposte posizioni, che non mettono astrattamente in discussione l’esenzione dalla tassazione dell’indennità, qualora composta con i soli contributi del lavoratore, e di contro la sua imponibilità quando a totale carico dell’ente. Il contrasto, quanto al caso concreto, insorge perchè l’Agenzia esclude che alla costituzione del Fondo partecipi direttamente il dipendente; i controricorrenti al contrario affermano che le entrate che compongono il Fondo siano state a carico del lavoratore.
La giurisprudenza di legittimità ha in passato accolto la ricostruzione del contribuente, affermando che non sia assoggettabile ad imposta l’indennità supplementare corrisposta all’atto della cessazione dal servizio, in epoca successiva al 30 settembre 1985, dal Fondo di previdenza per i dipendenti del Ministero delle finanze. Ciò perchè, pur assimilabile alle “indennità equipollenti” di cui al D.P.R. n. 917 del 1986, art. 17, comma 1 (nel testo, applicabile “ratione temporis”, in parte sostituito dal D.L. 14 marzo 1988, n. 70, art. 4, comma 3 ter – convertito in L. n. 154 del 1988 -, avente efficacia retroattiva, originariamente dal 17 luglio 1986 e successivamente, per il disposto del D.L. n. 69 del 1989, art. 2 bis – convertito in L. n. 154 del 1989 -, dal 30 settembre 1985), è formata esclusivamente dalle contribuzioni dei dipendenti (Cass., sent. n. 9430/2003). Su tale precedente si è fondata la difesa della S..
Un orientamento più recente tuttavia ha affermato che l’indennità supplementare corrisposta all’atto della cessazione dal servizio dal Fondo di previdenza per i dipendenti del Ministero delle finanze ha funzione esclusivamente previdenziale ed è assimilabile alle “indennità equipollenti” di cui al D.P.R. n. 917 cit., art. 17, comma 1, rappresentando così una forma di retribuzione differita con applicazione di tassazione separata e non integrale, per essere la composizione del fondo costituita in massima parte da premi di produttività o da incentivi da parte dell’istituto (Cass., sent. 19859/2016; 25396/2017).
Il recente ripensamento, con evidenza valorizzando il principio di omnicomprensività della retribuzione, ha registrato in particolare che le entrate che concorrono alla formazione del suddetto fondo previdenziale, ai sensi del D.P.R. n. 1034 del 1984, art. 2, fanno in gran parte riferimento a proventi derivanti dalle sanzioni pecuniarie ed a percentuali di vincite del gioco del lotto, nonchè ad altre indennità perequative pensionabili, utili anche ai fini dell’indennità di buonuscita, collegabili a scelte premiali o ai servizi straordinari effettuati dal personale. Tale natura non è contestata dagli stessi contribuenti, i quali tuttavia non traggono l’ovvia conseguenza, invece tratta dalla recente rielaborazione giurisprudenziale. Ed infatti si è condivisibilmente sostenuto che, per la fonte, la finalità e la natura dei proventi che lo compongono – premi di produttività ed incentivi all’attività d’istituto -, tale fondo costituisce una forma di retribuzione differita, che lo fa rientrare nel perimetro normativo del TUIR, artt. 17-19 (già artt. 16-17) come “indennità equipollente” e quindi, come tale, da assoggettare a tassazione separata e non a tassazione integrale.
Il principio va mutuato per la decisione di questa causa, e poichè la sentenza del giudice regionale non ne ha tenuto conto, essa va cassata, con rinvio alla Commissione Tributaria Regionale della Campania, la quale in diversa composizione, oltre che sulle spese, dovrà accertare se gli importi trattenuti dalla Amministrazione al momento della corresponsione dell’indennità furono calcolati secondo i principi della tassazione separata o diversamente. Ciò al fine di verificare se le somme trattenute a titolo di imposta siano state pari o superiori al dovuto.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza e rinvia alla Commissione Tributaria regionale della Campania, che in diversa composizione deciderà anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 28 marzo 2019.
Depositato in Cancelleria il 22 maggio 2019