Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.13801 del 22/05/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRUCITTI Roberta – Presidente –

Dott. CATALDI Michele – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina A.P. – Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – rel. Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello M. – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1448-2015 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

A.L., elettivamente domiciliato in ROMA VIA DELLA CONCILIAZIONE 44, presso lo studio dell’avvocato GIULIANO SEGATO, rappresentato e difeso dall’avvocato ROBERTO CERISANO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 5329/2014 della COMM. TRIB. REG. del LAZIO, SEZ. DIST. di LATINA, depositata il 28/08/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 28/03/2019 dal Consigliere Dott. FEDERICI FRANCESCO.

RITENUTO

che:

L’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza n. 5329/40/2014, depositata dalla Commissione Tributaria Regionale del Lazio, Sez. staccata di Latina, il 28.08.2014, la quale, in sede di giudizio di rinvio ex art. 394 c.p.c., aveva disposto il rimborso in favore di A.L. della somma di Euro 108.809,41 per imposte non dovute.

Ha rappresentato che la controversia traeva origine dalla istanza di rimborso presentata dall’ A., tesa ad ottenere la restituzione delle ritenute fiscali effettuate a suo dire indebitamente da Fondenel sulla liquidazione della propria quota di partecipazione al Fondo, pari ad 1.324.831.265 di vecchie lire (Euro 684.218,24), sulla quale erano state eseguite trattenute pari ad Euro 126.547,31 (già Lire 244.995.592) applicando l’aliquota media del 29,59% prevista per il TFR. L’Ufficio aveva rigettato l’istanza, ritenuta infondata perchè alla quota liquidata era stata correttamente applicata la tassazione separata. Il contribuente, che invece riteneva del tutto illegittimo il regime impositivo applicato, sostenendo di contro che alle prestazioni erogate in forma di capitale in dipendenza di contratti di assicurazione o capitalizzazione maturati a favore degli iscritti la ritenuta dovesse essere operata nella misura del 12,5% (peraltro sulla differenza tra il capitale erogato e i premi riscossi, ai sensi del TUIR, art. 42, comma 4, ratione temporis vigente), aveva adito la Commissione Tributaria Provinciale di Latina, che con la sentenza n. 308/02/2007 accoglieva il ricorso, dichiarando tassabile l’intero importo con l’aliquota del 12,5%. Avverso la pronuncia l’Agenzia ricorreva dinanzi alla Commissione Tributaria Regionale del Lazio, che tuttavia rigettava l’appello con sentenza n. 703/40/2009. Impugnata anche tale pronuncia, questa Corte, con ordinanza n. 23965/2012, cassava la decisione della Commissione regionale, rinviando il processo al giudice d’appello per il riesame del merito della controversia, somministrando il principio di diritto cui attenersi per la definizione della controversia.

All’esito del giudizio di rinvio la Commissione Tributaria Regionale del Lazio, con la sentenza oggetto del presente ricorso, riconosceva il diritto al rimborso nella misura di Euro 108.809,41.

L’Agenzia censura la decisione con tre motivi.

Con il primo per violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, perchè affetta da nullità per motivazione apparente;

con il secondo per violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1982, art. 63, comma 1, per non essersi attenuta al principio di diritto enunciato dalla Corte di cassazione;

con il terzo per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per non aver verificato se le somme affluite nel fondo PIA fossero state o meno impiegate sui mercati finanziari e, per l’ipotesi affermativa, l’importo del “rendimento di polizza” ed il suo ammontare.

Ha dunque chiesto la cassazione della sentenza con rinvio al giudice di merito per nuovo esame.

Si è costituito il contribuente che ha eccepito l’inammissibilità e nel merito l’infondatezza dei motivi, chiedendo il rigetto del ricorso. Ha depositato memorie.

CONSIDERATO

che:

Il primo motivo di ricorso, con il quale l’Agenzia si duole della nullità della sentenza per motivazione apparente, è fondato.

La sentenza del giudice del rinvio, dopo aver accennato all’oggetto del contendere e allo sviluppo delle precedenti fasi processuali, con sommaria descrizione delle posizioni assunte dalle parti, così motiva la decisione: “…esaminati gli atti, ritiene fondato il Ricorso per Riassunzione e ne condivide le argomentazioni addotte a sostegno. Il Collegio rileva che, alla luce della distinzione tra l’importo derivante dal rendimento e quello della sorte capitale, ricavabile per differenza, deve essere ricalcolato l’intero importo delle imposte dovute in sede di liquidazione. I rilievi e le eccezioni formulate dall’Amministrazione finanziaria, in questo grado di giudizio, non sono condivisibili e devono essere rigettati. Dalla documentazione in atti si evince la modalità di rendimento del capitale investito nel fondo PIA/FONDENEL, l’evoluzione delle riserve matematiche ed i conteggi imputabili ai rendimenti annuali. La Commissione pertanto riconosce il diritto al rimborso al contribuente, alla luce delle risultanze processuali, che viene quantificato nella somma di Euro 108.809,41 oltre interessi di legge dal 26/01/2001 alla data del soddisfo.”.

Il vizio di omessa o apparente motivazione della sentenza ricorre non solo allorquando il giudice di merito abbia omesso di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento, ma anche quando li abbia indicati senza una loro approfondita disamina logica o giuridica (cfr. Cass., ord. n. 9105/2017), o, ancora, quando la stessa disamina verta su principi generali e fattispecie astratte, senza però ricondurre il ragionamento all’esame della fattispecie concreta oggetto di controversia. Si è anzi riconosciuta l’apparenza della motivazione quando, benchè graficamente esistente, non sia chiaro il ragionamento seguito dal giudice nella formazione del proprio convincimento, così che sia lasciato all’interprete il compito di integrazione con varie e ipotetiche congetture (Sez. U, sent. n. 22232/2016). Ciò accade anche in quelle ipotesi in cui le questioni prospettate siano anche pertinenti ed idonee quale materiale di base per altre e successive argomentazioni. Nello sviluppo della motivazione tuttavia tali successive argomentazioni devono seguire, poichè nella tessitura logica della ricostruzione della fattispecie e nella sua valutazione giuridica sono esse a sorreggere infine la decisione del caso concreto. Se mancanti, è l’intero processo motivazionale che viene meno, emergendo un vizio processuale. D’altronde si reputa mancante del requisito previsto dall’art. 132 c.p.c., comma 1, n. 4 e pertanto nulla, la sentenza la cui motivazione consista nel dichiarare sufficienti i motivi esposti nell’atto che ha veicolato la domanda accolta, senza indicare le ragioni giuridiche o fattuali che il giudice abbia condiviso nel caso concreto (Cass., sent. n. 7402/2017).

In conclusione è necessario che siano percepibili le ragioni della decisione in rapporto al caso concreto, cioè che siano percepibili le argomentazioni obiettivamente idonee a far conoscere l’iter logico seguito dal giudice per la formazione del suo convincimento, al fine di un effettivo controllo sull’esattezza e pertinenza del ragionamento, in assenza del quale – a prescindere dal confronto con le risultanze processuali – l’anomalia motivazionale implica una violazione di legge costituzionalmente rilevante, integrando un error in procedendo che comporta la nullità della sentenza impugnata per cassazione.

Ebbene, nel caso di specie il giudice regionale, investito come giudice del rinvio e chiamato ad applicare il principio di diritto già somministrato dalla Corte di legittimità, si è limitato ad un richiamo generico all’esito del giudizio di cassazione, affermando poi, senza alcuno specifico riferimento a quale documentazione abbia fatto ricorso, che “Dalla documentazione in atti si evince la modalità di rendimento del capitale investito nel fondo PIA/FONDENEL, l’evoluzione delle riserve matematiche ed i conteggi imputabili ai rendimenti annuali.” senza null’altro aggiungere. Non è dato evincere neppure quali fossero gli importi compresi nel cd. rendimento. Ciò rende del tutto incomprensibile il ragionamento, ed apparente la motivazione, manifestando peraltro la totale inosservanza proprio di quei principi e di quei meccanismi di calcolo tracciati già con Sez. U, sent. n. 13642/2011 cit., e poi con i successivi arresti (ad es. cfr. n. 1977/2015; n. 720/2017; 24525/2017; 25496/2018), nonchè, infine, dalla decisione assunta nel caso concreto nel precedente vaglio della Corte, la quale aveva fissato il principio, volto a circoscrivere l’applicabilità dell’aliquota del 12,50% “ai soli importi corrispondenti al rendimento netto derivante dall’impiego sul mercato del capitale costituito dagli accantonamenti imputabili ai contributi versati al fondo dal datore di lavoro e dal lavoratore”. Principio chiaro, che dunque riconduce l’applicabilità della aliquota del 12,50% alla sola frazione di denaro corrispondente alla voce “rendimento” e non all’intero importo eventualmente investito, e sempre che tale investimento fosse effettivamente avvenuto nell’alveo delle somme già predestinate e versate, per il dipendente, nel fondo PIA, con specifica prova sul punto.

Il motivo trova dunque accoglimento e la sentenza va dichiarata nulla. L’accoglimento del primo assorbe il secondo e terzo motivo.

Ritenuto che:

La nullità della sentenza comporta la sua cassazione con rinvio del processo alla Commissione Tributaria Regionale del Lazio, che in altra composizione deciderà la causa secondo i principi declinati sull’oggetto del contendere dalla precedente decisione della Corte n. 23965/2012, nonchè sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa e rinvia alla Commissione Tributaria Regionale del Lazio, che in altra composizione deciderà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 28 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 22 maggio 2019

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