LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ORICCHIO Antonio – Presidente –
Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –
Dott. BELLINI Ubaldo – rel. Consigliere –
Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –
Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 26835/2015 proposto da:
T.A., rappresentato e difeso dall’Avvocato SUSANNA SANTINI, ed elettivamente domiciliato presso lo studio dell’Avv. Claudio Guccione, in ROMA, C.SO d’ITALIA 45;
– ricorrente –
contro
P. COSTRUZIONI s.r.l., in persona del legale rappresentante Arch. P.M., rappresentata e difesa dagli Avvocati RANIERI FELICI, ANTONIO FELICI e ANDREA DEL VECCHIO, ed elettivamente domiciliata presso lo studio di quest’ultimo, in ROMA, V.LE GIULIO CESARE 71;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 775/2014 della CORTE di APPELLO di ANCONA, pubblicata il 23/10/2014;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 15/01/2019 dal Consigliere Dott. UBALDO BELLINI.
FATTI DI CAUSA
Con atto di citazione notificato in data 25.2.1999 T.A. conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Macerata la P. COSTRUZIONI S.R.L., esponendo di essere comproprietario per un mezzo indiviso di un edificio sito in *****, confinante con l’immobile sul quale la società convenuta stava realizzando un intervento edilizio, in virtù di concessione edilizia n. ***** rilasciata, in data 26.7.1995, per ristrutturazione, ampliamento e aumento di altezze; che, in realtà, tale intervento era consistito nel completo abbattimento del precedente edificio e ricostruzione di un complesso edilizio del tutto nuovo, sicchè sarebbe stato necessario il rilascio di concessione per nuova costruzione; che il nuovo immobile era realizzato per una volumetria maggiore rispetto a quella consentita, posto che doveva essere rispettato l’indice di edificabilità vigente al momento di realizzazione dell’edificio demolito (1,5 metri cubi per metro quadrato di area edificabile), mentre nel progetto presentato dalla società convenuta veniva utilizzato come indice di edificabilità il parametro di 1,8 metri cubi per metro quadrato; che ciò aveva determinato un illegittimo aumento di volumetria del nuovo edificio, che aveva cagionato una perdita di amenità e godibilità dell’edificio di proprietà dell’attore; che, a seguito dell’accertamento effettuato dal Comune di *****, erano risultate diverse violazioni anche rispetto alla concessione edilizia rilasciata; che era stata inoltre violata la normativa in materia di distanze tra costruzioni.
Chiedeva, pertanto, la condanna della società convenuta all’arretramento della porzione di edificio che non rispettava le distanze tra costruzioni e, in caso di impossibilità dell’arretramento, la condanna della stessa al risarcimento del danno; la condanna della convenuta al risarcimento del danno determinato dalla maggiore volumetria, da considerarsi illegittima, che il nuovo immobile presentava.
Si costituiva in giudizio la società convenuta, eccependo il difetto di giurisdizione del Giudice ordinario e rilevando che nel corso dei lavori erano state apportate modifiche all’edificio di sua proprietà, arretrandolo in modo da rispettare la normativa in materia di distanze tra costruzioni. In via riconvenzionale, chiedeva la condanna di parte attrice al risarcimento dei danni cagionati dal fatto che le iniziative giudiziarie dell’attore avevano impedito la vendita a terzi dell’immobile realizzato a tal fine dalla convenuta.
Con sentenza n. 350/1999, depositata in data 26.3.1999, il Tribunale di Macerata condannava la società convenuta al pagamento in favore dell’attore, a titolo di risarcimento del danno, dell’importo di Euro 5.000,00, oltre interessi di legge dalla pubblicazione della sentenza al saldo; rigettava le altre domande proposte da parte attrice; condannava parte convenuta alle spese di lite. In particolare, il Giudice di primo grado riteneva pacifico di doversi occupare solo del risarcimento del danno e non della tutela in forma specifica dell’arretramento, non essendo più possibile al Giudice ordinario disapplicare un atto della P.A. per ordinare l’arretramento della costruzione e che, non essendo possibile computare i danni, si doveva fare riferimento al criterio equitativo.
Avverso detta sentenza proponeva appello il T. in base a tre motivi: 1) il Giudice di primo grado erroneamente non aveva ammesso le prove orali richieste e non aveva disposto C.T.U., al fine di accertare una maggiore entità dei danni lamentati e seguenti alla violazione delle norme in materia di distanze e di eccessiva volumetria per illegittima applicazione degli indici di fabbricabilità; 2) il Giudice erroneamente aveva liquidato il danno nell’importo di Euro 5.000,00, senza indicare i criteri in applicazione dei quali era giunto a tale valutazione; 3) il Giudice erroneamente non aveva disposto l’arretramento della costruzione, pronuncia che invece era dovuta sia con riguardo alla domanda in materia di rispetto delle distanze tra fabbricati, sia in relazione alla domanda relativa alla violazione delle norme edilizie.
La società appellata si costituiva in giudizio chiedendo il rigetto dell’appello e proponendo appello incidentale.
Con sentenza non definitiva n. 775/2014, depositata in data 23.10.2014, la Corte d’Appello di Ancona rigettava l’appello proposto dal T. relativamente al motivo con il quale si lamentava che il Giudice di primo grado non avesse accolto la domanda di risarcimento del danno per illegittima applicazione degli indici di fabbricabilità; dichiarava inammissibile l’appello incidentale proposto dalla società appellata, relativamente al motivo con il quale si lamentava il mancato accoglimento della domanda riconvenzionale di risarcimento danni; disponeva l’ulteriore istruzione della causa come da separata ordinanza.
Avverso detta sentenza propone ricorso per cassazione T.A. sulla base di un motivo; resiste la P. Costruzioni s.r.l. con controricorso, illustrato da memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. – Con il motivo, il ricorrente lamenta la “Violazione e falsa applicazione – ex art. 360 c.p.c., n. 3 – dell’art. 872 c.c.”, là dove la Corte di merito, dopo avere esattamente individuato la norma regolatrice della fattispecie, avrebbe errato nell’interpretarla, sostenendo che (essendo passato in giudicato, in assenza di impugnazione, il punto della sentenza con cui il Giudice di primo grado aveva affermato di non poter disapplicare il provvedimento amministrativo di concessione edilizia) non fosse più possibile, in grado di appello,, accertare l’illegittimità di tale provvedimento, per essere stato emanato in violazione della normativa urbanistica vigente, affermando la imprescindibilità di tale accertamento per poter affermare che l’edificio realizzato dalla società appellata era stato realizzato senza l’osservanza dei regolamenti edilizi, agli effetti di cui all’art. 872 c.c..
1.1. – Il motivo è fondato.
1.2. – Secondo la Corte di merito, la disapplicazione del provvedimento amministrativo illegittimo di concessione sarebbe pregiudiziale rispetto all’accertamento della violazione delle norme di edilizia, presupposto del risarcimento dei danni.
Viceversa, l’art. 872 c.c. (dopo avere disposto, al comma 1, che “Le conseguenze di carattere amministrativo della violazione delle norme indicate nell’articolo precedente (leggi speciali, comprese le normetive antisismiche, e regolamenti edilizi comunali) sono stabilite da leggi speciali”), al comma 2 (correttamente individuato dalla giudicante quale norma regolatrice della fattispecie, ma erroneamente mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa, in ragione della ricostruzione del giudice della fattispecie concreta: Cass. n. 24054 del 2017; Cass. n. 16698 del 2010), prevede che “Colui che per effetto della violazione ha subito danno deve esserne risarcito, salva la facoltà di chiedere la riduzione in pristino quando si tratta della violazione delle norme contenute nella sezione seguente o da questa richiamate”.
1.3. – Questa Corte ha affermato che l’art. 872 c.c., attribuisce al privato la tutela risarcitoria del proprio diritto soggettivo a seguito della violazione delle norme urbanistiche integrative del codice civile, senza subordinarla all’annullamento di provvedimenti amministrativi (Cass. n. 742 del 2003, per la quale la norma de qua non attribuisce al privato un semplice interesse legittimo, o, comunque, un diritto soggettivo subordinato, quanto alla possibilità di tutelarlo dinanzi all’A.G.O., all’annullamento dei provvedimenti amministrativi).
La questione del rapporto tra privati e della lesione di diritti soggettivi risulta diversa rispetto a quellla riguardante l’efficacia dell’atto amministrativo, non rilevando dunque la disapplicazione del medesimo quale presupposto della azione risarcitoria promossa dal terzo contro il privato richiedente. Laddove il danno da violazione della normativa edilizia in tema di distanze, volumi e altezze di cui all’art. 872 c.c., consiste nel deprezzamento commerciale del fabbricato danneggiato per diminuzione di visuale, esposizione, luce, aria, sole e amenità in genere (cfr., in motivazione, Cass. n. 10285 del 2015; cass. n. 13230 del 2010; Cass. n. 3340 del 2002).
1.4. – D’altronde, questa Corte ha affermato che la rilevanza giuridica della concessione edilizia si esaurisce nell’ambito del rapporto pubblicistico tra P.A. e privato richiedente, senza estendersi ai rapporti tra privati, regolati dalle disposizioni dettate dal codice civile e dalle leggi speciali in materia edilizia, nonchè dalle norme dei regolamenti edilizi e dei piani regolatori generali locali. Ne consegue che, ai fini della decisione di controversie tra privati derivanti dall’esecuzione di opere edilizie, sono irrilevanti tanto l’esistenza della concessione, ovvero il fatto di avere costruito in conformità alla medesima, non escludendo tali circostanze in sè la violazione dei diritti dei terzi di cui al codice civile e agli strumenti urbanistici locali; ed è del pari irrilevante la mancanza della concessione, quando la costruzione risponda oggettivamente a tutte le disposizioni sopraindicate (Cass. n. 12405 del 2007; che richiama in parte qua, le conformi Cass. n. 6038 del 2000; Cass. 4208 del 1987; Cass. n. 2230 del 1985).
2. – Il ricorso va, dunque, accolto, nei sensi di cui in motivazione, e la sentenza impugnata deve essere cassata, con rinvio della causa alla Corte d’appello di Ancona, in diversa composizione, anche in ordine alla liquidazione delle spese del presente grado di giudizio.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte d’appello di Ancona, in diversa composizione, che provvederà anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 15 gennaio 2019.
Depositato in Cancelleria il 22 maggio 2019