Corte di Cassazione, sez. II Civile, Ordinanza n.13828 del 22/05/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –

Dott. BERTUZZI Mario – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – rel. Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 7186-2015 proposto da:

LE.GI., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ADIGE 43, presso lo studio dell’avvocato VINCENZO CAPO, rappresentato e difeso dall’avvocato LUCA D’AMBROGIO;

– ricorrente –

contro

L.R., L.F., C.G., L.M.A., FLLI L. di L.F. e C. s.a.s., B.G., elettivamente domiciliati in ROMA, PIAZZALE CLODIO 22, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO MARCONI, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato MASSIMO ZORZOLI VOLPI;

– controricorrenti –

nonchè

sul ricorso 7186-2015 proposto da:

L.R., L.F., C.G., L.M.A., F.LLI L. di L.F. e C. s.a.s., B.G., elettivamente domiciliati in ROMA, PIAZZALE CLODIO 22, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO MARCONI, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato MASSIMO ZORZOLI VOLPI;

– ricorrenti incidentali –

contro

LE.GI., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ADIGE 43, presso lo studio dell’avvocato VINCENZO CAPO, rappresentato e difeso dall’avvocato LUCA D’AMBROGIO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2703/2014 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 09/07/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 12/03/2019 dal Consigliere Dott. SCARPA Antonio.

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

LE.Gi. ha proposto ricorso articolato in tredici motivi avverso la sentenza n. 2703/2014 del 9 luglio 2014 della Corte di appello di Milano.

La F.lli L. di L.F. e C. s.a.s., L.F., B.G., C.G., L.R. e L.M.A. (questi ultimi quali eredi di L.C.), hanno resistito con controricorso e proposto ricorso incidentale articolato in cinque motivi, rispetto al quale LE.Gi. ha notificato controricorso.

F.lli L. di L.F. e C. s.a.s., L.F., B.G., C.G., L.R. e L.M.A. hanno anche depositato memoria ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c..

Con citazione del 15 febbraio 2012 LE.Gi. convenne davanti al Tribunale di Monza la F.lli L. di L.F. e C. s.a.s., L.F., B.G., C.G. e L.C., chiedendone la condanna al pagamento della somma di Euro 27.143,34 oltre accessori, per le attività di consulente del lavoro svolte dal 2005 al 2008 in favore della società e descritte nelle parcelle allegate. I convenuti proposero domanda riconvenzionale per risarcimento dei danni nei confronti di LE.Gi., allegando che alcune delle prestazioni dedotte richiedessero l’iscrizione all’albo dei commercialisti, che il contratto fosse comunque da annullare per errore sulla qualità di dottore commercialista del LE., oppure da risolvere per inadempimento di quest’ultimo, ed infine contestando gli importi pretesi dall’attore. Il Tribunale respinse sia le domande dell’attore che le riconvenzionali dei convenuti. La Corte d’Appello di Milano rigettò quindi sia l’impugnazione principale di LE.Gi., sia il gravame incidentale delle controparti.

I. Ricorso di LE.Gi..

I.1. Il primo motivo del ricorso di LE.Gi. deduce la violazione e/o applicazione dell’art. 115 c.p.c., comma 1, per non avere il giudice di secondo grado valutato che le prestazioni professionali, poste a fondamento della domanda attorea, non potevano essere considerate contestate da nessuna delle controparti costituite.

Questo primo motivo va rigettato.

Alla stregua del principio di non contestazione, richiamato dall’art. 115 c.p.c., perchè un fatto possa dirsi non contestato dal convenuto, e perciò non richiedente una specifica dimostrazione, occorre o che lo stesso fatto sia da quello esplicitamente ammesso, o che il convenuto abbia improntato la sua difesa su circostanze o argomentazioni incompatibili col disconoscimento di quel fatto. D’altro canto, la parte che invoca il cosiddetto principio di non contestazione dovrebbe dare dimostrazione di aver essa per prima ottemperato all’onere processuale, posto a suo carico, di compiere una puntuale allegazione dei fatti di causa, in merito ai quali l’altra parte era tenuta a prendere posizione; ne discende che l’enunciazione delle prestazioni professionali dedotte a sostegno della domanda di pagamento del compenso, operata mediante rinvio alla documentazione allegata, esonera comunque il convenuto dall’onere di compiere una contestazione circostanziata, perchè ciò equivarrebbe a ribaltare sullo stesso convenuto l’onere di allegare il fatto costitutivo dell’avversa pretesa (arg. da Cass. Sez. 3, 17/02/2016, n. 3023). La non contestazione scaturisce, pertanto, dalla non negazione del fatto costitutivo della domanda, di talchè essa non può comunque ravvisarsi ove, come nella specie, a fronte di una pretesa creditoria fondata sullo svolgimento di prestazioni professionali, il cliente abbia radicalmente opposto che nessun corrispettivo fosse stato pattuito e che le prestazioni “negligentemente rese dall’attore” attenessero alla competenza dei commercialisti e non dei consulenti del lavoro (cfr. Cass. Sez. 3, 24/11/2010, n. 23816; Cass. Sez. 3, 19/08/2009, n. 18399; Cass. Sez. 3, 25/05/2007, n. 12231; Cass. Sez. L, 03/05/2007, n. 10182; Cass. Sez. 3, 14/03/2006, n. 5488). E’ altrettanto costante, del resto, l’orientamento giurisprudenziale, secondo cui, nel giudizio di cognizione avente ad oggetto il pagamento di prestazioni professionali documentato da parcelle, allorchè il cliente svolga una contestazione soltanto generica in ordine all’espletamento ed alla consistenza dell’attività che si assuma prestata, il giudice rimane comunque investito del potere-dovere di verificare il quantum debeatur, costituendo la parcella una semplice dichiarazione unilaterale del professionista, sul quale perciò rimangono i relativi oneri probatori del credito azionato ex art. 2697 c.c. (Cass. Sez. 2, 11/01/2016, n. 230; Cass. Sez. 2, 30/07/2004, n. 14556; Cass. Sez. 2, 25/06/2003, n. 10150).

1.2. Con il secondo motivo del ricorso di LE.Gi., numerato in rubrica come “1-bis”, si lamenta la nullità della sentenza per avere la Corte di Milano omesso di pronunziare sulla parte del primo motivo di appello relativa alla necessità di porre a fondamento della decisione non solo i fatti provati, ma anche quelli oggetto di non contestazione, nella specie le prestazioni professionali di cui al primo motivo.

Il motivo è infondato.

La Corte d’Appello ha richiamato a pagina 6 della sentenza impugnata la censura sulla mancata contestazione dello svolgimento dell’attività professionale da parte di LE.Gi., ed ha desunto dalla richiesta degli appellati di annullamento del contratto che un incarico fosse stato conferito al professionista ad opera della società F.lli L., ma ha concluso come fossero rimasti comunque non provati la natura precisa di tale incarico ed il suo effettivo svolgimento (se non nei limiti della insufficiente prova testimoniale acquisita, ed in assenza di prova documentale).

Non ricorre, allora, alcun vizio di omessa pronuncia sul primo motivo di appello, in quanto la Corte di Milano ha deciso riguardo ad esso, con una implicita statuizione di rigetto del rilievo della non contestazione, sicchè il ricorrente avrebbe ragione di lamentare non il difetto di attività del giudice, quanto, semmai, come il giudice stesso abbia preso in esame la questione oggetto di doglianza e l’abbia risolta.

1.3. Il terzo motivo di ricorso di LE.Gi. deduce la nullità della sentenza per avere la Corte di appello omesso di determinare il compenso per le prestazioni ritenute provate nonchè di quelle altre erroneamente non ritenute provate, in ragione del precedente primo motivo – con riferimento alle tariffe professionali di legge per i consulenti del lavoro vigenti all’epoca dell’esecuzione delle prestazioni per cui è causa, non essendo a tal fine necessaria alcuna produzione di documentazione per ottenere la relativa liquidazione.

I.4. Con il quarto motivo del ricorso principale si censura la nullità della sentenza anche in relazione alla violazione delle “leggi che regolano il processo in punto di diritto alla prova (nel caso a mezzo testimoni) in danno di LE. e, segnatamente, per non essere stata disposta, come chiesto col terzo motivo di appello, l’escussione di tutti i testi indicati da LE., nonostante nella stessa sentenza si sia ritenuto che i soli tre testi escussi non avessero fornito la prova di tutti i fatti oggetto del capitolo ammesso”. In particolare, si lamenta la violazione dell’art. 183 c.p.c., comma 7, e art. 245 c.p.c., nonchè dell’art. 24 Cost. e art. 111 Cost., commi 1 e 2.

1.5.Il quinto motivo di ricorso (subordinato al quarto) censura, nuovamente, la violazione dell’art. 183 c.p.c., comma 7, e art. 245 c.p.c. nonchè degli artt. 24 e 111 Cost., per non aver ammesso la Corte di appello l’escussione dei testimoni non esaminati dal giudice di primo grado, in relazione all’esecuzione delle prestazioni professionali per cui è causa.

1.6. Il sesto motivo di ricorso di LE.Gi. (subordinato al quarto ed al quinto) lamenta la nuffità della sentenza “per contraddittorietà e/o insufficienza della motivazione della sentenza di secondo grado con riferimento ai capi nei quali si statuisce in ordine alla superfluità dell’escussione dei testi non sentiti”.

I.7. Con il settimo motivo il ricorrente LE. censura la nullità della sentenza per omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, avendo la stessa giudicato come non eseguite le prestazioni professionali in oggetto, nonostante la “ritenuta prova diretta per ammissione dei controricorrenti e per testimone”. Si critica il passo della sentenza della Corte di Milano che ha ricavato dalla prova del contenzioso pendente tra le parti dal 2009 (allorchè la società già preannunciava al professionista richieste risarcitorie) ulteriore conferma della mancanza di prova dello svolgimento delle prestazioni professionali per le quali è chiesto il pagamento.

I.8. L’ottavo motivo del ricorso principale lamenta la violazione dell’art. 2233 c.c., comma 1, avendo la Corte d’Appello ritenuto di non poter liquidare il compenso richiesto per non essere stata provata sufficientemente l’entità delle specifiche prestazioni, nonostante si dicesse raggiunta la prova della loro esecuzione.

I.9. Con il nono motivo il ricorrente LE. deduce la violazione dell’art. 1226 c.c., evidenziando nuovamente come la Corte di appello abbia ritenuto di non poter operare la liquidazione in via equitativa del compenso, “sul presupposto che, pur avendo valutato la raggiunta prova di ben specifiche prestazioni, l’entità delle stesse non era stata sufficientemente provata”.

I.10. Il decimo motivo censura la nullità della sentenza per motivazione contraddittoria e/o insufficiente, in relazione alla ritenuta insussistenza dei requisiti per operare la determinazione del compenso ai sensi dell’art. 2233 c.c., comma 1, e la liquidazione equitativa del quantum debeatur ai sensi dell’art. 1226 c.c..

I.11.Con l’undicesimo motivo il ricorrente LE. denuncia la nullità della sentenza per contraddittorietà e/o insufficienza della motivazione relativamente al giudizio di inammissibilità della c.t.u. richiesta, ritenuta dalla Corte di Milano di natura esplorativa, laddove si trattava di determinare mediante perizia contabile il compenso spettante al professionista sulla base delle tariffe di legge.

1.12. Il dodicesimo motivo del ricorso principale censura la nullità della sentenza per violazione dell’art. 61 c.p.c., sempre in relazione alla mancata ammissione della c.t.u. richiesta.

1.13. Il tredicesimo motivo del ricorso LE. deduce la nullità della sentenza per omessa pronuncia in ordine alle domande di determinazione del compenso ai sensi dell’art. 2233 c.c., “per il caso di ritenuta non applicabilità delle tariffe”.

1.13.1. L’evidente ripetitività dei contenuti delle doglianze espresse nei motivi da 3 a 13 del ricorso di LE.Gi. impone l’esame congiunto degli stessi. Sono fondati il quarto, l’ottavo ed il dodicesimo motivo del ricorso principale, mentre perdono di immediata rilevanza decisoria le questioni interdipendenti poste coi motivi terzo, quinto, sesto, settimo, nono, decimo, undicesimo e tredicesimo, questioni che potranno, quindi, essere riproposte all’esame del giudice di rinvio.

Va disattesa l’eccezione di inammissibilità del ricorso principale sollevata dai controricorrenti, in quanto le censure ivi formulate, ferma la sicura estraneità al vigente parametro dell’art. 360 c.p.c., n. 5, nella formulazione introdotta dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, convertito in L. n. 134 del 2012, delle denunce di insufficienza e contraddittorietà della motivazione, sono comunque scrutinabili ove volte a sindacare, agli effetti dell’art. 132 c.p.c., n. 4, il “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili”, ovvero la “motivazione perplessa e obiettivamente incomprensibile” (Cass. Sez. U, 07/04/2014, n. 8053), nonchè la violazione o falsa applicazione di norme di diritto, a sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, per errore nel giudizio di diritto (e cioè per la negazione o il fraintendimento di una norma astratta di legge esistente o per l’affermazione di una norma astratta di legge non esistente) o per errore nel giudizio sul fatto contemplato dalle norme di diritto positivo applicabili al caso specifico (nella specie, per la mancata applicazione di una legge ad una fattispecie concreta corrispondente a quella astratta prevista dalla disposizione asseritamente violata).

La Corte d’Appello di Milano ha ritenuto provato dall’esame dei testi assunti, ed anche ammesso dagli stessi appellati, che LE.Gi. avesse tenuto “per un certo periodo” e fino al 15 dicembre 2006 la contabilità per la F.lli L. di L.F. e C. s.a.s., redatto i modelli 770, i modelli Unici e le buste paga. I giudici di secondo grado hanno tuttavia affermato che sarebbe occorsa una prova documentale per provare più specificamente i rapporti intercorsi fra le parti, sicchè apparivano superflue le ulteriori prove per testi richieste, come anche l’espletamento di CTU.

Così decidendo, i giudici di appello hanno fatto cattiva applicazione dell’art. 2233 c.c., come costantemente interpretato da questa Corte.

Presupposto essenziale ed imprescindibile dell’esistenza di un rapporto di prestazione d’opera professionale, la cui esecuzione sia dedotta dal professionista come titolo del suo diritto al compenso, è l’avvenuto conferimento del relativo incarico, in qualsiasi forma idonea a manifestare, chiaramente ed inequivocabilmente, la volontà di avvalersi della sua attività e della sua opera, da parte del cliente convenuto per il pagamento di detto compenso (Cass. Sez. 2, 01/03/1995, n. 2345; Cass. Sez. 3, 04/02/2000, n. 1244).

La Corte d’Appello di Milano ha dato per accertato in via deduttiva dalle contrapposte difese delle parti che un incarico fosse stato conferito dalla F.lli L. di L.F. e C. s.a.s. a LE.Gi..

Il professionista che chiede il compenso per le sue prestazioni ha poi l’onere di dimostrare la sussistenza del credito, ossia l’esecuzione delle opere, nell’adempimento dell’incarico commessogli, e l’entità delle stesse, elementi necessari per consentire al giudice la determinazione quantitativa dell’onorario professionale (Cass. Sez. 2, 21/04/1981, n. 2342; Cass. Sez. 2, 13/04/1999, n. 3627: Cass. Sez. 2, 20/04/2006, n. 9254).

Al riguardo, come visto, la Corte d’Appello di Milano ha ritenuto provato, in base all’esame dei testi assunti, che LE.Gi. avesse tenuto fino al 15 dicembre 2006 la contabilità per la F.lli L. di L.F. e C. s.a.s., redatto i modelli 770, nonchè i modelli Unici e le buste paga.

Essendovi prova sia dell’incarico che dell’esecuzione di alcune prestazioni professionali, sovviene l’ordine preferenziale dettato dall’art. 2233 c.c., in forza del quale la determinazione del compenso va effettuata, in assenza di disciplina convenzionale, alla stregua delle norme di natura regolamentare trasfuse nella tariffa approvata nelle forme di legge, o, in alternativa, degli usi eventualmente vigenti nella materia, ovvero, ancora subordinatamente all’accertata impossibilità di applicazione di tali criteri, sulla base della valutazione equitativa del giudice, svincolata dal rispetto dei limiti tariffari (Cass. Sez. L, 25/01/2017, n. 1900; Cass. Sez. 6 – 1, 21/10/2011, n. 21934; Cass. Sez. 2, 05/10/2009, n. 21235).

Avendo la Corte d’Appello di Milano affermato che il professionista avesse fornito, proprio attraverso l’esame di alcuni dei testimoni da lui indicati, la prova dell’esecuzione di parte delle prestazioni eseguite, non è coerente logicamente la declaratoria di superfluità dell’assunzione degli altri testimoni ai fini di dimostrare ulteriormente natura ed entità dell’opera professionale, sulla base di una supposta essenzialità della prova documentale, che ha poi condotto al rigetto della domanda.

La facoltà discrezionale del giudice di merito (in quanto tale non censurabile in sede di legittimità) di ridurre preventivamente le liste testimoniali sovrabbondanti, oppure di sospendere l’esame dei testi in precedenza ammessi e di dichiarare chiusa la prova, suppone comunque una valutazione di superfluità dell’ulteriore istruzione alla stregua dei risultati già raggiunti con l’assunzione dei primi testimoni (Cass. Sez. 3, 09/06/2016, n. 11810; Cass. Sez. 3, 22/04/2009, n. 9551).

Parimenti, se la decisione di ricorrere o meno ad una consulenza tecnica d’ufficio costituisce un potere discrezionale del giudice, questi è però tenuto a motivare adeguatamente il rigetto dell’istanza di ammissione proveniente da una delle parti, dimostrando di poter comunque risolvere, sulla base di corretti criteri, tutti i problemi tecnici connessi alla valutazione degli elementi rilevanti ai fini della decisione, senza potersi limitare a disattendere l’istanza sul presupposto della mancata prova dei fatti che la consulenza avrebbe potuto accertare, e senza poter respingere l’istanza di ammissione della consulenza tecnica e poi ritenere non accertati i fatti che la consulenza avrebbe potuto verificare (Cass. Sez. 1, 01/09/2015, n. 17399; Cass. Sez. 3, 27/10/2004, n. 20814). Nel caso in esame, la Corte d’Appello di Milano ha negato l’ammissione della CTU contabile perchè esplorativa ed ha rigettato la domanda di pagamento dei compensi professionali, ritenendo non provati la “natura” dell’attività svolta dal LE., l’impegno qualitativo e quantitativo richiesto, le dimensioni della società, dopo aver però dato per accertato, come si è già evidenziato, che LE.Gi. avesse tenuto “per un certo periodo” la contabilità della società, redatto i modelli 770, i modelli Unici e le buste paga, e senza spiegare perchè nemmeno un perito avrebbe potuto quantificare i compensi di tali prestazioni professionali, comunque accertate, sulla base dei criteri tariffari operanti per i consulenti del lavoro.

II. Ricorso di F.lli L. di L. Francesco e.C.s.Lambo Francesco,.Basilico Giovanna,.Cuglietta Giulietta,.Lambo Riccardo e.Lambo Maria Alba.

I.I.p.m.d.r.i.d.F.Lambo d.Lambo Francesco e.C.s.Lambo Francesco,.Basilico Giovanna,.Cuglietta Giulietta,.Lambo Riccardo e.Lambo Maria Alba d.l.n.d.s.p.o.p.s.p.d.i.r.a.r.p.d. L.G., per aver questi consigliato ai convenuti un’operazione “fiscalmente onerosa”, quale, in particolare, la cessione di un ramo d’azienda della F.lli L. s.n.c. a nuova società costituita a tale scopo, ovvero la Officina L. s.r.l.

II.2. Con il secondo motivo i ricorrenti incidentali denunciano ulteriormente la nullità della sentenza della Corte d’appello, che avrebbe omesso di pronunciarsi: sulla parte dell’appello incidentale relativa alla responsabilità di LE.Gi. per l’errata predisposizione della dichiarazione dei redditi della società dell’anno 2007, per il mancato inserimento del credito di Euro 80.000,00 vantato dalla F.lli L. nei confronti dell’Officina L. s.r.l. a fronte della cessione del ramo di azienda; ed ancora, sulla parte dell’appello incidentale relativa all’omesso deposito presso la CCIAA della delibera di messa in liquidazione della società (essendo LE.Gi. “il professionista di riferimento della F.lli L. per tutto quanto attiene gli adempimenti presso la Camera di Commercio”); infine, sulla parte dell’appello incidentale inerente alla responsabilità per tardivo deposito del piano di riparto e del bilancio finale di liquidazione della società F.lli L. e Figli s.r.l., essendo stato LE.Gi. incaricato di seguire anche l’altra e quasi omonima società facente capo alla famiglia L., e cioè la F.lli L. e Figli s.r.l.

11.2.1. Primo e secondo motivo del ricorso incidentale vanno accolti, in quanto la sentenza della Corte d’Appello di Milano non ha esaminato e non ha conseguentemente dato risposta ai rispettivi motivi dell’appello incidentale richiamati.

11.3.11 terzo motivo del ricorso incidentale denuncia l’omessa motivazione “per insanabile contraddittorietà risultante dal testo della sentenza e/o per mera apparenza della motivazione”, nella parte in cui il provvedimento impugnato ha rigettato la censura relativa alla responsabilità professionale di LE.Gi. per errata valutazione del valore di avviamento del ramo aziendale ceduto. La Corte di Appello, ad avviso dei ricorrenti incidentali, si sarebbe contraddetta nel ritenere, dapprima, che il limitato valore di avviamento dichiarato nella cessione del ramo di azienda (ben al di sotto di quello accertato dalla Agenzia delle Entrate) potesse essere determinato non da errore del professionista, quanto da una decisione condivisa con i clienti, per poi constatare il deterioramento dei rapporti tra le parti come conseguenza del fatto che i soci della F.lli L. ascrivessero al LE. la responsabilità per l’imposizione fiscale di sanzioni e interessi conseguente alla rettifica in aumento del valore da parte della Agenzia delle Entrate.

II.4.Con il quarto motivo, i ricorrenti incidentali censurano la violazione dell’art. 115 c.p.c., nonchè degli artt. 2729,2055 e 1218 c.c. e art. 1227 c.c., comma 1. La Corte di Milano avrebbe errato comunque nell’escludere ogni forma di responsabilità di LE.Gi. per i danni subiti dalla società in conseguenza della successiva rettifica del valore di avviamento da parte dell’Agenzia delle Entrate, non avendo comunque il professionista adempiuto esattamente alla prestazione dovuta in relazione alla cessione del ramo d’azienda. Il concorso di colpa di professionisti e clienti avrebbe potuto comportare, a detta dei ricorrenti incidentali, soltanto una riduzione del risarcimento dovuto, e non una sua esclusione. Così come la Corte d’Appello avrebbe errato nel considerare la “forbice” tra valore dichiarato e valore rettificato di avviamento quale presunzione sufficiente a fondare il proprio convincimento, non concordando la stessa con nessun’altra emergenza processuale, nè con le prospettazioni delle parti.

III.4.1. Terzo e quarto motivo del ricorso incidentale sono connessi e devono essere decisi congiuntamente, rivelandosi parimenti fondati.

La responsabilità del prestatore di opera intellettuale nei confronti del proprio cliente, per negligente svolgimento dell’attività professionale, presuppone la prova, da parte di costui, del danno e del nesso causale tra la condotta del professionista ed il pregiudizio del cliente, formando oggetto di un accertamento che non è sindacabile in sede di legittimità, se correttamente motivato (Cass. Sez. 3, 09/05/2017, n. 11213). La motivazione resa sul punto dalla Corte d’Appello di Milano risulta allora del tutto inidonea ad assolvere alla funzione specifica di esplicitare le ragioni della decisione. La sentenza impugnata ha desunto in via inferenziale che l’errata valutazione dell’avviamento del ramo d’azienda potesse essere stata concordata tra il professionista ed i clienti, così arrivando ad escludere la responsabilità professionale del consulente per mancanza di colpa. Peraltro, proprio in conseguenza della rettifica fiscale del valore dell’avviamento, ad avviso dei giudici di appello, si sarebbero poi incrinati i rapporti fra le parti. La Corte di Milano ha infine aggiunto che la cessione di ramo d’azienda e la sua valutazione economica esulo dalle competenze professionali proprie del consulente del lavoro.

Ora, il consulente contabile che, incaricato di assistere le parti in un’operazione di cessione di ramo d’azienda, abbia dichiarato il valore dell’avviamento, per la determinazione della base imponibile a fini fiscali, in misura di gran lunga inferiore alla reale capacità di profitto dell’attività produttiva (nella specie, Euro 72.000,00 di valore dichiarato a fronte di Euro 443.000,00 di valore accertato), è tenuto quanto meno ad avvertire i clienti delle conseguenze derivanti da tale dichiarazione non veritiera, ponendo in essere un comportamento non conforme alla diligenza qualificata cui egli è vincolato per l’incarico professionale conferito, poichè è obbligato a fornire alle parti una consulenza funzionale non solo al raggiungimento dello scopo dell’operazione, ma anche al rispetto dei doveri imposti dalla normativa fiscale, sicchè risponde dei danni originati da tale comportamento anche nella sola ipotesi di colpa lieve (arg. da Cass. Sez. 3, 16/12/2014, n. 26369).

III.5. Il quinto ed ultimo motivo di appello incidentale denuncia la nullità della sentenza per omessa pronuncia sulla parte dell’appello incidentale “relativa alla domanda di accertare e dichiarare, ai sensi dell’art. 2231 c.c., che l’attore non ha diritto ad alcun compenso”. In particolare, la Corte di Milano, secondo i ricorrenti incidentali, avrebbe rigettato la domanda risarcitoria correlata alla mancata iscrizione del LE. all’albo dei commercialisti, domanda mai proposta, e non avrebbe invece dato risposta alla domanda volta a negare ogni diritto al compenso al medesimo LE. per detta causale.

Questo motivo di ricorso rimane assorbito dall’accoglimento dei motivi di ricorso in ordine alla prova della natura ed entità dell’opera professionale svolta da LE.Gi. e la questione sarà oggetto di esame da parte del giudice di rinvio, dovendosi valutare se le prestazioni svolte dal LE., consulente del lavoro, rientrassero fra quelle di assistenza o consulenza in materia aziendale che non sono riservate per legge in via esclusiva ai dottori commercialisti, ai ragionieri e ai periti commercialisti (cfr. Cass. Sez. 2, 11/06/2008, n. 15530).

IV. Vanno dunque accolti il quarto, l’ottavo ed il dodicesimo motivo del ricorso principale di LE.Gi., vanno rigettati i primi due motivi dello stesso ricorso e vanno dichiarati assorbiti i restanti motivi; vanno accolti i primi quattro motivi del ricorso incidentale e va dichiarato assorbito il quinto motivo; la sentenza impugnata deve essere cassata in relazione ai motivi accolti perchè si proceda a nuovo esame in sede di rinvio, tenendo conto degli enunciati principi e dei rilievi svolti.

Il giudice di rinvio, che si individua in altra sezione della Corte d’Appello di Milano, provvederà anche a regolare tra le parti le spese del presente giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il quarto, l’ottavo ed il dodicesimo motivo del ricorso principale, rigetta i primi due motivi dello stesso ricorso e dichiara assorbiti i restanti motivi; accoglie i primi quattro motivi del ricorso incidentale e dichiara assorbito il quinto motivo; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione, ad altra sezione della Corte d’Appello di Milano.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Seconda sezione civile della Corte Suprema di Cassazione, il 12 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 22 maggio 2019

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