Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.13829 del 22/05/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 22092/2014 proposto da:

O.M.T. s.r.l., in Amministrazione Straordinaria, in persona del commissario straordinario pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, via F. Paulucci Dè Calboli n. 9, presso lo studio dell’avvocato Sandulli Piero, rappresentata e difesa dall’avvocato Basilavecchia Massimo, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

ICEP di B.S. & C. s.a.s., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, via Celimontana n. 38, presso lo studio dell’avvocato Panariti Paolo, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato Carfora Rosa Maria, giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 11/2014 della CORTE D’APPELLO di TORINO, depositata il 07/01/2014;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 08/11/2018 dal Cons. Dottr. ALDO ANGELO DOLMETTA.

FATTO E DIRITTO

1.- La s.r.l. O.M.T. in amministrazione straordinaria ha convenuto avanti al Tribunale di Tortona la s.a.s. ICEP di S.B., proponendo azione revocatoria L. Fall., ex art. 67, comma 2 (nel testo anteriore alla riforma del 2005) per taluni pagamenti intervenuti nell’anno anteriore alla dichiarazione di insolvenza. Con pronuncia del dicembre 2009, il Tribunale ha accolto la domanda.

2.- Accogliendo l’impugnazione proposta dalla ICEP, la Corte di Appello di Torino, con sentenza depositata il 7 gennaio 2014, ha riformato la decisione di primo grado e respinto la domanda revocatoria presentata dalla procedura.

In particolare, ha ritenuto che nel caso in questione non fosse identificabile la scientia decoctionis della società accipiens. “Non vi è alcuna prova”, neppure presuntiva – ha osservato la Corte piemontese – “onde poter affermare che l’odierna società appellante, al momento della ricezione dei pagamenti effettuati a mezzo bonifico bancario e a mezzo assegno, fosse a conoscenza dell’effettivo stato di insolvenza della OMT s.r.l.”.

“Segnatamente, non vi è la prova di una conoscenza specifica”. Comunque, “la riprova di uno stato di decozione della Merker (emergente da articoli di stampa)” non potrebbe costituire un “elemento determinante, dovendosi considerare, da un lato, in linea generale il mero valore indiziante dell’eventuale consapevolezza in capo al terzo dello stato di dissesto del gruppo al quale appartiene il singolo organismo societario e, d’altro canto, la mancanza, nella fattispecie, della prova di una conoscenza da parte della ICEP del legame esistente, nell’ambito dei controlli societari, tra la s.r.l. OMT e la Merker”: prova la cui eventuale acquisizione non denoterebbe ancora la consapevolezza di uno stato di crisi dell’intero gruppo, “tanto più in assenza di procedure esecutive e di istanze di fallimento a carico della OMT”.

D’altra parte – si è inoltre aggiunto -, “non sono evidenziabili, nella specie, ritardi di entità notevole”: “sostanzialmente, i pagamenti in questione, ancorchè non tempestivi, rientrano nell’ambito delle abituali relazioni commerciali”.

3.- Avverso questa pronuncia presenta ricorso la s.r.l. OMT in amministrazione straordinaria, affidandosi a due motivi di cassazione.

Resiste, con controricorso, la società ICEP.

Il ricorrente ha pure depositato memoria.

4.- Il primo motivo di ricorso è rubricato “violazione dell’art. 115 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4: nullità della sentenza per aver erroneamente rilevato l’ammissione di taluni fatti da parte dell’AS appellata, ponendoli a base della decisione”.

Nel merito, il motivo fa riferimento ai passi dedicati dalla sentenza al legame di gruppo sussistente la OMT e la Merker, richiamandosi in specie al punto in cui la Corte territoriale rileva che la “conoscenza da parte della ICEP legame societario” esistente tra le dette società “risale, per stessa ammissione di parte appellata, all’ultimo periodo, vale a dire al luglio 2003”.

Ad avviso del ricorrente, questo passo – che assume essere decisivo nel “percorso motivazionale della sentenza” – è errato: “la produzione del documento del luglio 2003 va… intesa nel suo reale senso di rappresentazione esemplificativa, che non esclude nè la presenza di altri documenti anteriori con la stessa doppia intestazione, nè la conoscibilità aliunde dell’avvenuta inclusione di OMT nel gruppo societario” di cui alla Merker.

5.- Il motivo è inammissibile.

In realtà, la motivazione svolta dalla Corte d’Appello si basa su una ratio diversa da quella indicata dal ricorrente, che l’individua appunto nel contenuto del documento del luglio 2003.

Tale motivazione risulta infatti fondata su due osservazioni, che non hanno a che vedere con il documento prodotto dal ricorrente. Una è che la conoscenza dell’esistenza di un legame di gruppo non comporta, per sè, consapevolezza dello stato di crisi del medesimo; l’altra è che, in ogni caso, un'”eventuale” consapevolezza dello stato di dissesto possiede, in quanto tale, un mero valore “indiziante” per la scientia relativa allo stato patrimoniale delle singole società del gruppo, (cfr. sopra, nel penultimo capoverso del n. 2).

6.- Il secondo motivo è intestato “violazione e falsa applicazione della L. Fall., art. 67 comma 2, artt. 2729 e 2697 c.c., in relazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1”.

Ad avviso del ricorrente, “tutta la sentenza è falsata, oltre che dal vizio di cui al primo motivo”, da una “distorta valutazione del contesto in cui i pagamenti revocandi si sono collocati”. “L’assunto dell’insussistenza di elementi presuntivi poggia, oltre che sulla erronea valutazione di una tardiva data di conoscenza dell’appartenenza al gruppo, sulla svalutazione di una circostanza quella del ritardo nei pagamenti, accompagnato da mutamenti nelle modalità solutorie – che nella costante giurisprudenza assume un ruolo decisivo”.

“Nella specie si imponeva”, per contro, “una valutazione gerarchica dei vari indici probatori forniti da parte ricorrente, che considerasse prima di tutto la pluralità dei pagamenti, la loro dislocazione in un arco temporale piuttosto ampio, la ricorrenza di ritardi, il passaggio al pagamento mediante assegno, in un contesto continuativo di rapporti commerciali”.

7.- Il motivo è inammissibile.

Lo stesso richiede, in effetti, una nuova valutazione dei fatti e del materiale probatorio prodotto: che è analisi per contro rimessa alle determinazioni del giudice di merito.

Nè compaiono tracce di irragionevolezza nella motivazione svolta dalla Corte torinese. Questa si basa, infatti, sulla dimensione contenuta (“non notevole”) dei ritardi in questione; e anche, in via correlata, sul pieno ricadere dei medesimi nell’ambito delle correnti prassi commerciali. D’altro canto, il motivo, mentre non risulta mettere in discussione il primo profilo, appare piuttosto avallare la ricorrenza del secondo, visto il ripetuto suo richiamarsi alla “sistematicità” dei ritardi in discorso.

8.- In conclusione, il ricorso va dichiarato inammissibile.

Le spese seguono il criterio della soccombenza e si liquidano in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida nella somma di Euro 5.200,00 (di cui Euro 200,00 per esborsi) oltre spese generali della misura del 15% e accessori di loegge.

Dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, secondo il disposto dell’art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 9 novembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 22 maggio 2019

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