LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –
Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –
Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –
Dott. CAIAZZO Luigi Pietro – rel. Consigliere –
Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 6284/2015 proposto da:
B.S., elettivamente domiciliato in Roma, Via della Grande Muraglia n. 289b3, presso lo studio dell’avvocato Lo Bosco Luca, rappresentato e difeso dall’avvocato Giovagnoni Fabrizio, con procura a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
Banca CR Firenze S.p.a., già Cassa di Risparmio di Firenze, in persona del legale rappresentante pro-tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via di Villa Grazioli n. 15, presso lo studio dell’avvocato Gargani Benedetto, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato Giglioli Giovanni, con procura a margine del controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 31/2014 della CORTE D’APPELLO di PERUGIA, depositata il 21/01/2014;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 06/12/2018 dal cons. Dott. CAIAZZO ROSARIO;
lette le conclusioni scritte del P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. ZENO IMMACOLATA, che ha chiesto il rigetto del ricorso.
FATTI DI CAUSA
Il Tribunale di Perugia, con sentenza dell’1.12.10, rigettò la domanda di B.S. nei confronti della Banca CR di Firenze s.p.a., avente ad oggetto la condanna al risarcimento dei danni causati dall’indebito prelevamento della somma di Lire 10.000.000 (dieci milioni) dal conto corrente a lui intestato, effettuato con assegno interno da parte dell’omonimo nonno, soggetto non legittimato presentatosi come titolare del conto.
In particolare, il Tribunale accertò che, pur essendo la banca venuta meno ai propri doveri quanto alla verifica della corrispondenza dell’accipiens con il titolare del conto e della corrispondenza della firma del medesimo con lo specimen di firma del correntista, era stata in realtà vittima di un tentativo di truffa da parte di nonno e nipote.
L’attore propose appello, che fu respinto con sentenza emessa dalla Corte d’appello di Perugia il 21.1.2014. La Corte osservò, a conferma della motivazione del Tribunale, che sussistevano due indizi gravi, precisi e concordanti di un accordo fraudolento tra i due omonimi B. a danno della banca: l’inizile negazione della conoscenza dell’autore del prelievo da parte del correntista e la conoscenza del numero del conto del nipote da parte del nonno, che lasciava anche presumere il mendacio del primo anche allorchè aveva negato peraltro senza provarlo – di avere più rapporti con il nonno.
Il B. ha proposto ricorso per cassazione affidato a cinque motivi, illustrato con memoria.
Resiste la Banca con controricorso, illustrato con memoria.
Il P.M. ha chiesto il rigetto del ricorso.
Il collegio ha deliberato che la motivazione della presente ordinanza sia redatta in forma semplificata.
RITENUTO
CHE:
Con il primo motivo è denunziata violazione e falsa applicazione dell’art. 1176 c.c., in quanto la Corte d’appello non ha considerato la mancanza di diligenza dell’addetto allo sportello per non aver verificato la corrispondenza tra il firmatario dell’assegno e il titolare del conto corrente, pur dichiarando di ricordare la fisionomia dell’omonimo nonno B.S., titolare di altro conto presso la stessa filiale.
Con il secondo motivo il ricorrente si duole del fatto che l’assegno era stato pagato a soggetto non legittimato, in violazione dell’art. 43 Legge Ass.
Con il terzo motivo è denunziato l’omesso esame di fatto decisivo, inerente al mancato controllo dell’identità del prenditore dell’assegno. Con il quarto e quinto motivo, in subordine, è denunziata la violazione e falsa applicazione degli artt. 2697,2727 e 2729 c.c., avendo la Corte d’appello attribuito valenza probatoria ad indizi irrilevanti, senza invece valutare con i criteri di legge la responsabilità della banca.
I primi tre motivi, tra loro connessi in quanto con essi si deduce, in sostanza, la violazione, da parte della banca, dei propri doveri per non aver verificato la corrispondenza del prenditore con il titolare del conto e della firma con quella dello specimen, e dunque esaminabili congiuntamente, sono inammissibili.
Invero, tali motivi non attengono alla ratio decidendi poichè già il Tribunale – e con esso il giudice d’appello confermando la sua decisione – aveva dato atto della violazione dei propri doveri da parte della banca, ma aveva considerato tale circostanza assorbita dal dolo del cliente e del nonno omonimo, argomentando da un previo accordo fraudolento intercorso tra il prenditore dell’assegno e l’effettivo titolare del conto corrente, fondato sull’omonimia dei due soggetti.
Il quarto ed il quinto motivo, da esaminare congiuntamente poichè connessi, sono parimenti inammissibili.
La banca ricorrente ha criticato il valore inferenziale degli indizi su cui si basa la decisione impugnata, onde, come rilevato dal P.M., sotto la rubrica della violazione di norme di diritto vengono dedotte sostanziali censure di merito.
Le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità che liquida nella somma di Euro 2200,00, di cui 200,00 per esborsi, oltre alla maggiorazione del 15% per il rimborso forfettario delle spese generali e accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 6 dicembre 2018.
Depositato in Cancelleria il 22 maggio 2019