LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –
Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – Consigliere –
Dott. MELONI Marina – Consigliere –
Dott. TERRUSI Francesco – rel. Consigliere –
Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 21028/2016 proposto da:
F.A., elettivamente domiciliato in Roma, P.zza S.
Giovanni in Laterano n. 18-b, presso lo studio dell’avvocato Calbi Ennio che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato Ierinò
Antonia Donata, giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
Duca Abruzzi Soc. Coop. A r.l. in liquidazione, in persona del liquidatore pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via Luigi Boccherini n. 3, presso lo studio dell’avvocato De Angelis Federico, rappresentata e difesa dall’avvocato Galioto Ivar, giusta procura a margine del controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 4158/2015 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 10/07/2015;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 05/02/2019 dal Cons. Dott. TERRUSI FRANCESCO;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale DOTT. CAPASSO Lucio, che ha concluso per il rigetto del ricorso, inammissibile il controricorso;
udito per il ricorrente l’Avvocato Bonotto Marcello, con delega, che ha chiesto si riporta.
FATTI DI CAUSA
Il tribunale di Roma, adito da F.A. con azione di impugnativa di una Delibera di esclusione da socio della cooperativa Duca degli Abruzzi a r.l. e susseguente subordinata domanda di restituzione di somme, dichiarava l’azione di impugnativa inammissibile per tardività e accoglieva, seppure parzialmente, la domanda di condanna.
La decisione veniva impugnata dal F. e la corte d’appello di Roma rigettava, per carenza di prove, il gravame in ordine alla quantificazione del credito in misura superiore a quella risultante dal bilancio della società e riconosciuta dal tribunale. Osservava che in primo grado l’attore non aveva depositato alcun documento al riguardo e che i documenti prodotti in appello (bollettini e distinte di versamento), al di là dell’utilizzabilità ex art. 345 c.p.c., non erano comunque idonei a ricostruire gli importi in misura superiore al quantum già liquidato.
F. ha proposto ricorso per cassazione con due motivi.
La società ha replicato con controricorso.
Avviata in un primo momento alla trattazione camerale, la causa è stata rimessa in pubblica udienza con ordinanza interlocutoria della sesta sezione civile.
Il ricorrente ha depositato una memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Col primo motivo il ricorrente, denunziando violazione o falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e omesso esame di fatto decisivo, anche in relazione all’art. 115 c.p.c., lamenta che la corte d’appello, con travisamento delle risultanze istruttorie, non abbia valutato la documentazione prodotta, costituita da serie di ricevute di conto corrente, pur dopo averne ritenuto, con ordinanza del 20/11/2011, la potenziale decisività “per dimostrare l’entità del debito restitutorio”. Invero la corte d’appello avrebbe omesso di rilevare che la documentazione contabile era stata richiesta dalla stessa cooperativa ed era stata tuttavia da questa trasmessa solo in parte, mentre altra documentazione (una lettera raccomandata, alcune ricevute di pagamento e via seguitando) doveva considerarsi di valore probante, considerato che la cooperativa non aveva specificamente contestato i fatti oggetto di prova.
Col secondo motivo il ricorrente denunzia l’omessa o insufficiente motivazione della sentenza a proposito della conseguente valutazione per cui i documenti prodotti in appello non erano idonei a provare il credito.
Il ricorso, i cui motivi possono essere esaminati unitariamente per connessione, è inammissibile in quanto incentrato su profili attinenti alla valutazione di concreta idoneità della prova documentale, istituzionalmente rimessa – invece – al giudice del merito.
Come da tempo questa Corte ha affermato, anche a sezioni unite, l’art. 360 c.p.c., n. 5, nel testo qui rilevante (essendo la sentenza d’appello successiva al D.L. n. 83 del 2012), postula la riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Sicchè è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali: tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass. Sez. U n. 805314).
In siffatta prospettiva la decisione di merito sulla valutazione della idoneità o meno di una prova non è mai sindacabile, poichè il vizio deducibile in cassazione postula l’omesso esame di fatti storici, principali o secondari, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, mentre l’omesso esame (e ancor più l’asserito insufficiente esame) di elementi istruttori – finanche solo documentali – non integra, di per sè, il vizio qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice (Cass. n. 9253-17, Cass. n. 27415-18 e moltissime altre).
Tanto considerato, è evidente che il ricorso, attraverso le doglianze relative alla affermata inidoneità dei documenti a provare il maggior credito, si pone al di fuori dei confini appena detti, e semplicemente mira a una rivisitazione del giudizio afferente, in contrasto coi noti limiti del giudizio di legittimità.
Il controricorso della società è inammissibile.
Difatti nel medesimo atto si afferma che la società è stata cancellata dal registro delle imprese in data 21-12-2015, come da visura camerale allegata.
Tale evento ha inciso in modo diretto – determinandone il venir meno – sul potere di rappresentanza dell’ente estinto in capo al liquidatore; il quale liquidatore, viceversa, nel caso di specie, ha rilasciato la procura speciale per il giudizio di cassazione (tra le tante riferite alla proposizione del ricorso, ma chiaramente estensibili al controricorso per identità di ratio, cfr. Cass. n. 11100.17; Cass. n. 2444-17).
Consegue che la società non può dirsi validamente costituita con il controricorso e tanto impone di non far luogo alla pronuncia sulle spese processuali.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibili il ricorso e il controricorso.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 5 febbraio 2019.
Depositato in Cancelleria il 22 maggio 2019