Corte di Cassazione, sez. I Civile, Sentenza n.13844 del 22/05/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – Consigliere –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – rel. Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 15188/2017 proposto da:

La Società Tagliavinitre s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via A Gramsci n. 36, presso lo studio dell’avvocato Ragazzoni Giulio che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato Tagliavini Stefano, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

***** s.r.l. in fallimento, in persona del Curatore B.A., elettivamente domiciliata in Roma, Via Monte Delle Gioie n. 13, presso lo studio dell’avvocato Valensise Carolina che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato Garlassi Rita, giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2245/2016 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, depositata il 06/12/2016;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 05/02/2019 dal Cons. Dott. TERRUSI FRANCESCO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CAPASSO Lucio, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito per il ricorrente l’Avvocato Ragazzoni, che ha chiesto si riporta;

udito per il controricorrente l’Avvocato Valensise, che ha chiesto si riporta ed insiste per il rigetto del ricorso.

FATTI DI CAUSA

La società Tagliavinitre a r.l. impugnava la sentenza con la quale il tribunale di Reggio Emilia aveva accolto la domanda della curatela del fallimento di ***** s.r.l. di condanna al pagamento della complessiva somma di 98.000,00 Euro, avente base in tre pagamenti costituenti rimborso di finanziamenti anomali avvenuto nell’anno anteriore al fallimento.

La corte d’appello di Bologna rigettava il gravame, in sintesi osservando che la difesa della società era stata basata sul fatto che i pagamenti, eseguiti in favore di terzi creditori della *****, fossero avvenuti in data successiva a una rimessa di 65.000,00 Euro effettuata dalla stessa ***** in data 28-2-2012, per modo da non costituire finanziamenti rilevanti ai sensi dell’art. 2467 c.c., Riteneva detta tesi sfornita di prova, in quanto i documenti prodotti in primo grado non valevano a dimostrare, con data certa opponibile al Fallimento, che i creditori (Cormo s.r.l. e Linea s.r.l.) fossero stati pagati dalla Tagliavinitre in epoca successiva al 28-2-2012, e in quanto la produzione documentale aggiuntiva, fatta in appello, era inammissibile ai sensi dell’art. 345 c.p.c., non essendovi stata dimostrazione nè dell’identità di alcuni documenti (in particolare di alcuni estratti conto) a quelli asseritamente già prodotti in primo grado e ivi dispersi, nè della impossibilità di una previa tempestiva produzione degli altri (rappresentati da copie di assegni) per causa non imputabile.

In ogni caso reputava ininfluente la data di negoziazione dei titoli richiamati, a fronte invece della data di emissione, indicativa dell’essere stati gli assegni emessi prima del 28-2-2012 in funzione di finanziamento anomalo.

Ancora la corte territoriale riteneva infondata la prospettazione dell’appellante in ordine all’esservi stata, a base dei pagamenti, una delegazione di pagamento, attesa la mancanza di un rapporto di debito-credito inter partes; ed egualmente reputava infondata la prospettazione in ordine alla volontà di profittare di una transazione intercorsa tra la fallita e una delle creditrici (Cormo s.r.l.) quanto a parte della somma rispetto alla quale la curatela aveva rinunciato ad agire in revocatoria, atteso che Tagliavinitre era tenuta verso il Fallimento in base a un titolo diverso, senza vincolo di solidarietà.

Infine la corte d’appello rigettava: (i) la doglianza relativa alla possibile configurazione di un’azione di arricchimento ingiustificato rispetto a parte della somma già ricevuta dalla curatela a seguito della detta transazione; (ii) la doglianza volta a sostenere che non era stato provato il passaggio di somme in restituzione del finanziamento di 3.000,00 Euro a mezzo assegno; (iii) la doglianza incentrata sull’inesistenza di un eccessivo squilibrio patrimoniale della ***** alla data dell’ulteriore pagamento di 30.000,00 Euro.

Per la cassazione della sentenza la società Tagliavinitre ha proposto ricorso affidato a sette motivi.

La curatela del fallimento ha replicato con controricorso.

Avviata in un primo momento alla trattazione camerale, la causa è stata rimessa in pubblica udienza con ordinanza interlocutoria della sesta sezione civile.

Le parti hanno depositato memorie.

RAGIONI DELLA DECISIONE

I. – La condizione di procedibilità del ricorso, correlata all’avvenuta produzione della sentenza in copia autentica, risulta soddisfatta in base al diretto esame degli atti di causa, ai quali è giustappunto allegata la suddetta la copia autentica.

La curatela controricorrente ne ha eccepito (in memoria) la mancanza di sottoscrizione da parte del difensore attestante la conformità al contenuto estratto dal fascicolo telematico, poichè dal raffronto grafico la firma di autenticazione non corrisponderebbe a quella del difensore che ha patrocinato la società Tagliavinitre dinanzi alla corte d’appello.

L’eccezione tuttavia è inconsistente non essendo stata alfine proposta una querela di falso.

II. – Col primo motivo la società denunzia la contraddittoria e omessa motivazione della sentenza circa la questione della sottoscrizione e formazione dei documenti posti a sostegno del primo motivo d’appello, oltre che la violazione e falsa applicazione degli artt. 2702-2704 c.c..

Si sostiene non esser stata correttamente analizzata la prova documentale con specifico riferimento a una quietanza di pagamento del creditore Linea s.r.l. e a una fotocopia di assegni con firma corrispondente a quella del legale rappresentante di questa. Egualmente si lamenta non esser stata considerata la sequenza numerica che legava l’assegno intestato a Cormo s.r.l. e quelli consegnati a Linea s.r.l., da cui avrebbe dovuto evincersi che i titoli avevano fatto parte dello stesso libretto di assegni, indice di operazioni di pagamento eseguite più o meno nello stesso contesto temporale.

La corretta ricostruzione della data di consegna avrebbe dovuto indurre la corte d’appello a ritener provata la posteriorità dei titoli rispetto al pagamento ricevuto in data 28-2-2012, così da escludere la sussunzione dei fatti nell’alveo dell’art. 2467 c.c..

III. – Il primo motivo è inammissibile.

La domanda avanzata dalla curatela aveva trovato fondamento in alcune annotazioni contabili dalla fallita per versamenti fatti in favore della socia Tagliavinitre s.r.l. nell’anno anteriore al fallimento. Era stato prospettato che i versamenti avevano avuto la funzione restitutoria di finanziamenti anomali, attuati dal socio mediante operazioni di pagamento di creditori della fallita.

Tale ricostruzione, avallata dal tribunale, è stata condivisa, in fatto, dalla corte d’appello di Bologna, la quale ha motivato la decisione affermando che la contraria allegazione di parte convenuta, secondo la quale i suddetti pagamenti erano stati eseguiti dopo una rimessa fatta dalla stessa società *****, e dunque in adempimento di una delegazione di pagamento, era rimasta sfornita di prova.

Tanto la corte d’appello ha affermato specificamente esaminando i documenti prodotti in primo grado, che – ha detto – “non valevano a provare, con data certa opponibile al Fallimento, che Corno e Linea s.r.l. fossero stati pagati da Tagliavinitre in epoca successiva al 28-2-2012”.

La censura avanzata col primo motivo, per quanto riferita a una presunta contraddittorietà della motivazione oltre che all’omesso esame di circostanze di fatto, si sostanzia nel rilievo di non corretta analisi della prova documentale, anche con riferimento ai profili della veridicità della data delle scritture. E in tal senso si infrange col consolidato orientamento di questa Corte, secondo il quale l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134 e qui applicabile ratione temporis, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia).

L’omesso esame (ovvero l’asseritamente insufficiente esame) di elementi istruttori (tra i quali vanno certamente annoverati i documenti) non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass. Sez. U n. 8053-14).

Quanto alla critica di contraddittorietà, è agevole osservare che una simile carenza non emerge affatto dalla motivazione del giudice di merito, volta che in tanto una motivazione può dirsi contraddittoria, in quanto sia caratterizzata da affermazioni in reciproco stringente contrasto, tale da eliderne la comprensibilità.

IV. – Il secondo mezzo, col quale si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 702-quater c.p.c., per avere la corte d’appello giudicato inammissibile la prova documentale in base a norma (l’art. 345 c.p.c.) non applicabile al caso, è egualmente inammissibile.

Difetta innanzi tutto il requisito di causalità dell’errore denunciato, giacchè non risultano censurate le specifiche motivazioni in fatto alle quali la corte d’appello ha associato l’inammissibilità della produzione.

In particolare non è stata censurata nè l’affermazione per cui non poteva apprezzarsi l’identità dei documenti rispetto a quelli asseritamente già depositati in primo grado e ivi ancora asseritamente perduti, nè l’affermazione secondo cui niente era stato concretamente dedotto a sostegno dell’impossibilità di una produzione tempestiva dinanzi al tribunale.

Per quanto la corte d’appello abbia in effetti erroneamente correlato la valutazione di inammissibilità dei nuovi documenti al regime generale dell’art. 345 c.p.c., anzichè a quello di cui all’art. 702-quater c.p.c., è sufficiente correggere la motivazione, perchè è un fatto che anche in base a quest’ultima norma, in caso di appello, nel procedimento sommario di cognizione, “sono ammessi nuovi mezzi di prova e nuovi documenti quando il collegio li ritiene indispensabili ai fini della decisione, ovvero la parte dimostra di non aver potuto proporli nel corso del procedimento sommario per causa ad essa non imputabile”.

La corte territoriale ha escluso entrambe le situazioni: ha ritenuto i documenti non indispensabili per irrilevanza della data di negoziazione effettiva degli assegni, a fronte della pacifica loro emissione prima del 28-22012, in funzione di finanziamento – e tanto costituisce un apprezzamento di merito; ha poi ritenuto indimostrata (e anzi finanche non allegata) l’impossibilità di produzione documentale in prime cure – e sul punto non v’è censura.

V. – Col terzo motivo la ricorrente denunzia la violazione e falsa applicazione dell’art. 2467 c.c., in relazione all’art. 1269 c.c., poichè il momento in cui considerare costituito il finanziamento anomalo non poteva che essere rapportato alla data di percezione della somma da parte del creditore, nella specie successiva al 28/2/2012. In tal guisa censura la sentenza sostenendo non esser vero che la delegazione di pagamento debba comprendere le relazioni negoziali ivi descritte, attesa la portata generale del negozio di delegazione come desumibile dall’art. 1269 c.c., comma 2.

Il terzo motivo è in parte infondato e in parte inammissibile.

Allo scopo di qualificare l’erogazione di somme che a vario titolo i soci effettuano alle società da loro partecipate – se cioè avvenuta, per esempio, a titolo di mutuo oppure di apporto del socio al patrimonio della società assume importanza l’esame della volontà delle parti. La relativa prova, di cui è onerato il socio attore in restituzione, va tratta dal modo in cui il rapporto è stato attuato in concreto, dalle finalità pratiche cui il medesimo appare essere diretto e dagli interessi che vi sono sottesi (tra le tante Cass. n. 25585-14, Cass. n. 7471-17).

Quanto all’obbligo restitutorio, ove sussista il requisito temporale previsto dall’art. 2467 c.c., è dirimente il riferimento normativo “ai finanziamenti dei soci a favore della società (..) in qualsiasi forma effettuati”.

Ora l’interpretazione della finalità pratica di un’operazione, cui è associata la volontà di eseguire un finanziamento, è questione di merito. E nel caso specifico la corte d’appello ha ritenuto dimostrata la funzione di finanziamento in considerazione dell’essere stati emessi, dalla socia Tagliavinitre, assegni in pagamento di debiti della ***** prima della data di effettuazione della rimessa restitutoria, peraltro annotata in contabilità come “rimborso spese anticipate” e “anticipo soci”.

Tanto ha ritenuto, invero, “in mancanza di prova contraria di cui era onerata l’appellante”.

Da nessun punto di vista la motivazione contiene errori di diritto.

Essa sorregge di per sè il diniego di rispondenza della fattispecie alla funzione della delegazione di pagamento, mentre nell’affermare che tale dovevasi intendere la funzione dell’operazione la ricorrente finisce per contestare la finalità pratica della stessa come ricostruita in fatto dalla corte territoriale, risolvendo la censura in un tentativo di rivisitazione – giustappunto – del giudizio di fatto.

VI. – Col quarto motivo la ricorrente denunzia la violazione e falsa applicazione dell’art. 1304 c.c., poichè l’obbligazione restitutoria ex art. 2467 c.c. e quella di cui alla L. Fall., art. 67, traevano origine da un’unica obbligazione di pagamento dei fornitori di *****, così da consentirle di profittare della transazione intercorsa tra i fornitori medesimi e la curatela del fallimento.

Anche il quarto motivo è infondato.

La transazione raggiunta dal creditore con altro coobbligato può determinare l’effetto di cui all’art. 1304 c.c., ove vi sia solidarietà nel debito. Solo in tal caso è possibile per il coobligato del debito solidale, che non vi abbia partecipato, profittare della transazione. Il che suppone, a fini applicativi, che la transazione abbia riguardato l’intero debito solidale (v. per es. Cass. n. 23418-16).

Come esattamente affermato dalla corte d’appello di Bologna, ciò era nella specie da escludere già in base alla circostanza che la transazione non era avvenuta in relazione a un’obbligazione solidale. Era stata transatta invero la causa relativa all’obbligazione unicamente gravante sul soggetto (Cormo s.r.l.) convenuto in revocatoria, poichè percettore del pagamento eseguito dal socio (terzo).

La distinzione causale delle azioni di condanna – nel primo caso associata all’esito della revocatoria, nel secondo caso rappresentata dalla necessità di restituire il rimborso del finanziamento anomalo infrannuale rende chiara l’inesistenza del presupposto della solidarietà.

VII. – Il quinto mezzo, col quale è dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 2041 c.c., nella parte in cui l’impugnata sentenza ha ritenuto infondata l’azione di arricchimento, è manifestamente infondato.

In rapporto ai fatti che precedono, la corte territoriale ha ritenuto che la prospettazione di un incremento patrimoniale non giustificato fosse possibile in solo danno della Cormo s.r.l., non della Tagliavinitre.

A tale rilievo la ricorrente oppone che il fondamento dell’azione di arricchimento andrebbe ravvisato nel fatto che la curatela fallimentare ha proposto la domanda quando dalla Cormo s.r.l. “aveva già ricevuto il pagamento di Euro 24.000,00 derivante dalla stessa causale originaria, sebbene a titolo diverso”. Sicchè l’arricchimento indebito sarebbe a suo dire “in effetti avvenuto a scapito dell’attuale ricorrente, che ha dovuto subire un’azione esecutiva per l’intero importo corrisposto a Cormo, dopo che la stessa aveva già rimborsato alla curatela parte di esso”.

In contrario è sufficiente considerare, con ciò integrando e parzialmente correggendo anche la motivazione della corte d’appello, che l’azione generale di arricchimento presuppone che la locupletazione di un soggetto a danno di un altro avvenga in assenza di giusta causa, la quale non può essere mai invocata quando il supposto arricchimento sia conseguenza di un contratto o di altro rapporto compiutamente regolato (per tutte di recente Cass. n. 15243-18, Cass. n. 14732-18).

Quel che unicamente rileva, allora, per dimostrare l’infondatezza della prospettazione di parte ricorrente, è questo: che la pretesa del Fallimento nei confronti della società Tagliavinitre era sorretta da una sua causa pratico-giuridica, tale essendo quella discendente dal regime dettato dall’art. 2467 c.c., a prescindere dall’esito delle azioni svolte nei confronti di terzi a diverso titolo.

VIII. – Il sesto motivo, col quale è dedotta la contraddittorietà della motivazione della sentenza a proposito del rimborso del finanziamento di 3.000,00 Euro con assegno del 5-11-2011, è inammissibile.

A fronte della contestazione dell’appellante per cui la somma di 3.000,00 Euro non era stata in effetti rimborsata, la corte del merito ha ritenuto provato il contrario in ragione di quanto emergente dai documenti versati in atti, compiutamente indicati.

Come già sottolineato, nell’attuale configurazione del vizio ex art. 360 c.p.c., n. 5 il sindacato sulla motivazione può trovare ingresso, in cassazione, nell’ottica della riduzione al cd. “minimo costituzionale” (Cass. Sez. U n. 8053-14 cit.), e dunque solo quando l’anomalia si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante perchè attinente all’esistenza della motivazione in sè, e sempre che il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione. Nè il vizio può attenere all’esame di risultanze istruttorie, quanto piuttosto a fatti storici, principali o secondari, decisivi.

Niente di tutto ciò è riscontrabile nel caso di specie, poichè i profili denunciati attengono ancora una volta alla valutazione della prova documentale, e quindi semplicemente (e surrettiziamente) postulano una richiesta di riesame delle risultanze probatorie.

IX. – Anche il settimo mezzo è inammissibile.

Si censura la sentenza per contraddittorietà o insufficiente motivazione in ordine all’applicazione dell’art. 2467 c.c., quanto al rimborso introitato dalla società il 1-9-2011, e in particolare si sostiene che il rimborso effettuato dalla ***** sarebbe avvenuto in data 19-2011 in seguito a precedente pagamento di una fattura (il 30-6-2011), nel contesto di una situazione economica e finanziaria della società ***** che escludeva l’applicazione dell’art. 2467 c.c..

Sennonchè la stessa ricorrente, all’inizio del ricorso, ha messo in risalto che la ***** è stata dichiarata fallita con sentenza del 30-4-2012 e la corte d’appello ha accertato che al momento del rimborso già esisteva la situazione di eccessivo squilibrio patrimoniale della sovvenuta.

Ora non è indicato, nell’ambito della censura, alcun fatto storico controverso e decisivo che a scopo motivazionale sarebbe stato omesso.

La ricorrente si limita ad asserire di aver prodotto i bilanci della società ***** e che il di lei fallimento sarebbe stato dichiarato in ragione di un unico debito “fortemente contestato”.

L’argomentazione è del tutto generica e non autorizza affatto a dire che la motivazione di merito, avente base proprio sull’esame di quei bilanci, ritenuti evocativi di una chiara e patologica sottocapitalizzazione, sia contraddittoria. Per converso l’insufficienza motivazionale non è (più) suscettibile di essere posta a base della censura ex art. 360 c.p.c., n. 5.

X. – Il ricorso è rigettato.

Le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese processuali, che liquida in 7.200,00 Euro, di cui 200,00 Euro per esborsi, oltre accessori e rimborso forfetario di spese generali nella percentuale di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 5 febbraio 2019.

Depositato in Cancelleria il 22 maggio 2019

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