Corte di Cassazione, sez. I Civile, Sentenza n.13847 del 22/05/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto Luigi – Consigliere –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 23048/2016 proposto da:

Banca Di Credito Cooperativo San Giuseppe Dimpetralia Sottana, Società Cooperativa, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma Via Sforza Pallavicini 18, presso lo studio dell’avvocato Alessandra Gurrieri, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato Maria Fosca Poeta, giusta procura del 19 settembre 2016;

– ricorrente –

contro

S.A., F.M.R., elettivamente domiciliati in Roma, Via Marianna Dionigi 29, presso lo studio dell’avvocato Marina Milli, rappresentati e difesi dall’avvocato Giuseppe Maria Antonio Calabrese, giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 558/2016 della CORTE D’APPELLO di PALERMO, depositata il 23/03/2016;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 05/02/2019 da Dott. FALABELLA MASSIMO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CAPASSO LUCIO, che ha concluso per l’accoglimento dei motivi I e II, rigetto del III motivo del ricorso;

udito l’Avvocato Gurrieri per la ricorrente, con delega, che si riporta agli atti;

udito l’Avvocato Milli per i contro ricorrenti, con delega, che si riporta agli atti.

FATTI DI CAUSA

1. – Con atto notificato il 30 marzo 2007, S.A. e F.M.R. proponevano opposizione avverso il decreto ingiuntivo con il quale veniva loro intimato, da parte della Banca di Credito Cooperativo San Giuseppe, il pagamento della somma di Euro 167.584,11, oltre interessi di mora convenzionali: il provvedimento monitorio si basava sull’obbligazione di rimborso di un mutuo e sul saldo passivo di un contratto di conto corrente cui era collegato un conto anticipi. Gli attori deducevano che il credito non era fondato su prova scritta e opponevano l’indeterminatezza o indeterminabilità del tasso di interesse debitore, l’anatocismo e il superamento del tasso soglia; domandavano in via riconvenzionale la condanna della controparte alla restituzione della somma di Euro 52.320,70, salvo altra.

Nella resistenza della banca, il Tribunale di Termini Imerese revocava il decreto ingiuntivo opposto, condannando gli opponenti al pagamento della sola somma che costituiva oggetto dell’obbligazione di ammortamento del mutuo.

2. – La banca impugnava detta pronuncia e la Corte di appello di Palermo, con sentenza depositata il 23 marzo 2016, rigettava il gravame.

3. – Contro tale decisione la Banca di Credito Cooperativo ha proposto un ricorso per cassazione di tre motivi, illustrato da memoria. Resistono con controricorso S.A. e F.M.R..

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Le censure della ricorrente si riassumono come segue.

1.1. – Primo motivo: violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 e 2909 c.c. e art. 50 t.u.b. (D.Lgs. n. 385 del 1993). Lamenta la ricorrente che la sentenza impugnata avrebbe confermato la sentenza di primo grado attribuendo rilievo al mancato assolvimento, da parte di essa istante, dell’onere circa la produzione degli estratti conto fin dall’origine dei singoli rapporti, presupponendo, così, la ricorrenza di una controversia avente ad oggetto la nullità delle clausole contrattuali; rileva, in proposito, che la deduzione della nullità da parte del correntista era stata di contro disattesa dal Tribunale e che sul punto si era formato il giudicato interno.

1.2. – Secondo motivo: violazione dell’art. 1832 c.c. e degli artt. 115 e 116 c.p.c.. Osserva la banca che la doglianza afferente le movimentazioni dei conti avrebbe dovuto ritenersi preclusa ex art. 1832 c.c., tanto più che il contratto di conto corrente conteneva la clausola secondo cui i libri e le altre scritture contabili dell’istituto di credito facevano piena prova nei confronti del correntista.

1.3. – Terzo motivo: violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c.. Spiega la ricorrente che, con riferimento al conto anticipi, la sentenza impugnata avrebbe disatteso le risultanze di causa e, in particolare, non avrebbe tenuto conto della mancata contestazione, da parte dei controricorrenti, dell’anticipazione da essa posta in atto in loro favore.

2. – I proposti motivi sono infondati.

2.1. – La Corte di merito ha evidenziato che con riferimento al conto corrente erano stati prodotti in giudizio gli estratti conto non già dall’inizio del rapporto, ma a partire dal terzo trimestre del 1994, mentre con riguardo al conto anticipi gli estratti conto risultavano documentati con riferimento al periodo ricompreso tra il 1 marzo 2002 e il 4 settembre 2003. Il giudice distrettuale ha quindi osservato che erroneamente il consulente tecnico aveva considerato come attendibile il saldo di partenza del conto corrente ordinario alla data del 30 marzo 1994 (pari a Lire 77.909.747) “benchè nessuna documentazione lo attestasse, proprio per la mancanza degli estratti conto precedenti” e che, in definitiva, nulla poteva essere riconosciuto alla banca, in considerazione del mancato assolvimento, da parte della stessa, dell’onere probatorio riferito al credito azionato in giudizio.

2.2. – Ciò detto, è la stessa parte ricorrente a ricordare che il giudice di primo grado, la cui sentenza è stata confermata in sede di gravame, ebbe ad osservare come l’incompleta produzione degli estratti conto impedisse una corretta ricostruzione dei rapporti di dare e avere depurati dalle appostazioni di voci non dovute, tra cui veniva indicata quella attinente agli interessi anatocistici (pagg. 7 e 8 del ricorso): il tema della capitalizzazione era stato, del resto, pacificamente fatto valere dagli opponenti, poi appellati (cfr. infatti la sentenza della Corte di appello, a pag. 1) e parte ricorrente nemmeno assume che la previsione, nel contratto, della capitalizzazione degli interessi debitori fosse stata negata dai giudici di merito. Nè, del resto, può ritenersi risolutivo, ai fini che qui interessano, il rigetto, da parte del Tribunale, della domanda riconvenzionale proposta da S. e F., giacchè detta statuizione si riferisce, propriamente, all’indebita percezione di un indebito da parte dell’istituto di credito (cfr. pagg. 5 e 6 della sentenza di primo grado, cui la Corte ha accesso, essendo stato dedotto l’error in procedendo consistente nella violazione del giudicato interno); la pronuncia non esclude, di contro, che il contratto programmasse il pagamento di interessi anatocistici: ciò che, del resto, il giudice di prime cure ha implicitamente riconosciuto allorquando ha valorizzato la circostanza per cui dalla domanda monitoria era stata decurtata la capitalizzazione trimestrale degli interessi (pag. 5).

In presenza della nullità della clausola anatocistica, allora, la banca aveva l’onere di produrre gli estratti conto a partire dall’apertura del conto; infatti, la banca stessa non può sottrarsi all’assolvimento di tale onere invocando l’insussistenza dell’obbligo di conservare le scritture contabili oltre dieci anni, dal momento che l’onere di conservazione della documentazione contabile va distinto da quello di dar prova del proprio credito (Cass. 10 maggio 2007, n. 10692; Cass. 25 novembre 2010, n. 23974; Cass. 26 gennaio 2011, n. 1842; Cass. 18 settembre 2014, n. 19696; Cass. 20 aprile 2016, n. 7972; Cass. 25 maggio 2017, n. 13258; più di recente, sempre nel senso dell’affermazione dell’onere della banca di produrre gli estratti conto dal momento di inizio del rapporto: Cass. 16 aprile 2018, n. 9365; Cass. 27 settembre 2018, n. 23313).

Nè la banca ricorrente può invocare la clausola, contenuta nel contratto di conto corrente, con la quale il cliente riconosca che i libri e le altre scritture contabili della banca facciano piena prova nei suoi confronti (secondo quanto ritenuto da Cass. 2 dicembre 2011, n. 25857): infatti, tale pattuizione di inversione dell’onere della prova non opera, come è evidente, nel caso di accertata invalidità delle clausole contrattuali, giacchè, in tale ipotesi, le risultanze delle scritture contabili sono intrinsecamente inattendibili proprio perchè influenzate dalla contabilizzazione di voci non dovute.

2.3. – Non merita poi accoglimento la censura articolata dalla ricorrente nel terzo motivo, con specifico riferimento al mancato accredito della somma capitale di Euro 49.579,76 relativa ad una anticipazione su fattura.

Nel caso della c.d. anticipazione su fatture, è onere del creditore, che pretende la restituzione delle somme erogate in ragione del mancato pagamento del terzo, dimostrare non solo l’esistenza del contratto di finanziamento, bensì anche l’avvenuta erogazione delle somme sovvenute, senza che ad integrare tale prova possa ritenersi sufficiente la produzione, da parte della banca, dell’originale delle ricevute bancarie, di per sè inidonee a dimostrare l’effettiva anticipazione delle somme oggetto di finanziamento (Cass. 15 giugno 2012, n. 9848; Cass. 21 agosto 2007, n. 18447). Ora, l’anticipazione su fattura per l’importo di Euro 49.579,76, della cui mancata contabilizzazione si duole la parte ricorrente, si riferisce a un periodo rispetto al quale, come ha rimarcato la Corte di appello, la documentazione relativa al conto anticipi risultava essere incompleta (avendo il giudice distrettuale evidenziato, in relazione al periodo decorrente dal 3 marzo 1998, vuoi la mancanza di prova della relativa pattuizione – che, va qui aggiunto, soggiace alla forma scritta ad substantiam, giusta l’art. 117 t.u.b. – vuoi l’omessa produzione della totalità degli estratti conto): tale accertamento sfugge, con evidenza, al sindacato di legittimità. Si aggiunga che la banca ricorrente non può pretendere di isolare una singola operazione posta in essere nel quadro del rapporto intrattenuto col proprio cliente per far valere la spettanza della somma maturata con riferimento a tale singola operazione: vero è, invece, che, in considerazione dell’unitarietà del rapporto, la banca stessa deve dar dimostrazione del saldo finale che l’andamento del conto ha generato nel tempo. In tal senso, l’asserita mancata contestazione dell’operazione in questione non riveste rilievo decisivo, posto che tale condotta processuale non investe il dato del dare o dell’avere al momento di chiusura del conto.

3. – Il ricorso è dunque respinto.

4. – Le spese del giudizio seguono la soccombenza.

P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento, in favore dei controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 6.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge; ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione prima Civile, il 5 febbraio 2019.

Depositato in Cancelleria il 22 maggio 2019

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