Corte di Cassazione, sez. I Civile, Sentenza n.13850 del 22/05/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DIDONE Antonio – Presidente –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – rel. Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 10706/2017 proposto da:

***** S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, ***** S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore e M.L., in proprio e nella qualità di amministratore della ***** s.r.l., domiciliati in Roma, Piazza Cavour, presso la Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentati e difesi dall’avvocato Vecchione Anna Maria Vittoria, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

Fallimento ***** S.r.l., in persona del curatore avv. Ma.Vi., elettivamente domiciliato in Roma, Via Pagani n. 36, presso lo studio dell’avvocato Fraioli Anna, rappresentato e difeso dall’avvocato Capasso Raffaele, giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

contro

***** S.r.l.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 60/2017 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 09/03/2017;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 14/02/2019 dal cons. Dott. VELLA PAOLA;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale DE RENZIS Luisa, che ha concluso per l’inammissibilità o in subordine per il rigetto del ricorso;

udito, per i ricorrenti, l’Avvocato Anna Maria Vittoria Vecchione che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito, per il controricorrente, l’Avvocato Anna Fraioli, con delega, che ha chiesto il rigetto.

FATTI DI CAUSA

1. Con la sentenza impugnata, la Corte d’appello di Napoli ha rigettato il reclamo proposto dalla società ***** s.r.l. e dal suo amministratore M.L., con l’intervento adesivo della *****. s.r.l. e del suo amministratore M.L., avverso la sentenza del 15/11/2015 con cui il Tribunale di Avellino aveva dichiarato il fallimento della ***** s.r.l. su ricorso della ***** s.r.l., respingendo le eccezioni di improcedibilità della domanda di fallimento fondate sull’avvenuta omologazione, in data 13/11/2013, dell’accordo di ristrutturazione dei debiti L. Fall., ex art. 182-bis proposto dalla *****, nonchè sulla sospensione dei termini ai sensi della L. n. 44 del 1999, art. 20, comma 7, a seguito di denuncia del 16/11/2015.

2. La Corte territoriale ha osservato, con riguardo al primo aspetto: i) che la ***** era creditore estraneo all’accordo, per cui il suo credito di circa ottantamila Euro (al netto dell’acconto pagato di circa ventimila Euro) avrebbe dovuto essere soddisfatto entro centoventi giorni dall’omologa; ii) che vi era idonea prova del credito, stante il pagamento dell’acconto e la mancata sospensione dell’efficacia esecutiva del decreto ingiuntivo da parte del giudice dell’opposizione; iii) che il procedimento per la dichiarazione di fallimento non rientra tra le azioni esecutive o cautelari oggetto di sospensione ex art. 182-bis, comma 3, L. Fall.; iv) che l’omologazione dell’accordo non costituiva impedimento alla dichiarazione di fallimento sulla base di un debito, scaduto e certo, il cui inadempimento era indice dello stato di insolvenza, a nulla rilevando la circostanza dedotta (ma non provata) dei pagamenti per oltre sessantamila Euro effettuati dalla debitrice dopo l’omologa.

3. Con riguardo al secondo aspetto, il giudice a quo ha rilevato: i) che il provvedimento di sospensione dei termini era stato emesso dalla Procura della Repubblica, su denuncia della ***** per i reati di estorsione ed usura a carico di una banca, in data 23/02/2016, quando ormai il credito della ***** era già scaduto (trattandosi di fatture del 2011 e 2012 portate da decreto ingiuntivo e precetto notificati nel 2015); ii) che la L. n. 44 del 1999, art. 20 non comporta una moratoria generalizzata, ma solo la proroga di trecento giorni delle scadenze dei termini – ricadenti entro un anno dalla data dell’evento lesivo – relativi ad adempimenti amministrativi, pagamento di ratei dei mutui ed ogni altro atto avente efficacia esecutiva, mentre il comma 4 di detta disposizione prevede solo la sospensione dei termini del processo esecutivo, non anche del procedimento per la dichiarazione di fallimento; iii) che comunque la sospensione ex art. 20 cit. riguarda solo la scadenza dei crediti connessi al reato denunciato dalla vittima di usura o estorsione, senza precludere l’accertamento dell’insolvenza.

4. Avverso detta sentenza le società ***** ed ***** nonchè il M. (quale legale rappresentante di entrambe) hanno proposto ricorso per cassazione affidato ad un motivo articolato su cinque profili, cui il Fallimento ***** s.r.l. ha resistito con controricorso, mentre la ***** non ha svolto difese.

5. Con ordinanza interlocutoria n. 15730 del 2018 la sezione Sesta-1 ha rimesso la causa alla sezione semplice per la trattazione in pubblica udienza.

RAGIONI DELLA DECISIONE

6. I ricorrenti lamentano una serie di vizi così (testualmente) rubricati: 1) “Nullità della sentenza per Violazione e falsa applicazione della normativa ex L. n. 44 del 1999, ex art. 20, primo e comma 4. Termini sospesi e prorogati”; 2) “Nullità della sentenza per Violazione e falsa applicazione della normativa legge fallimentareR.D. 16 marzo 1942, n. 267, artt. 1 e 15”; 3) “Omessa, insufficiente e carente motivazione nel ritenere applicabile la norma in questione al processo fallimentare sulla base dell’erronea interpretazione di un precedente giurisprudenziale di legittimità”; 4) “la violazione della medesima disposizione per aver ritenuto superfluo il parere del pm ivi descritto”; 5) “la carenza di motivazione nell’omesso accertamento dello stato oggettivo di insolvenza della ***** srl”.

6.1. In sostanza – per quanto riesce a ricavarsi dall’unitario e confuso svolgimento dei vizi denunziati – i ricorrenti deducono che la società non era nè insolvente nè inadempiente, in quanto: i) al momento dell’istanza di fallimento (05/06/2016) il creditore istante ***** non era legittimato, essendo titolare di un credito inesigibile, poichè da considerare scaduto alla data di emissione del decreto ingiuntivo (28/04/2015), “ossia entro l’anno dall’evento lesivo (novembre 2015)” e quindi soggetto a proroga e sospensione L. n. 44 del 1999, ex art. 20, commi 1 e 3; in ogni caso, l’esecutività del decreto ingiuntivo era stata parzialmente sospesa dal giudice dell’opposizione in data 04/08/2016, sicchè il credito “non era nè certo, nè liquido nè esigibile”; ii) nei primi due anni dall’omologa dell’accordo di ristrutturazione, che prevedeva adempimenti sino al 2021, erano stati già pagati circa settecentomila Euro di crediti, anche se poi la ***** aveva cessato i pagamenti “perchè intervenuta la sospensione e proroga ex lege”, senza che però l’accordo fosse stato mai risolto; iii) non vi erano protesti, “se non ridotti a tre”, e la debitoria era scesa da circa 7,5 milioni di Euro del 2013 a circa 6,5 milioni di Euro nel 2015.

6.2. Per concludere, i ricorrenti affermano che “in sintesi, è vero che la procedura pre-fallimentare non deve essere sospesa (…) per il fatto che il debitore abbia chiesto i benefici antiusura, dal momento che essa non ha la natura esecutiva presupposta dalla norma (…) bensì natura di cognizione (…) ma nella specie, sicuramente ed in ogni caso andava prorogata, ai sensi del comma 1 dell’art. 20, la scadenza del debito nei confronti del creditore istante, con la conseguenza che si deve ritenere quest’ultimo carente di legittimazione a chiedere il fallimento. Pertanto è evidente l’abnormità della sentenza”.

7. La curatela controricorrente eccepisce, tra l’altro, il difetto di specificità delle censure, la novità del vizio denunziato con il punto 4 (relativamente al parere del p.m.) e l’inconsistenza del punto 3, contenente una mera enunciazione.

8. Nonostante la non ortodossa formulazione del ricorso – che prospetta una pluralità di vizi di diversa natura, senza svilupparli chiaramente in singoli motivi – è possibile enucleare le due censure principali (escluse, in quanto inammissibili, le questioni nuove) e cioè: I) il difetto di esigibilità del credito del creditore istante *****, portato da decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo notificato con precetto del 25/05/2015, opposto e parzialmente sospeso in data 04/08/2016, a causa dell’applicabilità della sospensione ai sensi della L. n. 44 del 1999, a seguito della denuncia dei reati di usura ed estorsione in data 16/11/2015; II) la possibilità di dichiarare il fallimento della *****, su ricorso presentato il 05/06/2016 dalla ***** (creditore estraneo all’accordo di ristrutturazione dei debiti della *****), in pendenza dell’esecuzione dell’accordo di ristrutturazione ex art. 182-bis L. Fall., omologato ma mai risolto.

9. La prima censura è infondata, non solo perchè (come invero riconosciuto dagli stessi ricorrenti) il procedimento prefallimentare non si sospende ai sensi della L. n. 44 del 1999, art. 20, ma anche perchè lo stato di insolvenza va accertato tenendo conto di tutti i debiti, fatta salva l’inesigibilità solo di quelli concretamente afferenti il reato denunziato (v. Cass. 22756/2012, espressamente richiamata dalla Corte territoriale).

9.1. Valga al riguardo il consolidato orientamento di questa Corte, in base al quale la procedura prefallimentare ha natura non già esecutiva, bensì cognitiva, poichè prima della dichiarazione di fallimento non può dirsi iniziata l’esecuzione collettiva, così come prima del pignoramento non può ritenersi cominciata l’esecuzione individuale; di conseguenza, il procedimento per la dichiarazione di fallimento non è soggetto alla sospensione dei procedimenti esecutivi prevista dalla L. n. 44 del 1999, art. 20, comma 4, in favore delle vittime di richieste estorsive e dell’usura (Cass. 8432/2012, 6309/2014, 10172/2016, 29245/2018).

9.2. Va inoltre ricordato che la disciplina dettata dai primi quattro commi della L. n. 44 del 1999, art. 20, mirando a realizzare, attraverso la sospensione dei termini sostanziali e processuali rispettivamente, per il pagamento e per l’accertamento dei debiti pecuniari – un bilanciamento tra l’interesse dei creditori all’adempimento e l’esigenza di verificare il nesso eziologico tra la difficoltà dell’adempimento e la genesi criminale del debito, determina un’indubbia alterazione delle ordinarie relazioni civili, la cui operatività, però – pur trovando giustificazione nell’interesse pubblico alla tutela delle posizioni debitorie – va necessariamente circoscritta ad ipotesi tassative. Conseguentemente, la proposizione della domanda di elargizione delle provvidenze di cui alla suddetta legge comporta il riconoscimento della sospensione prevista dall’art. 20, comma 1, con riguardo ai singoli crediti implicati, ma non pregiudica il doveroso riscontro dello stato d’insolvenza L. Fall., ex art. 5, da valutarsi in relazione alla situazione generale dell’imprenditore ed alla sussistenza di altri inadempimenti o debiti (ex multis, Cass. 1582/2017, di conferma della sentenza di merito che, pur non negando la rilevanza della sospensione ad incidere sull’accertamento dello stato di insolvenza di una società, poi dichiarata fallita, ha ritenuto non provata l’applicabilità della sospensione ai crediti scaduti di detta società, nonchè la capacità della stessa di far fronte con mezzi normali all’adempimento delle obbligazioni non colpite dalla predetta misura).

9.3. Orbene la Corte d’appello, dopo aver correttamente rilevato che la L. n. 44 del 1999, art. 20 non determina una moratoria generalizzata in favore della parte beneficiaria del provvedimento di tutela ivi previsto – consentendo esclusivamente la proroga, per trecento giorni, delle scadenze relative ad adempimenti amministrativi, pagamento dei ratei di mutuo e ogni altro atto avente efficacia esecutiva, se ricadenti entro l’anno dall’evento lesivo – ha rilevato che nel caso di specie il credito in questione, originato da fatture emesse negli anni 2011 e 2012, era già scaduto (a tutto voler concedere) nel maggio 2015, laddove il provvedimento ex art. 20 cit. era stato emesso dal pubblico ministero il 23/02/2016, a seguito di denuncia per estorsione ed usura presentata dalla ***** nei confronti di una banca in data 16/11/2015.

10. Anche la seconda censura, afferente l’ammissibilità dell’istanza di fallimento in pendenza di un accordo di ristrutturazione omologato e non risolto, è infondata.

10.1. La Corte territoriale, nel ritenere ammissibile detta istanza, ha richiamato il precedente di questa Corte per cui “la presentazione della domanda di omologazione di un accordo di ristrutturazione dei debiti non implica la sospensione della procedura prefallimentare, non potendo a ciò condurre un’interpretazione estensiva della L. Fall., art. 182 bis, comma 6, laddove vieta l’inizio o la prosecuzione delle azioni esecutive e cautelari in presenza dell’istanza di sospensione proposta dal debitore: da un lato, infatti, il procedimento prefallimentare non ha natura esecutiva e cautelare, ma natura cognitiva piena e, dall’altro, la menzionata interpretazione non sarebbe coerente con il sistema, che non consente la sospensione ex art. 295 c.p.c. della procedura prefallimentare a seguito della presentazione di una domanda di concordato preventivo. Nè la disciplina di cui all’art. 182 bis cit., può dirsi, per ciò solo, indeterminata, sicchè è manifestamente infondata l’eccezione di legittimità costituzionale sollevata in relazione agli artt. 27 e 111 Cost.” (Cass.. 24969/2013). Tuttavia la fattispecie concreta, caratterizzata da una situazione inversa (istanza di fallimento successiva all’omologazione dell’accordo di ristrutturazione), richiede ulteriori considerazioni.

10.2. Sono noti i consolidati approdi della giurisprudenza di questa Corte in tema di rapporto tra procedimento prefallimentare e concordato preventivo, declinato non già come pregiudizialità tecnico-giuridica bensì come mero coordinamento, nel senso che, pendente il secondo, “la dichiarazione di fallimento consegue eventualmente all’esito negativo della pronuncia sul concordato, non potendo ammettersi l’autonomo corso del procedimento di dichiarazione del fallimento che si concluda indipendentemente dal verificarsi di uno degli eventi previsti dagli artt. 162,173,179 e 180 L. Fall.” – e cioè, rispettivamente, inammissibilità della domanda, revoca dell’ammissione, mancata approvazione, diniego di omologazione (fatta salva la possibilità di dichiarare il fallimento durante le eventuali fasi di impugnazione di simili esiti negativi) ferma restando, in ogni caso, l’inammissibilità di una domanda di concordato preventivo diretta non a regolare la crisi dell’impresa, ma a procrastinare la dichiarazione di fallimento, come tale integrante “gli estremi dell’abuso del processo” (ex multis, Cass. 30539/2018, 1169/2017, 9050/2016; Cass. Sez. U, 9935/2015 e 1521/2013).

10.3. Meno consolidati paiono gli approdi di questa Corte sul tema, connesso al precedente, dei rapporti tra domanda di fallimento e concordato preventivo omologato, in fase di esecuzione, che pure sembrerebbero da declinare nei medesimi termini di preclusione/coordinamento sopra illustrati (e dunque con procedibilità dell’istanza di fallimento solo dopo la risoluzione del concordato), non solo perchè la domanda di concordato rappresenta concettualmente un minus rispetto al concordato omologato, ma anche in considerazione del vincolo obbligatorio creato dalla L. Fall., art. 184, comma 1, (non a torto descritto come proiezione concorsuale del principio civilistico di cui all’art. 1372 c.c.), dell’effetto esdebitatorio dell’omologazione (cui consegue il ritorno in bonis del debitore), della specialità della disposizione di cui all’art. 186 (ivi compreso il termine di decadenza annuale) rispetto alla L. Fall., art. 6, e (non ultimo) dell’interesse concreto dei creditori alla declaratoria di fallimento nella misura originaria dei crediti, piuttosto che nella misura falcidiata, che finirebbe sostanzialmente per comportare solo un incremento dei costi per l’apertura di un’ulteriore procedura concorsuale (cfr. Cass. 2695/2016 per cui dopo l’omologazione la procedura concordataria deve ritenersi ancora pendente quando “uno dei creditori presenti istanza di risoluzione ai sensi della L. Fall., art. 186”).

10.4. Ebbene, a fronte di un variegato panorama della giurisprudenza di merito sull’argomento, questa Corte ha affermato il principio per cui “nell’ipotesi di impresa già ammessa al concordato preventivo poi omologato, ed in caso di inadempimento dei debiti concorsuali, il creditore insoddisfatto può senz’altro avanzarne istanza di fallimento, ai sensi della L. Fall., art. 6, a prescindere dall’intervenuta risoluzione del detto concordato, essendo ormai venuto meno – dopo la riforma della L. Fall., art. 186 introdotta dal D.Lgs. n. 169 del 2007 – ogni automatismo tra risoluzione del concordato e dichiarazione di fallimento e dovendo l’istante proporre la domanda di risoluzione, anche contestualmente a quella di fallimento, solo quando faccia valere il suo credito originario e non nella misura già falcidiata” (Cass. 17703/2017, 29632/2017); successivamente ha quindi precisato che, “qualora il fallimento sia stato dichiarato quando è ancora possibile instare per la risoluzione L. Fall., ex art. 186 della procedura concordataria, i creditori non sono tenuti a sopportare gli effetti esdebitatori e definitivi del concordato omologato, a norma della L. Fall., art. 184, posto che l’attuazione del piano è resa impossibile per l’intervento di un evento, come il fallimento, che, sovrapponendosi al concordato medesimo, inevitabilmente lo rende irrealizzabile” (Cass. 26002/2018).

10.5. Il riferimento agli orientamenti sopra richiamati si è reso necessario alla luce degli ulteriori approdi della giurisprudenza di questa Corte – argomentati anche con riferimento al diritto Eurounitario – sulla natura concorsuale degli accordi di ristrutturazione dei debiti L. Fall., ex art. 182-bis, in quanto appartenenti al novero degli “istituti del diritto concorsuale” ovvero – più esplicitamente e a differenza dei piani attestati di risanamento L. Fall., ex art. 67,comma 3, lett. d) – delle “procedure concorsuali” (v. Cass. 1182/2018, 1895/2018, 1896/2018, 9087/2018, 12956/2018, 16161/2018, 16347/2018); invero, il consolidarsi dell’orientamento per cui gli accordi di ristrutturazione sono istituto affine al concordato preventivo, nell’ambito delle procedure alternative al fallimento volte alla composizione della crisi d’impresa (cfr. Cass. 16950/2016, 2311/2014), ha reso possibile sia pure entro certi limiti di compatibilità – applicare ad essi, in via estensiva o analogica, i principi generali comuni alle procedure concorsuali (cfr. Cass. 9087/2018 e 12956/2018 cit.).

10.6. Nè va trascurato che nel Codice della crisi e dell’insolvenza di futura applicazione (D.Lgs. 12 gennaio 2019, n. 14 – CCI), accordi di ristrutturazione dei debiti e concordato preventivo – disciplinati nel medesimo Titolo IV tra gli “Strumenti di regolazione della crisi” condividono il “Procedimento unitario per l’accesso alle procedure di regolazione della crisi o dell’insolvenza” (art. 40 e ss.) e sono connotati da una significativa comunanza di presupposti, soggettivi e oggettivi, nonchè condizioni di accesso (cfr. anche l’art. 21, sulla conclusione del procedimento di composizione assistita della crisi, e l’art. 44, comma 4, sulla possibile nomina del commissario giudiziale).

11. Fatte queste doverose premesse sistematiche, la questione in esame va decisa muovendo da due rilievi decisivi, l’uno in diritto, l’altro in fatto: in diritto, quello per cui la legge fallimentare vigente non disciplina – a differenza del concordato preventivo – nè la fase esecutiva nè un procedimento per la risoluzione dell’accordo di ristrutturazione dei debiti omologato L. Fall., ex art. 182 bis; in fatto, quello per cui il creditore istante per la dichiarazione di fallimento è un creditore “estraneo” all’accordo omologato.

12. Va altresì segnalato, sul primo aspetto, che il legislatore ha avvertito l’esigenza di colmare (in parte) la lacuna attraverso l’art. 58, comma 2, CCI – che disciplina l’ipotesi delle modifiche sostanziali del piano resesi necessarie dopo l’omologazione – imponendo l’attestazione della loro idoneità ad assicurare l’esecuzione degli accordi, nonchè la pubblicazione nel registro delle imprese e la possibilità di opposizione dei creditori entro trenta giorni dalla ricezione dell’avviso appositamente inviato a mezzo raccomandata.

13. Orbene, alla luce di tutto quanto sopra considerato, deve ritenersi che nulla osti alla procedibilità di una domanda di fallimento presentata, dopo l’omologazione di un accordo di ristrutturazione dei debiti, da un creditore che ad esso sia rimasto estraneo. Diversamente opinando, si finirebbe infatti per privare quest’ultimo – che a quell’accordo ha legittimamente scelto di non aderire – di una fondamentale forma di tutela del proprio credito, da coordinare con gli interessi degli altri creditori aderenti all’accordo, in funzione della garanzia patrimoniale del debitore ex art. 2740 c.c. e del correlato principio della par conditio creditorum di cui all’art. 2741 c.c.. Inoltre, si consentirebbe una compressione dei suoi diritti tanto più inammissibile in quanto l’istituto degli accordi L. Fall., ex art. 182 bis fa perno proprio sul presupposto della loro idoneità ad assicurare l’integrale pagamento dei creditori estranei (fatte salve la dilazione di cui al comma 1 della norma citata e la possibilità della deroga agli artt. 1372 e 1411 c.c. prevista dalla L. Fall., art. 182-septies, cui fanno eco i più ampi “Accordi di ristrutturazione ad efficacia estesa” introdotti dall’art. 61 CCI), i quali perciò si pongono, rispetto all’accordo, in posizione analoga ai creditori non vincolati dagli effetti obbligatori del concordato omologato L. Fall., ex art. 184.

14. Al rigetto del ricorso segue la condanna alle spese.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.000,00 per compensi, oltre a spese forfettarie nella misura del 15 per cento, esborsi liquidati in Euro 200,00 e accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.

Così deciso in Roma, il 14 febbraio 2019.

Depositato in Cancelleria il 22 maggio 2019

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