LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FEDERICO Guido – Presidente –
Dott. VELLA Paola – rel. Consigliere –
Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –
Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – Consigliere –
Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 13194/2017 proposto da:
***** S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via Nicola Ricciotti n. 9, presso lo studio dell’avvocato Pucillo Annalisa, che la rappresenta e difende giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
Fallimento ***** S.r.l., in persona del Curatore Dott. L.I., elettivamente domiciliato in Roma, Corso del Rinascimento n. 11, presso la Liberai S.r.l., rappresentato e difeso dall’avvocato Orlandini Alessandro, giusta procura a margine del controricorso;
– controricorrente –
contro
C.R.; Pubblico Ministero presso il Tribunale di Lecce;
– intimati –
avverso la sentenza n. 1167/2017 della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE di ROMA, depositata il 18/01/2017;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 14/02/2019 dal cons. Dott. VELLA PAOLA;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DE RENZIS LUISA, che ha concluso per l’inammissibilità o in subordine rigetto del ricorso.
FATTI DI CAUSA
1. Con la sentenza impugnata, questa Corte ha accolto i primi due motivi (con assorbimento dei restanti tre) del ricorso principale proposto dal Fallimento “***** SRL in persona del legale rappr.te C.R.”, avverso la sentenza del 18/07/2013 con cui la Corte di appello di Lecce aveva riformato la decisione del Tribunale di Lecce che, senza esaminare le eccezioni di merito, aveva dichiarato inammissibili, perchè tardive, le opposizioni alla sentenza di fallimento della ***** s.r.l. del 18/04/2005, proposte dall’opponente C.R. e dall’interventore H.M., entrambi quali legali rappresentanti della società fallita, il secondo dei quali (ritenuto dal tribunale una “testa di legno”) succeduto al primo a seguito di cessione delle quote in data 15/12/2003, dopo il deposito dell’istanza di fallimento di un creditore in data 20/11/2003 (non potuta notificare per la chiusura della sede legale e la detenzione in carcere del legale rappresentante) e la successiva richiesta di fallimento del P.M. in data 12/03/2004 (dopo che il G.D. aveva sentito in carcere il C.).
2. Decidendo nel merito ai sensi dell’art. 384 c.p.c., questa Corte ha cassato senza rinvio la sentenza d’appello che aveva invece dichiarato ammissibili dette opposizioni – perciò revocando il fallimento per violazione del contraddittorio nei confronti della società (in persona del legale rappresentante H.) – ed esaminando le ulteriori censure dichiarate assorbite dal giudice di secondo grado ha dichiarato inammissibili le opposizioni alla sentenza di fallimento.
3. La ***** s.r.l., in persona dell’ H., ha proposto ricorso per revocazione ex art. 391-bis c.p.c. e art. 395 c.p.c., n. 4, affidato ad un unico motivo, cui il Fallimento ***** s.r.l. ha resistito con controricorso, mentre gli altri intimati non hanno svolto difese.
4. Con ordinanza interlocutoria n. 18888 del 17/07/2018 la Sezione 6 – 1 di questa Corte ha ritenuto insussistenti gli estremi per la definizione del procedimento ai sensi dell’art. 391-bis c.p.c., comma 4, rinviando la causa dinanzi a questa Sezione per la pubblica udienza del 14 febbraio 2019, in vista della quale parte ricorrente ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
5. Con la sentenza impugnata, questa Corte ha dichiarato inammissibili entrambe le opposizioni proposte avverso la sentenza dichiarativa di fallimento della ***** s.r.l. sulla base delle seguenti considerazioni: i) questione dirimente era la validità della notificazione della sentenza dichiarativa di fallimento, effettuata a mani del C. in carcere il 01/06/2005 e a mezzo posta presso la sede operativa in data 16-21/05/2005, a mani del “delegato dal Direttore”; ii) la Corte d’appello aveva ritenuto il C. legittimato all’opposizione nonostante non fosse più legale rappresentante della società fallita, per il solo fatto di risultare tale nella sentenza di fallimento, in applicazione del principio dell’apparenza (Cass. Sez. U, 3599/2003); iii) essendo invece pacifico che al C. era subentrato l’ H., egli avrebbe potuto proporre opposizione solo in proprio, quale interessato, nel termine di quindici giorni all’affissione della sentenza di fallimento, così come in proprio avrebbe potuto fare l’ H., che invece nella veste di legale rappresentante della società fallita avrebbe potuto fare opposizione entro quindici giorni dalla notificazione della sentenza (Corte Cost. 151/1980); iv) erroneamente la Corte territoriale aveva ritenuto invalida la notifica alla società, in quanto eseguita in persona del C. e non dell’ H. (così trasformando in forma necessaria di notificazione quella eseguita alla persona fisica del legale rappresentante, che all’epoca era invece residuale ed ora, dopo la novella dell’art. 145 c.p.c. ad opera della L. n. 263 del 2005, è alternativa), dovendosi invece ritenere valida la notifica eseguita a mezzo del servizio postale con consegna del piego a persona qualificatasi “delegato dal direttore”, posto che l’art. 145 c.p.c. non prescrive l’indicazione della persona fisica del legale rappresentante dell’ente, nè l’erronea indicazione di quest’ultimo è rilevante qualora non induca incertezza sulla individuazione dell’ente destinatario dell’atto notificato (Cass. 12039/2009); v) di conseguenza, la società – in persona dell’ H. – avrebbe dovuto proporre opposizione entro i quindici giorni successivi al 21/05/2005.
6. Con la medesima sentenza questa Corte ha altresì dichiarato inammissibile il ricorso incidentale condizionato proposto dal C., in quanto parte totalmente vittoriosa in appello (Cass. 4472/2016); tuttavia, con riguardo alle questioni assorbite esaminate direttamente in ragione del tipo di vizio denunciato (art. 360 c.p.c., n. 4), non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto – ha dichiarato infondate le questioni riproposte.
7. In particolare, per quanto rileva in questa sede, la Corte ha osservato che: i) qualora dalla relazione dell’ufficiale giudiziario o postale risulti, nella sede legale o effettiva, la presenza di una persona che si trovava nei locali, è da presumere che tale persona sia addetta alla ricezione degli atti diretti alla persona giuridica, senza che il notificatore debba accertarsi della sua effettiva condizione; ii) grava invece sulla società, per vincere detta presunzione, l’onere di provare la mancanza dei presupposti per la valida effettuazione del procedimento notificatorio (Cass. 3516/2012); iii) tale prova “neppure risulta dedotta in sede di merito”.
8. Il ricorrente contesta specificamente l’affermazione per cui non sarebbe stata nemmeno dedotta, in sede di merito, la prova contraria circa l’invalidità della notifica – per inidoneità della persona rinvenuta presso la sede operativa a ricevere il plico – affermando di aver invece effettuato produzioni documentali, proposto querela di falso e articolato prova per testi per dimostrare che il sig. B. era dipendente di altra società (la COGEST, subentrata da anni alla fallita nel contratto di comodato per la gestione della stazione di distribuzione di carburanti della Q8) e non aveva mai avuto alcun tipo di rapporto con la *****, nè aveva ricevuto alcun incarico o delega dall’ H.. Trattandosi di aspetti evidenziati anche nell’originario controricorso del giudizio di legittimità, resterebbe integrato, a dire del ricorrente, il rapporto di causalità tra tale erronea presupposizione e la pronuncia impugnata, ove la realtà risulta percepita in maniera diversa rispetto alle prove dedotte nel giudizio di merito.
9. La curatela controricorrente eccepisce l’inammissibilità del ricorso per revocazione, assumendo che la ***** (in persona dell’ H.) si era limitata a proporre controricorso, mentre quale parte vittoriosa in appello avrebbe avuto l’onere, per far esaminare alla Corte di Cassazione le questioni ritenute assorbite, di indicare i termini esatti in cui la questione era stata sottoposta al giudice di appello, in modo da permettere alla Corte di verificare se essa potesse ritenersi ancora sub judice. Era stato invece il solo C. a riproporre, con il ricorso incidentale condizionato, le questioni rimaste assorbite, trascrivendo i motivi di appello non esaminati dalla Corte salentina; questi non aveva però articolato alcun mezzo istruttorio per vincere la presunzione di validità della ricezione degli atti dalla persona incaricata, limitandosi a fare riferimento ad una “proponenda futura querela di falso” che aveva “in animo di proporre”. Deduce altresì l’infondatezza del ricorso, per essersi la Corte pronunciata solo sul ricorso incidentale del C., da parte del quale davvero non erano stati nemmeno articolati mezzi di prova atti a vincere la presunzione di validità della notifica; in ogni caso, osserva che la prova testimoniale articolata in appello era tardiva e il teste indicato (sig. B.) era incapace a deporre, mentre la prova documentale era intempestiva (tanto da essere corredata da esplicita richiesta di rimessione in termini). Di qui il difetto di decisività del preteso errore, che comunque dovrebbe essere di immediata e concreta rilevabilità, non potendo consistere, come nel caso di specie, in un inesatto apprezzamento delle risultanze processuali, vertendosi altrimenti nell’ipotesi dell’errore di giudizio.
10. In effetti, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte “l’errore di fatto idoneo a determinare la revocazione delle sentenze (comprese quelle della Corte di cassazione) deve: 1) consistere in una errata percezione del fatto, in una svista di carattere materiale, oggettivamente ed immediatamente rilevabile, tale da avere indotto il giudice a supporre la esistenza di un fatto la cui verità era esclusa in modo incontrovertibile, oppure a considerare inesistente un fatto accertato in modo parimenti indiscutibile; 2) essere decisivo, nel senso che, se non vi fosse stato, la decisione sarebbe stata diversa; 3) non cadere su di un punto controverso sul quale la Corte si sia pronunciata; 4) presentare i caratteri della evidenza e della obiettività, sì da non richiedere, per essere apprezzato, lo sviluppo di argomentazioni induttive e di indagini ermeneutiche; 5) non consistere in un vizio di assunzione del fatto, nè in un errore nella scelta del criterio di valutazione del fatto medesimo. Sicchè detto errore non soltanto deve apparire di assoluta immediatezza e di semplice e concreta rilevabilità, senza che la sua constatazione necessiti di argomentazioni induttive o di indagini ermeneutiche, ma non può tradursi, in un preteso, inesatto apprezzamento delle risultanze processuali, ovvero di norme giuridiche e principi giurisprudenziali: vertendosi, in tal caso, nella ipotesi dell’errore di giudizio, inidoneo a determinare la revocabilità delle sentenze della Cassazione” (ex plurimis, Sez. U, 7217/2009; conf. Cass. 25834/2016, 4456/2015, 22171/2010, 23856/2008, 10637/2007, 3652/2006, 13915/2005).
11. Di conseguenza, ogni censura che ridondi in errore di giudizio o supponga un errore di diritto esula dal perimetro del giudizio revocatorio, trattandosi di vizi “la cui ricorrenza esclude ed è incompatibile con la stessa natura dell’errore c.d. revocatorio, che consiste non già in un preteso inesatto apprezzamento o valutazione di norme di legge, sostanziale o processuale (errore di giudizio), ma in una falsa percezione di ciò che emergeva dagli atti del giudizio: errore che deve avere i caratteri di assoluta immediatezza e di semplice rilevabilità, oltre che di decisività” (ex plurimis, Cass. 17194/2017, 15752/2017, 11202/2017, 26278/2016, 25474/2016, 25654/2013, 836/2012, 16136/2009, 14766/2006, 6198/2005).
12. Peraltro, nella fattispecie in esame risulta dirimente un diverso rilievo. Con la sentenza impugnata, infatti, questa Corte ha accolto i primi due motivi del ricorso per cassazione originariamente proposto dalla curatela del Fallimento ***** s.r.l., il secondo dei quali aveva ad oggetto la violazione dell’art. 345 c.p.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 4)) quanto a tardività della deduzione e della prova dell’eccezione di nullità della notifica, pacificamente effettuate in sede di appello (cfr. pag. 11 e pagg. 16-22 del ricorso, ove sono trascritte anche la richiesta di rimessione in termini ex art. 153 c.p.c., comma 2 e art. 345 c.p.c., comma 3, nonchè il deposito dell’atto di querela di falso civile e le ulteriori istanze istruttorie articolate dall’allora appellante, odierna ricorrente).
13. La mancanza di qualsivoglia censura avverso l’accoglimento del secondo motivo di ricorso priva dunque di decisività l’errore revocatorio denunziato in questa sede, in quanto rivolto solo contro la mancanza (e non anche la tardività) della deduzione di prove sulla invalidità del procedimento notificatorio (prove sulle quali, come si legge a pag. 25 del ricorso, la Corte d’appello non si era pronunciata, ritenendole superflue).
14. All’inammissibilità del ricorso segue la condanna alle spese.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.000,00 per compensi, oltre a spese forfettarie nella misura del 15 per cento, esborsi liquidati in Euro 200,00 ed accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 14 febbraio 2019.
Depositato in Cancelleria il 22 maggio 2019