Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.13853 del 22/05/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23534/2015 proposto da:

R. S.r.l., già R. S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via di Porta Pinciana n. 6, presso lo studio dell’avvocato Sciacca Giovanni Crisostomo, rappresentata e difesa dall’avvocato Sardella Giorgio, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Unicredit S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via Alberico II n. 33, presso lo studio dell’avvocato Ludini Elio, rappresentata e difesa dall’avvocato Brunetti Michele, giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 346/2015 della CORTE D’APPELLO di ANCONA, depositata il 03/03/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 27/03/2019 dal cons. Dott. FIDANZIA ANDREA.

FATTI DI CAUSA

Il Tribunale di Ancona – sezione distaccata di lesi – con sentenza depositata in data 25 ottobre 2012 – nelle cause riunite di opposizione a decreto ingiuntivo proposte dalla R. s.r.l. (già R. s.p.a.) e dai suoi garanti R.G., R.A. e R.S. nei confronti di Unicredit Banca di Roma s.p.a., aventi ad oggetto il pagamento del saldo di due conti correnti, da un lato, e l’azione svolta in via riconvenzionale dalla società opponente di restituzione delle somme indebitamente versate all’istituto di credito in conseguenza dell’applicazione di clausole illegittime, (interessi al tasso “uso piazza”, capitalizzazione trimestrale degli interessi debitori, applicazione di commissioni, remunerazioni, spese non documentate o pattuite), dall’altro – previa revoca del decreto ingiuntivo opposto, ha condannato in solido gli opponenti al pagamento della somma di Euro 83.504,28 oltre interessi, relativamente al conto corrente n. *****, e, in accoglimento della domanda riconvenzionale, ha condannato Unicredit Banca di Roma s.p.a. (in seguito divenuta Unicredit s.p.a.) al pagamento in favore della società opponente della somma di Euro 304.355,26 oltre interessi.

La Corte d’Appello di Ancona, con sentenza depositata il 3 marzo 2015, ha rigettato sia l’appello principale proposto dalla R. s.r.l., con il quale veniva richiesta la condanna della Banca al pagamento della somma di Euro 945.263,36, sia l’appello incidentale svolto dall’istituto di credito, con cui si chiedeva la riforma della decisione di primo grado riguardante la domanda riconvenzionale.

In particolare, il giudice di secondo grado, ha confutato la prospettazione dell’appellante principale secondo cui, nella ricostruzione contabile del rapporto dare-avere, si sarebbe dovuto considerare un saldo contabile di partenza pari a “0” con riferimento al periodo non coperto dagli estratti conto, e non partire, come effettivamente avvenuto, dal saldo negativo del primo estratto conto prodotto.

La Corte di merito ha, altresì, disatteso l’impostazione giuridica della R. s.r.l., secondo cui la regola generale di ripartizione dell’onere della prova, di cui all’art. 2697 c.c., dovesse essere contemperata con il c.d. criterio della vicinanza della prova, non trovando, nel caso di specie, applicazione tale principio, sul rilievo che il correntista avrebbe potuto ottenere la documentazione necessaria semplicemente conservando quella inviatagli a suo tempo dalla Banca, ovvero richiederla all’epoca.

Avverso la sentenza della Corte d’Appello ha proposto ricorso per cassazione la R. s.r.l. La Unicredit s.p.a. si è costituita in giudizio con controricorso. I signori R.G., R.S. e R.R. (coeredi pro indiviso del garante R.G.) e 3 R.L. (figlio ed erede di R.A., già coerede di R.G.) non hanno svolto difese.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con un unico articolato motivo la R. s.r.l. ha dedotto la violazione e falsa applicazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. in relazione all’art. 2697 c.c., comma 1.

Lamenta la ricorrente che il giudice d’appello, nel ritenere che la stessa avrebbe dovuto fornire la prova della illegittima applicazione di somme a vario titolo non dovute anche in ordine al periodo iniziale (dal 15-10.1.1981 al 31.12.1992-1.1.1993), non coperto dagli estratti del conto corrente, ha addossato alla medesima le conseguenze del mancato assolvimento dell’onere probatorio da parte della Banca. Quest’ultima è stata, in tal modo, esonerata dall’onere di fornire la prova in relazione alla propria domanda primaria e principale di accertamento del proprio presunto credito, proposta quale attrice sostanziale del giudizio di primo grado di opposizione a decreto ingiuntivo.

Con tale ragionamento, alla Banca è stato erroneamente riconosciuto un credito non provato di Lire 637.623.376 – pari a Euro 329.304,99 portato dal saldo contabile inziale-dare del primo estratto conto al 31.12.1992 (indicato reiteratamente nel ricorso in 31.12.2002, evidente errore materiale) – 1.1.1993.

La ricorrente ribadisce la tesi già prospettata nei precedenti gradi del giudizio che, nella ricostruzione del rapporto dare-avere, avrebbe dovuto considerarsi un saldo contabile di partenza pari a “0”.

Evidenzia che, contrariamente a quanto affermato dal giudice d’appello, la Banca non ha mai inviato gli estratti conto alla società ricorrente, nè ha fornito, conseguentemente, prova di tale invio, ed è per questo motivo che era stata formulata istanza di esibizione degli estratti conto già con l’atto di citazione in opposizione.

Tale istanza, peraltro, non era stata formulata in precedenza, non avendo la R. s.r.l. agito in prevenzione, essendosi trovata a dover contrastare la pretesa avversaria in quanto destinataria di un’ingiunzione di pagamento.

2. Il motivo non è fondato.

Va preliminarmente osservato che erra la società ricorrente nell’affermare che la Corte d’Appello, nel considerare nella ricostruzione del rapporto dare-avere tra le parti il saldo negativo del conto corrente n. ***** alla data del 31.12.1992/1.1.1993, avrebbe esonerato l’istituto di credito dall’onere di fornire la prova del proprio credito in ordine alla domanda primaria e principale di accertamento del medesimo credito, proposta quale attrice sostanziale del giudizio di primo grado di opposizione a decreto ingiuntivo.

In realtà, la Corte d’Appello, nell’esaminare le domande incrociate svolte dalle parti, ha tenuto pienamente conto della circostanza che non erano stati prodotti gli estratti conto nel periodo dall’ottobre 1981 al dicembre 1992, operando, per ciascuna domanda, una diversa valutazione nella determinazione del saldo contabile di partenza.

In particolare, quanto alla domanda svolta dall’istituto di credito di pagamento del saldo del conto corrente, la Corte d’Appello ha espressamente affermato (pag. 22 sentenza impugnata) di condividere l’impostazione giuridica del giudice di primo grado di azzerare il saldo contabile del primo estratto conto materialmente disponibile, essendo la banca onerata a provare come si fosse formato il proprio credito nei confronti della correntista, e ciò in conformità all’orientamento già espresso da questa Corte (di partire, appunto con il saldo “0”) con la sentenza n. 23974/2010.

Diverso ragionamento ha svolto la Corte d’Appello nell’esaminare la domanda di ripetizione dell’indebito svolta dalla società ricorrente nei confronti della Banca, stabilendo correttamente che l’onere della prova incombesse, questa volta, sul cliente.

Il giudice di secondo grado ha quindi fatto buon uso del principio consolidato in questa Corte secondo cui, nell’azione di ripetizione dell’indebito, è il correntista onerato di provare i fatti costitutivi del proprio diritto, ovvero l’avvenuto pagamento e l’inesistenza di una causa che lo giustifichi (S.U. n. 24418 del 2 dicembre 2010; recentemente, sez. 1 n. 27704 del 10.7.2018).

Peraltro, se è pur vero che, nel caso di specie, sia verosimile che il saldo negativo del primo estratto conto disponibile potesse essersi formato con l’addebito di poste passive non dovute (ad esempio, per l’applicazione di clausole nulle o per spese o commissioni o spese non pattuite, etc), tuttavia, secondo il costante orientamento di questa Corte, la rideterminazione del saldo non può avvenire utilizzando criteri presuntivi od approssimativi (vedi Sez. 1, n. 20693 del 13/10/2016; sez 1, n. 10/09/2013 n. 20688).

Non vi è dubbio che la società ricorrente, nell’invocare la ricostruzione del rapporto dare-avere – non “coperto” dalla produzione degli estratti conto per il ragguardevole periodo dall’ottobre 1981 al dicembre 1992 – partendo da un saldo contabile iniziale pari a “0”, richieda sostanzialmente, per quel periodo, l’applicazione di un criterio presuntivo o approssimativo di determinazione del proprio credito, che viene a fondarsi, esclusivamente, su un’inammissibile inversione dell’onere della prova.

Non può, infatti, la ricorrente invocare il c.d. principio di vicinanza della prova per sottrarsi all’onere di provare il proprio credito nel periodo in cui non sono disponibili gli estratti del conto corrente.

Proprio in materia bancaria, questa Corte ha già affermato che “il principio di prossimità o vicinanza della prova, in quanto eccezionale deroga al canonico regime della sua ripartizione, secondo il principio ancor oggi vigente che impone (incumbit) un onus probandi cui qui dicit non cui qui negat, deve trovare una pregnante legittimazione che non può semplicisticamente esaurirsi nella diversità di forza economica dei contendenti ma esige l’impossibilità della sua acquisizione simmetrica” (sez 6-1, n. 6511/2016). Nella suddetta pronuncia, tale principio è stato affermato in una fattispecie, analoga a quella di specie, caratterizzata (oltre che dalla omessa produzione del contratto di conto corrente bancario) dalla mancata acquisizione di alcuni estratti conto utili alla ricostruzione dell’andamento del rapporto.

Alla luce di quanto sopra illustrato, deve invece ritenersi corretto il criterio, utilizzato dalla Corte d’Appello, di considerare quale saldo iniziale, nella ricostruzione del rapporto di dare-avere, quello negativo del primo estratto conto corrente disponibile (negli stessi termini vedi, in motivazione, sez. 1, n. 30822 del 13/09/2018).

Tale criterio, che si fonda sull’applicazione rigorosa del principio di ripartizione dell’onere della prova, di cui all’art. 2697 c.c., se, da un lato, non consente – limitatamente al periodo non coperto dagli estratti conto – al correntista di depurare dalla somma richiesta dalla banca tutte le voci che ritiene a vario titolo non dovute, ma il cui importo non è in grado di ricostruire sulla base di dati contabili certi, dall’altro, tuttavia, avvantaggia indubitabilmente lo stesso cliente, non precludendo la possibilità di un’indagine (magari a mezzo di CTU contabile) concernente il periodo successivo (rispetto al quale sono disponibili tutti gli estratti del conto corrente fino alla chiusura del rapporto).

E’ quello che è avvenuto nel caso di specie, nel quale, a seguito di una consulenza tecnica d’ufficio, è stato comunque riconosciuto alla società ricorrente un credito di importo ragguardevole.

Va, infine, osservato che la censura della ricorrente, secondo cui non avrebbe mai ricevuto gli estratti del conto corrente si appalesa, oltre che di merito, in quanto finalizzata a sollecitare una diversa ricostruzione del fatto, anche nuova e, come tale, inammissibile.

A prescindere dal rilievo che la ricorrente, in questa sede, si è limitata a dedurre la violazione o falsa applicazione di legge, in relazione all’art. 2697 c.c., e non la violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti (quale avrebbe potuto eventualmente essere il mancato invio alla società opponente degli estratti del conto corrente), in ogni caso, la ricorrente non ha neppure dedotto in quali termini avesse sottoposto tale questione all’attenzione del giudice d’appello.

In proposito, è principio consolidato di questa Corte che i motivi del ricorso per cassazione devono investire, a pena di inammissibilità, questioni che siano già comprese nel thema decidendum del precedente grado del giudizio, non essendo prospettabili per la prima volta in sede di legittimità questioni nuove o nuovi temi di contestazione non trattati nella fase di merito, tranne che non si tratti di questioni rilevabili d’ufficio (Cass., 17/01/2018, n. 907; Cass., 09/07/2013, n. 17041). Ne consegue che, ove nel ricorso per cassazione siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, è onere della parte ricorrente, al fine di evitarne una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegare l’avvenuta loro deduzione innanzi al giudice di merito, ma anche, in ossequio al principio di specificità del motivo, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, il luogo ed il modo di deduzione, onde consentire alla S.C. di controllare “ex actis” la veridicità di tale asserzione prima di esaminare il merito della suddetta questione (Cass., 13/06/2018, n. 15430).

Orbene, nel caso di specie, la ricorrente, come già accennato, non ha adempiuto a tale onere di allegazione, avendo genericamente affermato di aver già dedotto sia in primo che in secondo grado che gli estratti conto della banca non le erano stati inviati, senza, tuttavia, precisare in quale atto del giudizio precedente, in quale punto dello stesso e con quali modalità avesse già prospettato tale questione.

Il rigetto del ricorso comporta la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali, che si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Condanna la società ricorrente al pagamento delle spese processuali, che liquida in Euro 5.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 27 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 22 maggio 2019

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