Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Ordinanza n.13856 del 22/05/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Antonio – Presidente –

Dott. D’ANTONIO Enrica – Consigliere –

Dott. FERNANDES Giulio – Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 11100/2014 proposto da:

S.R., S.G., D.C.L., domiciliati ope legis presso la Cancelleria della Corte di Cassazione, rappresentati e difesi dagli Avvocati GABRIELLA DE STROBEL, LORENZO PICOTTI;

– ricorrenti –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, C.F.

*****, in persona del legale rappresentante pro tempore, in proprio e quale mandatario della S.C.C.I. S.P.A. – Società di Cartolarizzazione dei Crediti I.N.P.S. C.F. ***** elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto rappresentato e difeso dagli avvocati ANTONINO SGROI, CARLA D’ALOISIO, LELIO MARITATO, ESTER ADA SCIPLINO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 457/2013 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 22/10/2013 R.G.N. 236/2012.

RILEVATO

che:

1. la Corte d’appello di Venezia, con sentenza del 22 ottobre 2013, decidendo sugli appelli, principali ed incidentali riuniti e proposti avverso distinte pronunzie, di primo grado, sulle opposizioni, svolte dagli attuali ricorrenti avverso plurime cartelle esattoriali, per quanto in questa sede rileva ha accertato la legittimità dell’iscrizione, alla gestione commercianti, di S.R., S.G. e D.C.L., rispettivamente socio amministratore ( D.C.) e soci della s.r.l. *****, fallita in data 13 gennaio 2011, con condanna al pagamento delle somme, per contributi e sanzioni civili, portate dalle numerose cartelle esattoriali opposte;

2. riteneva la Corte territoriale che i soci della s.r.l. ***** fossero obbligati a versare i contributi in considerazione della natura commerciale, e non industriale, dell’attività svolta, come tale comportante l’obbligo d’iscrizione alla gestione commercianti, incontestata l’abitualità e prevalenza del lavoro nell’impresa dei tre soci e la prestazione di attività anche operativa stante, peraltro, la mancanza di dipendenti e la struttura di carattere familiare dell’impresa, in considerazione altresì del vincolo parentale tra i soci;

3. avverso tale sentenza ricorrono S.R., S.G. e D.C.L., con ricorso affidato a cinque motivi, ulteriormente illustrato con memoria, avverso il quale l’INPS, anche quale procuratore speciale della S.C.C.I. s.p.a., ha resistito con controricorso.

CONSIDERATO

che:

4. con il primo motivo, deducendo violazione del D.Lgs. n. 46 del 1999, art. 24, comma 3 e art. 25, comma 1, lett. b) e della L. n. 448 del 1998, art. 13, i ricorrenti censurano la sentenza impugnata per avere la corte esaminato la pretesa contributiva nonostante si trattasse di opposizione a cartella successiva all’instaurazione del giudizio di accertamento negativo del credito;

5. il motivo è da rigettare;

6. costituisce principio consolidato che la non iscrivibilità a ruolo del credito previdenziale – la quale, ai sensi del D.Lgs. 26 febbraio 1999, art. 24, comma 3, permane, qualora l’accertamento su cui la pretesa creditoria si fonda sia impugnato davanti all’autorità giudiziaria, sino a quando non vi sia il provvedimento esecutivo del giudice – non esonera il giudice dell’opposizione avverso la cartella esattoriale dall’esaminare il merito della pretesa creditoria (cfr., fra le altre, Cass., Sez. U., n. 10027 del 2012 e successive conformi);

7. la declaratoria di inammissibilità dell’iscrizione a ruolo non preclude l’esame del merito della pretesa contributiva e a fronte della proposizione di domanda di accertamento della sussistenza del credito ne può essere dichiarata la fondatezza;

8. ricorrono, infatti, gli stessi principi che governano il procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo, per il quale si è ritenuto (tra le tante Cass. n. 14875 del 2017) che l’opposizione al decreto ingiuntivo dà luogo ad un ordinario, autonomo giudizio di cognizione, che sovrapponendosi allo speciale e sommario procedimento monitorio (artt. 633,644 c.p.c. e segg.) si svolge nel contraddittorio delle parti secondo le norme del procedimento ordinario (art. 645 c.p.c.) (in tal senso, v. Cass. n. 12333 del 2015);

9. pertanto, in tema di riscossione dei contributi e premi assicurativi, il giudice dell’opposizione alla cartella esattoriale che ritenga illegittima l’iscrizione a ruolo non può limitarsi a dichiarare tale illegittimità, ma deve esaminare nel merito la fondatezza della domanda di pagamento dell’istituto previdenziale, con la conseguenza che gli eventuali vizi formali della cartella esattoriale opposta comportano soltanto l’impossibilità, per l’Istituto, di avvalersi del titolo esecutivo, ma non lo fanno decadere dal diritto di chiedere l’accertamento in sede giudiziaria dell’esistenza e dell’ammontare del proprio credito (cfr., Cass. n. 12333 del 2015 ed i precedenti ivi richiamati);

10. i successivi tre motivi attengono, per diversi profili, all’inquadramento della società, e con essi si deduce: motivazione insufficiente e contraddittoria su un fatto decisivo, assumendo come pacifica la circostanza che le materie prime, acquistate dalla società, venivano cedute in conto lavorazione a terzi, in Romania, alla stregua di quanto dedotto e non contestato dall’INPS e, del pari, come pacifico, e incontestato, lo svolgimento del processo produttivo attraverso lo schema del conto lavorazione; violazione della L. n. 192 del 1998, art. 1, sulla natura dell’attività esercitata; omesso esame di un fatto decisivo, quale la sussistenza della delocalizzazione produttiva;

11. i motivi, esaminati congiuntamente per la loro connessione, sono infondati;

12. elemento qualificante, ai fini dell’accertamento del carattere industriale dell’impresa, è la creazione di un risultato economico nuovo, che può riscontrarsi anche nell’ipotesi di semplice trattamento della materia prima, operato nell’esercizio di un’attività economica organizzata, senza che sia necessario che la materia prima stessa subisca modificazioni nelle sue proprietà intrinseche, quando risulti prevalente sotto il duplice profilo economico e funzionale il momento della trasformazione della materia prima e della produzione di servizi, preordinati alla commercializzazione di un bene direttamente utilizzabile per il consumo con caratteristiche diverse da quelle del bene originario (cfr., fra le tante, Cass. n. 2932 del 2016, Cass. n. 13121 del 2014, Cass. n. 6383 del 2011);

13. alla stregua del consolidato insegnamento di questa Corte, ciò che rileva, ai fini dell’inquadramento, a fini previdenziali, dell’attività svolta dalla società della quale si controverte, sorta dopo l’entrata in vigore della L. n. 88 del 1989, non è l’organizzazione, rilevante, invece, nel profilo civilistico, ma la realizzazione di un quid novi utile a differenziare la collocazione dell’attività nell’ambito del settore terziario, preteso dall’INPS, ovvero nel settore industria, come preteso dagli attuali ricorrenti;

14. la Corte territoriale ha così dipanato l’iter argomentativo: non ricorreva un’ipotesi di delocalizzazione, con trasferimento di impianti o strutture industriali in luogo diverso da quello di origine perchè la società non aveva mai avuto impianti o strutture industriali in Italia, non aveva mai occupato dipendenti, non partecipava in alcun modo alla produzione all’estero, tranne che per la supervisione e il controllo esercitati dai soci S. e per essere risultato indimostrato che le materie prime fossero acquistate dalla società e messe a disposizione della società rumena in conto lavorazione, sulla scorta del tenore della dichiarazione, in sede ispettiva, di S.G., nel senso delle materie prime acquistate dalla società rumena e del prodotto finito venduto da quest’ultima ad *****; non aveva mai avuto attrezzature di produzione, se non in parte minima e rilevante rispetto al volume di affari, e non partecipava alla produzione all’estero, nè le società estere erano partecipate o controllate da ***** così che l’attività d’impresa si riduceva all’attività di intermediazione nella circolazione di beni e prodotti di altre imprese rispetto alle quali non sussisteva alcun collegamento d’impresa e a partecipazione giuridica, diretta o indiretta; infine, l’ideazione di modelli (neanche evidenziata nel corso dell’ispezione) e degli stampi, da parte della società, non era decisiva, agli effetti della pretesa natura industriale, a fronte dei descritti e molteplici elementi di segno contrario;

15. la valutazione di merito compiuta nei sensi indicati dalla Corte territoriale non risulta scalfita dalle argomentazioni prospettate in ricorso, che mirano ad una rivisitazione del merito, dovendo osservarsi che, in tema di qualificazione dell’attività imprenditoriale, la valutazione dei presupposti fattuali, ai fini del relativo accertamento, dà luogo ad un giudizio di fatto riservato al giudice di merito, insindacabile, in sede di legittimità, se sorretto da adeguata motivazione;

16. la sindacabilità è, dunque, preclusa, se non sotto il profilo della congruità della motivazione e del relativo apprezzamento, che, nel caso esaminato, appaiono lineari e privi di salti logici dovendo darsi atto che la Corte territoriale si è preoccupata di svolgere il concreto giudizio sulla effettiva presenza dei presupposti essenziali dell’impresa come sopra indicati e, con motivazione adeguata e non censurabile in questa sede di legittimità, ha accertato che nella specie l’attività svolta rientrava nel settore terziario e non nel settore industria;

17. le censure formulate dai ricorrenti, sostanzialmente riproduttive degli stessi elementi già valutati dalla Corte territoriale, e prive del carattere di decisività, tendono a richiedere, inammissibilmente, in sede di legittimità una mera rivalutazione del medesimo materiale probatorio;

18. la doglianza svolta con il quinto mezzo d’impugnazione, in termini di violazione di legge in riferimento alla pretesa partecipazione al lavoro aziendale della D.C. e all’onere, non assolto dall’INPS, di provare lo svolgimento di un’attività abituale prevalente all’interno dell’azienda, è inammissibile perchè non si confronta con il decisum della sentenza impugnata, pervenuto alla sussunzione del fatto nella fattispecie legale muovendo dalla premessa, fattuale, della sottoscrizione, da parte della predetta socia, della denuncia, inoltrata all’INAIL, in ordine al personale in forza alla società (i tre soci, per l’appunto) e da tanto desumendo il riscontro dell’abitualità e prevalenza anche in riferimento all’attività operativa, e non solo gestoria della D.C., con proposizione non fatta segno di alcuna censura ma solo additata come elemento privo della valenza attribuita dalla Corte;

19. anche la domanda ex art. 96 c.p.c., richiesta dai ricorrenti sulla scorta delle plurime cartelle (circa quaranta) del medesimo valore, notificate dall’INPS, assumendo un abuso della potestas agendi in riferimento ai crediti INPS cartolarizzati, è inammissibile;

20. la condanna disciplinata dell’art. 96 c.p.c., comma 3, introdotto dalla L. n. 49 del 2009, art. 45, comma 12, ha natura, come chiarito dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 152 del 2016, non tanto risarcitoria del danno cagionato alla controparte dalla proposizione di una lite temeraria, quanto più propriamente sanzionatoria delle condotte di quanti, abusando del diritto di azione e di difesa, si servano dello strumento processuale a fini dilatori, aggravando il volume del contenzioso;

21. è tuttavia assorbente il rilievo che la condanna ai sensi del predetto comma può essere pronunciata dal giudice “quando pronuncia sulle spese ex art. 91 c.p.c.” ovvero quando regola le stesse secondo il principio della soccombenza, sanzionando, per l’appunto, la parte soccombente nel giudizio, quale non è, nel giudizio all’esame, l’ente previdenziale;

22. il ricorso va rigettato;

23. le spese di lite, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza;

24. ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, sussistono i presupposti per il versamento, a carico delle parti ricorrenti, dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso ex art. 13, comma 1-bis.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali, liquidate in Euro 200,00 per esborsi, Euro 5.000,00 per compensi professionali, oltre quindici per cento spese generali e altri accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, sussistono i presupposti per il versamento, a carico delle parti ricorrenti, dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso ex art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 20 febbraio 2019.

Depositato in Cancelleria il 22 maggio 2019

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