Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.13891 del 22/05/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. SCOTTI Giuseppe U.L.C. – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 14247/2018 proposto da:

L.A., rappresentato e difeso dall’avvocato MARCELLO CANTONI e domiciliato presso la cancelleria della Corte di Cassazione;

– ricorrente –

contro

PREFETTURA DI RAVENNA;

– intimato –

avverso l’ordinanza del GIUDICE DI PACE di RAVENNA, depositata il 05/03/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 08/04/2019 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVA.

FATTI DI CAUSA

In data 12.12.2017 il ricorrente riceveva la notificazione del provvedimento di rigetto, per manifesta infondatezza, della domanda di protezione internazionale da lui presentata. Contestualmente riceveva la notificazione di un decreto di espulsione emesso dalla Questura di Ravenna, con concessione di termine per la partenza volontaria e divieto di reingresso in Italia per un periodo di tre anni.

Il L. interponeva opposizione avverso detto provvedimento che il Giudice di Pace di Ravenna, con il provvedimento oggi impugnato, rigettava sul presupposto che l’espulsione costituirebbe un “atto dovuto e consequenziale al rigetto della domanda di protezione per manifesta infondatezza” e che alla fattispecie non potesse applicarsi la disposizione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 4, “in quanto tale ipotesi si applica quando il rigetto della domanda è congiunto al verificarsi delle ipotesi previste dagli artt. 23 e 29 del medesimo decreto”.

Propone ricorso per la cassazione di detta decisione il ricorrente, affidandosi ad un unico motivo.

Il ricorrente ha depositato memoria.

Il P.G., nella persona del Sostituto Dott. Ignazio Patrone, ha concluso per il rigetto del ricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con l’unico motivo il ricorrente lamenta la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, perchè il Giudice di Pace avrebbe erroneamente ritenuto applicabile la disposizione anzidetta soltanto a condizione che sussistessero, congiuntamente, tutte le ipotesi previste dalla stessa, ed in particolare quelle di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 23 e 29.

Il motivo è fondato.

Ed invero il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32 comma 4, prevede che “La decisione di cui al comma 1, lettere b) e b-bis), ed il verificarsi delle ipotesi previste dagli artt. 23 e 29 comportano, alla scadenza del termine per l’impugnazione l’obbligo per il richiedente di lasciare il territorio nazionale, salvo che gli sia stato rilasciato un permesso di soggiorno ad altro titolo”.

La decisione di cui all’art. 32, comma 1, lett. b), è quella con la quale la Commissione territoriale “rigetta la domanda qualora non sussistano i presupposti per il riconoscimento della protezione internazionale fissati dal D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, o ricorra una delle cause di cessazione o esclusione dalla protezione internazionale previste dal medesimo decreto legislativo, ovvero il richiedente provenga da un Paese di origine sicuro e non abbia addotto i gravi motivi di cui al comma 2”.

La decisione di cui all’art. 32, comma 1, lett. b bis), è invece quella con cui il predetto organo “rigetta la domanda per manifesta infondatezza quando risulta la palese insussistenza dei presupposti previsti dal D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ovvero quando risulta che la domanda è stata presentata al solo scopo di ritardare o impedire l’esecuzione di un provvedimento di espulsione o respingimento”.

L’art. 23 disciplina invece il caso in cui il richiedente la protezione internazionale “decida di ritirare la domanda prima dell’audizione presso la competente Commissione territoriale”.

L’art. 29 infine regola le ipotesi di inammissibilità della domanda, che sussistono quando: “a) il richiedente è stato riconosciuto rifugiato da uno Stato firmatario della Convenzione di Ginevra e possa ancora avvalersi di tale protezione; b) il richiedente ha reiterato identica domanda dopo che sia stata presa una decisione da parte della Commissione stessa senza addurre nuovi elementi in merito alle sue condizioni personali o alla situazione del suo Paese di origine”.

Le cinque ipotesi disciplinate dalle disposizioni appena richiamate sono tra loro evidentemente differenti e si sostanziano:

1. nel rigetto della domanda (art. 32 comma 1, lett. b);

2. nella dichiarazione di manifesta infondatezza della domanda (art. 32, comma 1, lett. b bis);

3. nel ritiro della domanda prima dell’audizione del ricorrente dinanzi la Commissione territoriale (art. 23);

4. nella dichiarazione di inammissibilità della domanda per esistenza di preesistente protezione internazionale (art. 29, lett. a);

5. nella dichiarazione di inammissibilità della domanda reiterata in assenza di nuove allegazioni, oggettive o soggettive, da parte del ricorrente (art. 29, lett. b).

Trattasi di ipotesi che non possono evidentemente coesistere, attesa la totale diversità delle diverse fattispecie e dei rispettivi presupposti di fatto; esse, pertanto, sono da considerare tra loro alternative.

Ne consegue che il Giudice di Pace di Ravenna ha errato nel ritenere che esse potessero – anzi, dovessero – sussistere contemporaneamente. Non sarebbe infatti possibile ipotizzare la coesistenza di un ritiro della domanda (art. 23) con una sua dichiarazione di inammissibilità (art. 29, lett. a e b) ovvero di manifesta infondatezza (art. 32, comma 1, lett. b bis) o ancora con una pronuncia di rigetto (art. 32, comma 1, lett. b).

In assenza di precedenti specifici di questa Corte, va affermato il seguente principio di diritto: “Il verificarsi di una delle ipotesi, tra loro alternative, previste dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 4, comporta, per espressa previsione normativa contenuta nella predetta disposizione, l’obbligo del richiedente la protezione internazionale di lasciare il territorio nazionale soltanto dopo il decorso del termine previsto per l’impugnazione delle pronunce di rigetto, di manifesta infondatezza e di inammissibilità rispettivamente disciplinate dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 1, lett. b) e b bis), e art. 29. E’ di conseguenza vietata l’espulsione, anche in assenza di provvedimento di sospensione dell’efficacia di tali pronunce, sino alla scadenza del termine di cui anzidetto”.

In definitiva, la decisione impugnata va cassata senza rinvio. Sussistendo i presupposti previsti dall’art. 384 c.p.c., comma 2, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, la causa va decisa ne merito con annullamento del decreto di espulsione impugnato dal ricorrente.

Le spese, tanto del presente giudizio che di quello di merito, seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

la Corte accoglie il ricorso, cassa la decisione impugnata senza rinvio e, decidendo la causa nel merito ai sensi di quanto previsto dall’art. 384 c.p.c., comma 2, annulla il decreto di espulsione emesso dal Prefetto della Provincia di Ravenna nei confronti di L.A. in data 12.2.2017.

Condanna il Prefetto della Provincia di Ravenna al pagamento in favore del ricorrente delle spese del giudizio di merito, che liquida in Euro 2.500 per compensi ed Euro 200 per esborsi, e del presente giudizio, che liquida in Euro 3.000 per compensi ed Euro 200 per esborsi, oltre rimborso delle spese generali nella misura del 15%, iva e cassa avvocati come per legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Prima Civile, il 8 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 22 maggio 2019

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