Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.13902 del 22/05/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – rel. Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26686-2017 proposto da:

O.N.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CELIMONTANA 38, presso lo studio dell’avvocato PANARITI PAOLO, rappresentata e difesa dall’avvocato MORANA GIOVANNI A.M.;

– ricorrente –

contro

T.A., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato ACTIS GIANLUCA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3542/2017 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 08/08/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non ptirtec1pa t a del 02/04/2019 dal Consigliere Relatore Dott. NAZZICONE LOREDANA.

RILEVATO IN FATTO

– che è stato proposto ricorso, sulla base di tre motivi, avverso la sentenza della Corte d’appello di Napoli n. 3542 dell’8 agosto 2017 la quale, in parziale riforma della decisione di primo grado che ha pronunziato la separazione dei coniugi, ha dichiarato non dovuto l’assegno di mantenimento in favore dell’odierna ricorrente;

– che si difende con controricorso l’intimato.

RITENUTO IN DIRITTO

– che i motivi di ricorso possono essere così riassunti:

1) nullità della sentenza per violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. e art. 132 c.p.c., n. 4, poichè la Corte non ha valutato – o lo ha fatto erroneamente -il materiale probatorio offerto dall’odierna ricorrente, ha affermato che la ricorrente non aveva contestato tutte le deduzioni avverse e, ancora, ha motivato il proprio convincimento circa la non ammissibilità delle richieste probatorie formulate mediante una motivazione solo apparente:;

2) violazione dell’art. 156 c.c., per non avere la corte di merito, nel valutare il diritto della ricorrente all’assegno di mantenimento, tenuto in adeguata considerazione parametri quali l’effettiva capacità reddituale della stessa (piuttosto che la mera attitudine al lavoro), la durata affatto breve del matrimonio nonchè la grande disparità di reddito vantato dalle parti;

3) omesso esame di fatti decisivi, non avendo il giudice di secondo grado esaminato tutte le contestazioni sollevate dall’odierna ricorrente nel corso del giudizio e, ancora, per non aver tenuto conto delle istanze probatorie da questa avanzate;

– che i tre motivi sono inammissibili, riproponendo un non consentito giudizio di fatto;

– che, infatti, sono intesi tutti a far valere la non rispondenza della ricostruzione dei fatti operata dal giudice di merito al diverso convincimento soggettivo della parte e, in particolare, a “proporre un preteso migliore e più appagante coordinamento dei molteplici dati acquisiti, ma tali aspetti del giudizio, interni all’ambito della discrezionale valutazione degli elementi di prova e dell’apprezzamento dei fatti, attengono al libero convincimento del giudice” (Cass. 18039/2012);

– che, più di preciso, come chiarito in numerose occasioni da questa Corte, “in tema di prova, spetta in via esclusiva al giudice di merito il compito di individuare le fonti del proprio convincimento (…), nonchè la Jà colta di escludere anche attraverso un giudizio implicito la rilevanza di una prova, dovendosi ritenere, a tal proposito, che egli non sia tenuto ad esplicitare, per ogni meuo istruttorio, le ragioni per cui lo ritenga irrilevante ovvero ad enunciare specificamente che la controversia può essere decisa senza necessità di ulteriori acquisizioni” (Cass. 13485/2017);

– che, nel caso di specie, il giudice d’appello ha, invece, espressamente qualificato come inammissibili o irrilevanti – nonchè comunque irritualmente avanzate – le richieste probatorie formulate dall’odierna ricorrente, fornendo motivazione puntuale e conforme a questa giurisprudenza per cui, tra l’altro, “in tema di determinazione dell’assegno di mantenimento in sede di scioglimento degli elle- di civili del matrimonio, l’esercizio del potere del giudice che, ai sensi della L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 9, può disporre – d’ufficio o su istanza di parte – indagini patrimoniali avvalendosi della polizia tributaria, costituisce una deroga alle regole generali sull’onere della prova; l’esercizio di tale potere discrezionale non può sopperire alla carenza probatoria della parte onerata, ma vale ad assumere, attraverso uno strumento a questa non consentito, in formazioni integrative del “bagaglio istruttorio” giù fornito, incompleto o non completabile attraverso gli ordinari mezzi di prova; tale potere non può essere attivato a fini meramente esplorativi, sicchè la relativa istanza e la contestazione di parte dei fatti incidenti sulla posizione reddituale del coniuge tenuto al predetto mantenimento devono basarsi su fatti specifici e circostanziati” (Cass. 23263/2016);

– che, invero, la corte del merito contiene un richiamo alla mancata contestazione della situazione di fatto allegata dal marito quale mero passaggio incidentale della motivazione, e del resto la censura resta aspecifica con riguardo alle circostanze puntuali che assume inveritiere e contestate dalla ricorrente;

– che, inoltre, la corte territoriale – con apprezzamento di fatto -ha escluso che la parte abbia fornito prove a sostegno di una presunta elevatissima capacità economica/reddituale, ulteriore rispetto a quella risultante all’esito della istruttoria espletata in giudizio, dell’odierno controricorrente;

– che, ancora, a seguito della riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, è “denunciabile in tassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione” (Cass. Sez. U. 8053/2014);

– che, nel caso di specie, il tessuto motivazionale dell’impugnata sentenza risulta essere puntuale, coerente e perfettamente idoneo a consentire di individuare il procedimento logico-giuridico che ne costituisce fondamento, nonchè pienamente conforme ai principi giuridici in questa sede elaborati;

– che, infatti, la corte di merito, nel negare al coniuge l’assegno di mantenimento, ha tenuto conto della effettiva capacità di produrre reddito dell’odierna ricorrente (la quale verosimilmente svolge attività lavorativa ed è di giovane età); del tenore di vita goduto dai coniugi durante la convivenza familiare (restando indimostrato il suo carattere elevato), nonchè della oggettivamente breve durata della coabitazione; – che, pertanto, nessuna censura può essere mossa all’impugnata sentenza, avendo la corte fatto corretta applicazione dei principi giuridici elaborati in materia;

– che la condanna alle spese segue la regola della soccombenza.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese di lite, liquidate in Euro 4.100 (di cui Euro 100 per esborsi), oltre alle spese forfetarie nella misura del 15% sul compenso ed agli accessori di legge.

In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificati, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, in quanto disposto dalla legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 2 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 22 maggio 2019

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