Corte di Cassazione, sez. Unite Civile, Ordinanza n.13904 del 22/05/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI CERBO Vincenzo – Primo Presidente f.f. –

Dott. GRECO Antonio – Consigliere –

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Consigliere –

Dott. FRASCA Raffaele – rel. Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26292-2016 proposto da:

AMISSIMA ASSICURAZIONI S.P.A., (già CARIGE ASSICURAZIONI S.P.A.), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CAIO MARIO 27, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO ALESSANDRO MAGNI, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato GABRIELE BECCARA;

– ricorrente –

P.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GIOSUE’ BORSI 4, presso lo studio dell’avvocato ELISABETTA ESPOSITO, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato ENRICO DELLA CAPANNA;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

e contro

DEUTSCHE RENTENVERSICHERUNG BUND;

– intimato –

per revocazione della sentenza n. 13372/2016 della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, depositata il 30/06/2016.

Udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 18/12/2018 dal Consigliere Dott. RAFFAELE FRASCA.

RILEVATO

che:

1. La Amissima Assicurazioni s.p.a. (già Carige Assicurazioni s.p.a.), ha proposto ricorso per revocazione ai sensi dell’art. 391-bis c.p.c., avverso la sentenza n. 13372 del 2016, con la quale le Sezioni Unite Civili della Corte di Cassazione, provvedendo sul ricorso iscritto al n. r.g. 26885 del 2011, proposto avverso la sentenza della Corte d’Appello di Trento del 29 giugno 2011 dalla Deustsche Rentenversicherung Bund (di seguito DRB) contro la allora Carige Assicurazioni s.p.a e P.M., nonchè sui ricorsi incidentali condizionati separatamente proposti dai detti intimati, e decidendo a seguito di assegnazione disposta dal Primo Presidente ai sensi dell’art. 374 c.p.c., comma 2, ha accolto il ricorso principale “nei sensi di cui in motivazione”, ha dichiarato assorbiti i ricorsi incidentali condizionati ed ha cassato in relazione la sentenza allora impugnata, rinviando anche per le spese alla Corte di Appello di Trento.

2. La vicenda oggetto del giudizio deciso con la sentenza revocanda ineriva al giudizio promosso contro il P. nel Maggio del 2006 dall’ente previdenziale tedesco DRB davanti al Tribunale di Trento Sezione Distaccata di Cavalese, al fine di ottenere:

a) in ragione dell’erogazione della somma complessiva di Euro 245.805,91 a titolo di pensione di reversibilità e di rendita orfani, in favore del coniuge e dei figli minori della vittima (assicurata presso la stessa) di un incidente mortale sciistico, la declaratoria dell’esclusiva responsabilità del P. per l’incidente sciistico avvenuto in *****, nel quale aveva perso la vita il cittadino tedesco B.V.;

b) nonchè – in forza di azione surrogatoria ai sensi del p. 116 del SGB tedesco (Codice di previdenza sociale), in thesi regolatore dell’azione contro il debitore italiano ex art. 85 del Regolamento CE n. 883 del 2004 – la condanna del P. alla rifusione della somma erogata.

3. Con sentenza del novembre del 2009 il primo Giudice, nel contraddittorio anche della Carige Assicurazioni S.p.A., chiamata in causa dal convenuto a titolo di manleva, rigettava le domande, escludendo il diritto di surroga dell’attore e, quindi, la Corte d’Appello di Trento rigettava l’appello proposto dal DRB, ribadendo, nel confermare la decisione di primo grado, l’applicabilità alla fattispecie dell’interpretazione fornita dalla sentenza 21 settembre 1999 della Corte di giustizia UE sull’art. 93 del Regolamento CE n. 1408 del 1971, poi sostituito dall’art. 85 del Regolamento CE n. 883/2004, “nel senso che, nel caso di un danno verificatosi nel territorio di uno Stato membro e che abbia comportato il versamento di prestazioni di previdenza sociale alla vittima o ai suoi aventi diritto da parte di un ente di previdenza sociale, ai sensi di detto regolamento, appartenente ad un altro Stato membro, i diritti che la vittima o i suoi aventi diritto hanno nei confronti dell’autore del danno e nei quali detto ente si può essere surrogato, nonchè i presupposti dell’azione di risarcimento dinanzi ai giudici dello Stato membro sul cui territorio il danno si è verificato, sono determinati conformemente al diritto di tale Stato, ivi comprese le norme di diritto internazionale privato che sono applicabili”.

4. Il DRB proponeva ricorso per cassazione, sulla base di un unico motivo, con cui denunciava, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e/o falsa applicazione dell’art. 93 del Reg. CE n. 1408/1971 e successivo art. 85 del Reg. CE n. 883/2004 (ponendo in dubbio la portata del principio espresso dalla citata sentenza della Corte di giustizia e la sua rilevanza nella fattispecie).

5. All’esito della trattazione nell’udienza di discussione del 19 dicembre 2014, la Terza Sezione Civile, con ordinanza n. 4447 del 5 marzo 2015, rimetteva gli atti al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite, cui il ricorso veniva assegnato.

6. Nella sua motivazione la sentenza revocanda rilevava in primo luogo che l’ordinanza della Terza Sezione aveva sollecitato l’intervento delle Sezioni Unite sulla questione, che assumeva posta dal ricorso, “dei limiti dell’azione di surrogazione esercitabile da un ente previdenziale (più precisamente di assicurazione pensionistica) di uno Stato membro (nella specie, la Germania), diverso dallo Stato (nella specie, l’Italia) nel cui territorio si è verificato il danno, per le prestazioni previdenziali erogate alla vittima o ai suoi aventi causa” e quindi dava atto della motivazione con cui l’ordinanza interlocutoria aveva ritenuto di disattendere una richiesta di rinvio pregiudiziale alla CGUE in presenza di una situazione di acte claire, assumendo, in particolare, che dalla giurisprudenza comunitaria emergeva che il diritto di surrogazione dell’assicuratore sociale è disciplinato dalle norme dello Stato di appartenenza dell’ente surrogante, con il limite per cui la surrogazione non può eccedere i diritti spettanti alla vittima o ai suoi aventi causa, nonchè la soggezione dei diritti spettanti alla vittima, o ai suoi aventi causa, nei confronti dell’autore del danno, nei quali l’ente previdenziale può surrogarsi, e dei presupposti dell’azione risarcitoria alla disciplina dalle norme dello Stato in cui si è verificato il “danno” (ivi comprese le norme di diritto internazionale privato applicabili), con la conseguenza che “quindi: a) il diritto al risarcimento del danno spettante alla vittima di un sinistro o ai suoi aventi causa (e, quindi, l’area del danno risarcibile) è individuato(a) dalle norme italiane; b) i presupposti ed i limiti dell’azione di surrogazione esercitabile dall’ente previdenziale sono dettati dalle norme tedesche”.

6.1. La sentenza qui impugnata, nella contemplazione della questione oggetto di contrasto rimessa alle Sezioni Unite – che, come emerge dal testo dell’ordinanza interlocutoria era quella della rilevanza o meno secondo il diritto italiano del principio della c.d. compensatio lucri cum damno con riferimento alle prestazioni erogate al danneggiato dall’assicuratore sociale o dall’ente previdenziale, con le consequenziali ricadute sulla loro possibilità di esercizio dell’azione di surrogazione – ha osservato quanto segue:

“Nel caso in esame la questione dei limiti dell’azione di surrogazione esercitabile da un ente previdenziale, nei termini proposti dal ricorso e dalla sentenza impugnata in questa (sede) – che viene posta come ragione del contrasto legittimante la rimessione alle Sezioni Unite, di per sè significativo nel panorama ordinamentale attuale – non si presta ad assumere la rilevanza per esaminarne il fondo in questa sede. Ciò che si è perso di vista nel presente giudizio è l’esame prioritario delle ragioni dalle quali sarebbe derivata l’eventuale surrogabilità dell’ente ricorrente. Risulta in fatto dalla sentenza impugnata (pag. 10) che l’Ente tedesco “soltanto nell’aprile 2006 aveva inviato al convenuto la comunicazione che intendeva surrogarsi agli eredi B., ma risultava documentato che sin dal settembre 2004 questi ultimi erano stati tacitati d’ogni pretesa dalla Assicurazione del convenuto. Rilasciando ampia quietanza liberatoria, cosicchè era venuta meno “qualsiasi pretesa azionabile nei confronti del P. non solo da loro stessi (eredi B.), ma anche da soggetti terzi che volessero agire in surroga”. Ebbene, proprio questo è il punto decisivo della questione: la surrogabilità eventuale deriva, infatti, dalla risarcibilità o meno del danno. Un tale esame non è stato condotto, pur avendo formato oggetto della sentenza di primo grado e sostanzialmente riproposto nelle difese relative alle fasi successive del giudizio. Ed è ciò che dovrà fare il giudice del rinvio. Ciò che si vuol dire è che nell’esame concreto della pretesa azionata è stata bypassata la premessa maggiore dello sviluppo argomentativo, vale a dire l’esame dell’entità del danno e della sua risarcibilità. Solo ove si fosse risposto positivamente a tale quesito si sarebbe potuto affrontare quello logicamente dal primo derivante: dei limiti del danno sul quale eventualmente la surroga sarebbe stata consentita. Il che sta a significare che le questioni della surrogabilità e dei suoi limiti costituisce un posterius rispetto a quello prioritario dell’entità del danno e della sua risarcibilità. Stabilire l’area del danno risarcibile e la sua ascrivibilità alla disciplina del diritto di uno Stato membro oppure di un altro è tema che potrebbe anche non influenzare il presente giudizio una volta che si fosse risolto in senso negativo al primo quesito. Ed allora la questione della quale sono state investite le Sezioni Unite che è quella di “Chiarire se, nell’ipotesi di morte della persona offesa, dall’ammontare del risarcimento per danno patrimoniale conseguente al fatto illecito debbano o meno escludersi le prestazioni erogate ai congiunti superstiti dell’assicuratore sociale o dall’ente previdenziale”, ancora una volta non è allo stato affrontabile per la sua possible irrilevanza nel caso concreto. Ne deriva che anche il tema della compensatio lucri cum damno, pur di estremo interesse sul piano giuridico, si presenta in concreto quanto meno prematura per le ragioni già evidenziate. L’individuazione dei presupposti di applicazione del principio della compensatio lucri cum damno, che è strettamente connesso con il tema della cumulabilità di varie voci di danno ai fini dell’applicabilità del principio del risarcimento del danno effettivo, presuppone pur sempre l’esistenza (e l’entità) di un danno risarcibile; e solo su questo eventualmente sarebbe esercitabile la surroga. Non senza osservare che la riscossione dell’indennizzo da parte del danneggiato eliderebbe in misura corrispondente il suo credito risarcitorio nei confronti del danneggiante, che pertanto si estinguerebbe e non potrebbe essere più preteso, nè azionato”.

7. In relazione al ricorso per revocazione, che prospetta un unico motivo, ha notificato un controricorso adesivo il P. e in esso ha svolto ricorso incidentale condizionato riguardo all’eventuale fase rescissoria.

8. Il relatore nominato ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., ha redatto proposta ai sensi di detta norma nel presupposto che il ricorso per revocazione non sia ammissibile.

La trattazione del ricorso è stata, quindi, fissata in camera di consiglio ai sensi dell’art. 391-bis c.p.c., comma 4 e la proposta ed il decreto di fissazione dell’adunanza delle Sezioni Unite sono stati notificati agli avvocati delle parti.

8. Parte ricorrente ha depositato memoria.

CONSIDERATO

che:

1. Parte ricorrente denuncia, ai fini della fase rescindente della proposta impugnazione ex art. 391-bis c.p.c., un preteso errore di fatto ai sensi del n. 4 dell’art. 395 c.p.c., che la sentenza impugnata avrebbe commesso nel reputare – sull’assunto che la questione della compensatici lucri cum damno ai fini della surrogabilità invocata dall’ente tedesco risultava prematura in quanto detta eventuale surrogabilità aveva come presupposto la risarcibilità o meno del danno – che l’esame di tale problema non fosse stato effettutato dalla sentenza di appello “pur avendo formato oggetto della sentenza di primo grado” e pur essendo “stato sostanzialmente riproposto nelle difese relative alle fasi successive del giudizio”, cioè nello stesso giudizio di appello.

1.1. L’errore di fatto viene identificato nella illustrazione del motivo in primo luogo in un paragrafo intitolato “fase rescindente: l’errore di fatto compiuto da Cass. n. 13372/2016”.

L’illustrazione inizia con una sintesi del ragionamento seguito dalla sentenza qui impugnata nel cassare la sentenza in accoglimento per quanto di ragione del ricorso ordinario di DRB. I termini di tale ragionamento vengono individuati nelle ultime undici righe della pagina 8 e nelle prime sette della pagina 9 sostenendo che la sentenza avrebbe ritenuto che, prima di esaminare la possibilità della DRB di surrogarsi secondo il diritto nazionale applicabile, era necessario accertare se il diritto risarcitorio oggetto della pretesa di surroga sussistesse o meno, avuto riguardo: a) al fatto che detta sussistenza era stata esclusa in primo grado, in quanto al momento di esercizio della surroga da parte di DRB nell’aprile del 2006 gli eredi della vittima avevano sottoscritto, nel settembre del 2004, con l’assicurazione del responsabile del danno, “una transazione a saldo di ogni loro diritto risarcitorio, rilasciando ampia quietanza liberatoria e facendo in tal modo venire meno qualsivoglia ulteriore pretesa esercitabile da loro stessi, ovvero da terzi sogetti che avessero volute agire in surroga al loro posto”; b) al fatto che “l’esame di tale profilo della vicenda non era stato condotto dalla Corte di Appello di Trento, pur avendo “formato oggetto della sentenza di primo grado” e pur essendo stato “sostanzialmente riproposto nelle difese relative alle fasi successive del giudizio”: l’omissione di tale esame avrebbe giustificato la cassazione della sentenza in allora impugnata al fine del compimento di tale esame.

L’errore di fatto viene individuato dalla ricorrente per revocazione immediatamente dopo a pagina 9 “nell’affermazione che la questione della sussistenza o meno di un risarcimento del danno in capo agli eredi del signor B. successivamente alla stipulazione della transazione, dopo essere stata esaminata e decisa in senso negative in primo grado dal Tribunale di Trento, sarebbe stata riproposta “nelle difese successive alle fasi successive del giudizio”, ossia in fase di appello e di cassazione”. Sostiene la ricorrente che invece, “tale questione, dopo essere stata affrontata (a seguito dell’eccezione tempestivamente sollevata dal signor P. e dalla Carige) e decisa in primo grado, non” sarebbe “più stata riproposta da parte della DRB, che non ha formulato alcun motivo di appello avverso la relativa statuizione operata dal Tribunale (nè, conseguentemente, ha svolto sul punto alcun motivo di ricorso per cassazione)”.

1.2. A sostegno dell’assunto l’illustrazione del motivo prosegue:

aa) riferendo che il Giudice di primo grado aveva respinto la domanda della DRB, reputando che, sulla base del diritto comunitario, la surroga da esso esercitata non era disciplinata dalla legge tedesca ma da quella italiana e dunque dall’art. 1916 c.c. e, quindi, che alla stregua di tale norma essa fosse infondata, sia perchè le prestazioni erogate da DRB non erano riconducibili alla categoria dei danni patrimoniali suscettibili di risarcimento, sia ed in ogni caso perchè al momento della comunicazione di surroga effettuata da DRB i familiari della vittima non erano più titolari di alcun diritto risarcitorio in ragione della sottoscrizione della transazione;

bb) precisando quindi che il contenuto dell’appello di DRB si era articolato su tre motivi, il primo relativo all’affermazione dell’applicabioità della legge italiana anzichè di quella tedesca, il secondo invocante, nel presupposto dell’applicabilità di tale legge e dunque del p. 116 SGB, anzichè dell’art. 1916 c.c., l’operatività della surroga al momento del fatto, il terzo lamentante il mancato accertamento della responsabilità del P.;

bb1) sostenendo di seguito che nessun motivo di appello era “stato formulato contro il capo della sentenza di primo grado con il quale il Tribunale aveva statuito che nel momento in cui il DRB aveva esercitato la surroga ogni e qualsiasi diritto al risarcimento dei danni degli eredi B. era già venuto meno in quanto gli stessi avevano concluso con l’assicuratore del responsabile civile un contratto di transazione con ampia e totale quietanza liberatoria (ossia senza fare salvi eventuali diriritti e/o rivalsa di terzi)”, onde “non essendo stata tale statuizione appellata, sulla relativa decisione – di inesistenza in capo agli eredi B. di un diritto al risarcimento del danno nel quale DRB potesse in ipotesi surrogarsi – si è formato il giudicato”;

bb2) adducendo, sebbene “per scrupolo”, che nemmeno con il ricorso per cassazione DRB aveva comunque fatto alcun riferimento alla detta questione;

cc) adducendo ancora, con la successiva riproduzione della motivazione della sentenza di appello che aveva escluso la surrogabilità, che “infine, e da ultimo, va ulteriormente evidenziato (ancorchè la questione non sia stata espressamente menzionata da Cass. 12272/16 (rectius: 13372/16)) che nemmeno la statuizione della Corte di Appello di Trento secondo cui la pensione di reversibilità fuoriesce, nel diritto italiano, dal concetto di danno risarcibile da parte del soggetto responsabile è stata impugnata dal DRB nel’ambito del ricorso per cassazione (…) onde anche su tale punto si è formato il giudicato.

1.3. L’illustrazione del profilo rescindente della revocazione prosegue, quindi, con un paragarafo intitolato “la sussistenza dei requisiti dell’errore causa di revocazione” ed in esso si identifica l’errore ai sensi dell’art. 395 c.p.c., n. 4, in questi termini a pag. 14 del ricorso: “l’errore di fatto è costituito dalla supposizione da parte della Corte di cassazione dell’avvenuta impugnazione da parte del DRB della decisione del primo Giudice di dichiarare inesistente (per intervenuta estinzione a seguito di transazione liberatoria) il diritto al risarcimento dei danni degli eredi B., o comunque dell’avvenuta riproposizione nelle fasi di appello e di legittimtà delle questioni inerenti alla risarcibilità del danno (sia per quanto riguarda gli effetti della transazione conclusa dagli eredi B., sia per quanto riguarda la riconducibilità al concetto di danno delle prestazioni assistenziali e previdenziali erogate dal DRB).”.

Si assume che “la verità di tale fatto è incontrastabilmente ed incontrovertibilmente esclusa dalla semplice lettura degli atti di causa (sentenza di primo grado, atto di appello e sentenza di secondo grado, oltrechè ricorso per cassazione”, in tal modo prospettando – sebbene subito dopo si dica sufficiente la semplice lettura della sentenza di appello – che questa Corte avrebbe “letto male” ben quattro atti processuali, cioè la sentenza di prime cure, l’atto di appello di DRB, la sentenza di appello e lo stesso ricorso per cassazione ordinario.

2. L’esame del ricorso per revocazione deve iniziare con alcuni rilievi preliminari che sono resi necessari dalla circostanza che l’articolazione dell’illustrazione del motivo di revocazione sopra riferita evidenzia che parte ricorrente in prima battuta ha prospettato il preteso errore revocatorio in un certo modo e, successivamente, in modo più ampio.

Nella prima prospettazione (quella a pagina 9 del ricorso) l’errore addebitato alla sentenza impugnata risulta, infatti, indicato nell’avere la sentenza affermato che la questione decisa dalla sentenza di primo grado nel senso che il diritto alla surrogazione doveva escludersi in quanto gli eredi della vittima avevano transatto con l’assicuratore ed erano stati tacitati prima dell’esercizio del diritto di surrogazione da parte di DRB era stata riproposta “nelle difese relative alle fasi successive del giudizio”, che sarebbero da identificare, secondo la ricorrente (che, per la verità, non svolge alcuna attività argomentativa al riguardo), sia nella fase di appello sia in quella di cassazione.

Nella seconda prospettazione (quella a pagina 14 del ricorso) l’errore che sarebbe stato commesso nel ritenere la “riproposizione” viene invece correlato non solo alla questione dell’esclusione del diritto risarcitorio in ragione della transazione, ma anche all’ulteriore questione della esclusione della riconducibilità al concetto di danno rilevante delle prestazioni erogate da DRB. Si sostiene, cioè, che erroneamente la sentenza qui impugnata – con una errata lettura, quindi, dell’atto di appello e del ricorso per cassazione ordinario – avrebbe affermato che entrambe le questioni erano state riproposte in fase di appello e in fase di giudizio di legittimità.

2.1. Il primo rilievo che si giustifica è quello della singolarità della prospettazione in primis di un errore di fatto con una certa dimensione e, successivamente, con una dimensione più ampia.

Questa seconda dimensione non trova, però, corrispondenza nella motivazione della sentenza impugnata e, in modo del tutto contraddittorio è la stessa ricorrente a rivelarlo quando, riferendo quanto indicato sopra nel paragrafo 1.2. sub cc), espressamente sottolinea di farlo “ancorchè la questione non sia stata espressamente menzionata da Cass. 12272/16 (rectius: 13372/16)”.

In effetti, la motivazione di quest’ultima decisione ha parlato di questione “sostanzialmente riproposta” esclusivamente con riguardo all’affermazione fatta dalla sentenza di primo grado che il diritto risarcitorio era da escludersi perchè l’esercizio della surrogazione era avvenuto dopo la transazione: tanto emerge sia dall’espresso riferimento della sentenza qui impugnata (si veda la motivazione riportato sopra nel “rilevato che”) all’affermazione fatta dalla sentenza di appello alla pagina 10, sia – ma lo si rileva ad abundantiam dall’ulteriore affermazione finale espressa con la seguente proposizione: “Non senza osservare che la riscossione dell’indennizzo da parte del danneggiato eliderebbe in misura corrispondente il suo credito risarcitorio nei confronti del danneggiante, che pertanto si estinguerebbe e non potrebbe essere più preteso, nè azionato”.

Il Collegio, dunque, deve rilevare che il motivo di revocazione in thesi adeguato al tenore della motivazione della sentenza qui impugnata è solo quello prospettato dalla ricorrente in prima battuta, cioè con l’addebitare alla sentenza stessa di avere erroneamente affermato, contro il tenore degli atti processuali, la riproposizione della questione correlata alla transazione, e non anche quello prospettato in seconda battuta aggiungendo ad esso la pretesa affermazione da parte della sentenza n. 13372 del 2016 che la riproposizione vi era stata pure per la seconda questione, quella della riconducibilità al concetto di danno della prestazione resa da DRB.

Ne discende che la prospettazione di un errore revocatorio sotto tale ultimo profilo integra la deduzione di un motivo di revocazione inammissibile perchè identificato in un’affermazione che nella motivazione della sentenza revocanda non è dato cogliere.

Poichè anche la deduzione del motivo di revocazione ai sensi dell’art. 395 c.p.c., n. 4, come di qualsiasi motivo di impugnazione, esige che quanto con esso si prospetta si correli alla motivazione della sentenza impugnata e, dunque, ad una motivazione che risulta commissiva dell’errore di fatto che nella sentenza deve rinvenirsi, l’assenza di una motivazione in tal senso rende il motivo inidoneo al raggiungimento dello scopo proprio di un motivo di impugnazione perchè qualsiasi mezzo di impugnazione deve necessariamente risolversi in una critica alla sentenza revocanda e dunque alla sua motivazione. Un motivo che non si correla alla motivazione e che dunque è privo del suo oggetto necessario è nullo, con la conseguenza che la nullità, rievando in sede di enunciazione della struttura del motivo di impugnazione la categoria della inammissibilità, determina l’inammissibilità del motivo.

Da tanto discende che l’errore revocatorio di cui si deve verificare l’esistenza si restringe soltanto a quello che la sentenza impugnata avrebbe commesso reputando che era stata riproposta nelle fasi successive al giudizio di primo grado la questione della non configurabilità del diritto di surrogazione per essere la comunicazione del suo esercizio avvenuta dopo la transazione e la correlate tacitazione delle ragioni degli eredi della vittima.

2.2. Peraltro, il motivo di revocazione pur così ristretto presenta un profilo di parziale inammissibilità sotto altro profilo e precisamente là dove sostiene che la sentenza revocanda, con l’espressione “sostanzialmente riproposto nelle difese relative alle fasi successive del giudizio”, avrebbe inteso fare riferimento ad una riproposizione avvenuta non soltanto in appello, ma anche nel giudizio di legittimità.

Il Collegio rileva che tale assunto è ancora una volta privo di corrispondenza nella motivazione della sentenza impugnata, il che rende il preteso errore di fatto per avere essa affermato che vi era stata la riproposizione in thesi correlabile a detta motivazione e dunque scrutinabile soltanto nel senso che l’affermazione asseritamente erronea in fatto concernerebbe soltanto il fatto della riproposizione in appello e non anche quello della riproposizione nel giudizio di legittimità ordinario.

2.3. Queste le ragioni.

E’ vero che la sentenza impugnata usa l’espressione “riproposto nelle difese relative alle fasi successive del giudizio”, con ciò parendo alludere a più di una fase e, dunque – se ben si comprende la ragione dell’assunto della ricorrente, che, per la verità non è spiegato suggerendo secondo una ipotesi che è, però, mera suggestione un riferimento sia al grado di appello che al grado di cassazione ordinario.

Senonchè, in primo luogo l’espressione “fasi successive del giudizio” è usata dopo che la sentenza impugnata ha detto che “un tale esame non è stato condotto, pur avendo formato oggetto della sentenza di primo grado” e ciò sottende necessariamente – sulla base di un principio di supposizione della mera consequenzialità logica fra una proposizione e l’altra – che le “fasi successive” sono state intese come quelle relative alla sentenza di primo grado e dunque come le fasi di appello, dovendosi rilevare, del resto, che il giudizio di appello è certamente giudizio strutturato in diverse fasi.

In secondo luogo, si deve considerare che nella sentenza non vi è alcun accenno ad una riproposizione nel giudizio di legittimità e tanto meno al modo di essa, la quale, del resto, se vi fosse stata, avrebbe richiesto la spiegazione del perchè essa non poteva essere esaminata dalla Corte e si rendesse necessaria la disposta cassazione con rinvio.

In terzo luogo, si deve sottolineare che la nozione di “fase” è evocativa delle scansioni di svolgimento di un grado di giudizio e non della nozione di “grado”.

2.4. In ogni caso, lo si osserva a questo punto in modo del tutto aggiuntivo, si deve rammentare che è orientamento consolidato di questa Corte quello secondo cui l’errore di fatto di cui all’art. 395 c.p.c., n. 4, deve avere fra i suoi caratteri quelli dell’assoluta evidenza e della semplice rilevabilità sulla base del solo raffronto tra la sentenza impugnata e gli atti e documenti di causa, senza necessità di argomentazioni induttive o di particolari indagini ermeneutiche (si veda già Cass., Sez. Un., n. 561 del 2000). Tanto allora basterebbe ad evidenziare che la prospettazione dell’errore di fatto sotto il profilo di cui si discute, cioè nel senso che la sentenza impugnata, con il riferimento alle “fasi successive del giudizio”, abbia voluto alludere anche alla riproposizione nel grado di legittimità che essa ha deciso, risulterebbe, sulla base delle ragioni appena indicate e desunte dal tenore della sentenza stessa, del tutto priva del requisito della evidenza e rilevabilità per la parte dimostrativa dell’errore stesso che dovrebbe desumersi dal tenore della sentenza.

2.5. Deve, dunque, conclusivamente sul punto, escludersi che la prospettazione dell’errore di fatto per la parte che assume come presupposto l’affermazione nella sentenza impugnata del fatto di un’asserita riproposizione nel giudizio di legittimtà della questione della non configurabilità del diritto alla surrogazione in ragione della transazione pregressa alla comunicazione di volerla esercitare, risulta in primis nuovamente inammissibile (alla stregua del principio di diritto affermato sopra), in quanto non si correla alla motivazione della sentenza impugnata, la quale non ha fatto quella affermazione; e, in secondo luogo, e comunque perchè il preteso errore di fatto sarebbe privo dei caratteri della evidenza e rilevabilità immediata.

3. Le svolte considerazioni evidenziano, dunque, che l’impugnazione proposta dalla ricorrente denuncia un preteso errore di fatto che avrebbe commesso la sentenza impugnata correlandolo effettivamente alla sua motivazione soltanto quanto all’affermazione che la questione della non spettanza della surrogazione affermata – con una ratio decidendi concorrente – dal primo giudice era stata riproposta in appello e non era stata esaminata dalla corte tridentina, mentre, invece, secondo la ricorrente, essa non era stata affatto riproposta.

L’errore di fatto così denunciato, in thesi, cioè su un piano relativo alla mera prospettazione astratta, id est assertiva, integrerebbe un errore revocatorio ai sensi dell’art. 395 c.p.c., n. 4.

Esso, effettivamente, in astratto avrebbe tale natura.

Tuttavia, in concreto, cioè una volta verificati gli atti ed esaminato il ricorso per revocazione nello svolgimento del presente giudizio sulla fase rescindente del proposto giudizio di revocazione, esso non appare in realtà esistente, in quanto il fatto che si asserisce affermato dalle SS.UU., cioè la riproposizione del problema della risarcibilità del danno in appello, e che si sostiene invece sarebbe stato inesistente negli atti, in effetti era in essi, cioè nel devolutum nel giudizio di appello, esistente.

E ciò al contrario di quanto asserisce la ricorrente (e anche il P. nel suo atto di costituzione adesivo).

In sostanza, il ricorso per revocazione denuncia un errore di fatto, cioè di erronea supposizione dell’esistenza di uno stato processuale quello della c.d. riproposizione – che invece non sarebbe stato esistente, il quale in realtà esisteva veramente e, dunque, correttamente è stato supposto dalle SS.UU. nella sentenza impugnata.

3.1. Il Collegio condivide, infatti, la proposta del relatore, là dove ha evidenziato che tanto si giustifica, in quanto, esaminando l’atto di appello proposto contro la sentenza di primo grado, emerge che in esso, ancorchè nella prospettiva indicata dal primo motivo di appello, correlata alla questione ai sensi dell’art. 93 Reg. CE n. 1408/1971 e successivo art. 85 Reg. CE n. 883/2004, con il secondo motivo di appello risultava espressamente criticata la ratio decidendi finale della sentenza di primo grado, imperniata sul valore della sottoscrizione dell’atto di quietanza in forza della transazione.

3.2. Parte ricorrente nella memoria critica la proposta assumendo che è vero che con il secondo motivo di appello si censurava la decisione di primo grado quanto alla rilevanza data alla sottoscrizione della transazione prima della comunicazione della surroga da parte di DRB, ma tale censura sarebbe stata svolta soltanto nell’ottica dell’applicabilità del p. 116 del SGB (e, quindi, nella logica da quello prevista nel senso della nascita del diritto di surrogazione al momento del fatto). Applicabilità che era stata prospettata con il primo motivo di appello in base ad argomentazioni svolte sulla base del diritto comunitario e non anche con riferimento alla ratio decidendi enunciata dal primo giudice sulla base dell’applicabilità nella specie del diritto nazionale italiano, cioè dell’art. 1916 c.c., sicchè – sostiene la ricorrente – il secondo motivo di appello risultava sostanzialmente condizionato all’accoglimento del primo. Viceversa, nessuna censura risultava nell’atto di appello avverso la motivazione del primo giudice enunciata nel presupposto ell’applicabilità del diritto nazionale, cioè dell’art. 1916 c.c..

3.2.1. Al riguardo si deve rilevare che la prospettazione della memoria si risolve in una deduzione nuova, che non figurava nel ricorso per revocazione, il quale, nel riferire a pagina 10 il contenuto del secondo motivo di appello lo aveva descritto precisando che vi “si lamentava l’errata applicazione del p. 116 SGB, atteso che ai sensi di tale norma straniera la surroga dell’ente previdenziale nascerebbe al momento del fatto”. Nessun riferimento si coglieva all’essere il secondo motivo di appello relativo alla questione dell’intervento della transazione solo nell’ottica dell’applicabilità della norma di diritto germanico e non anche nell’ottica del diritto interno italiano.

Sicchè, la deduzione della memoria si è risolta in una vera e propria aggiunta ed integrazione del ricorso, che non sarebbe ammissibile con la memoria ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c. (ex multis e da ultimo, Cass. (ord.) n. 30760 del 2018) e che dunque non sarebbe scrutinabile.

3.2.2. In ogni caso, il Collegio ritiene che l’esame della prospettazione della memoria, se anche si considerasse possibile, non gioverebbe all’esistenza dell’errore revocatorio.

Infatti, tale prospettazione in ordine al contenuto dell’atto di appello appare in primo luogo solo parzialmente corretta.

Effettivamente il secondo motivo di appello censurava la sentenza di primo grado quanto alla rilevanza data alla sottoscrizione della transazione, negandola perchè alla fattispecie doveva trovare applicazione il diritto nazionale tedesco, che giustificava l’insorgenza del diritto di surroga nello stesso momento del fatto.

Senonchè, nella parte finale dell’esposizione del secondo motivo di appello, dopo l’argomentazione imperniata sull’applicabilità del diritto tedesco, risultava anche dedotto che “del resto, è appena il caso di precisare che l’importo di Euro 200.000,00, pagato dalla Reale Mutua Ass.ni agli eredi del sig. B.V., atteneva esclusivamente al danno non patrimoniale e non già a quello patrimoniale, subito dalla moglie, rispett. dai figli di quest’ultimo” e, di seguito, che “il convenuto non ha fornito prova alcuna in ordine ad una diversa liquidazione da parte della compagnia assicurativa”: tanto giustificherebbe l’attribuire al secondo motivo di appello una idoneità a censurare (al di là della sua intestazione evocativa del solo p. 116 del SGB) la motivazione del primo giudice anche in quanto resa sulla base dell’art. 1916 c.c..

3.2.3. Al di là di ciò, che evidenzierebbe una parziale inesattezza della prospettzione che qui si esamina, rileva il Collegio che la prospettazione della memoria si risolve nella postulazione dell’esistenza nella sentenza impugnata – là dove non avrebbe percepito che la riproposizione della censura concernente l’esservi stata sottoscrizione della transazione ed il rilascio della quietanza prima della comunicazione della surrogazione era stata limitata alla tesi basata sull’applicazione del diritto germanico e non estesa alla motivazione della decisione di primo grado relativa alla ratio decidendi resa secondo il diritto italiano di cui all’art. 1916 c.c. – non già di un errore percettivo di un “fatto”

(processuale) alla stregua dell’art. 395, n. 4, bensì di un errore di valutazione del fatto stesso, cioè del significato del secondo motivo di appello e, in definitiva, dei limiti in cui era avvenuta la devoluzione nel giudizio di appello.

Si postula cioè in effetti non già che la riproposizione non vi fosse stata ma che sia stata male apprezzata quanto alla sua estensione dalla sentenza qui impugnata e, dunque, si lamenta un errore di valutazione in iure che tale sentenza avrebbe commesso nell’apprezzare il significato della riproposizione.

3.2.4. Comunque, osserva il Collegio che, se anche non si condividesse tale rilievo si evidenzierebbe una situazione nella quale il preteso errore revocatorio di fatto, questa volta quanto agli elementi di evidenziazione emergenti dal tenore della sentenza appellata non sarebbe di assoluta evidenza e di semplice rilevabilità sulla base del solo raffronto tra la sentenza impugnata e l’atto di appello, ma esigerebbe argomentazioni induttive e particolari indagini ermeneutiche, atteso che, se non altro, supporrebbe la lettura dell’intero atto di appello oltre che della sentenza di primo grado ed appunto un’attività ricostruttiva del significato della devoluzione verificatasi con l’appello.

Sicchè, verrebbe in considerazione il principio di diritto sopra ricordato di cui a Cass., Sez. Un., n. 561 del 2000.

3.2.5. All’esito delle complessive considerazioni svolte discende che l’errore revocatorio di fatto astrattamente prospettato è in realtà inesistente e tanto rende inammisisbile la chiesta revocazione, così essa consumandosi negativamente sul piano rescidente.

4. Per completezza, il Collegio ritiene necessario svolgere alcuni rilievi in merito all’ulteriore contenuto della memoria.

Nel punto B di essa si sostiene che la proposta del relatore avrebbe omesso completamente di tenere conto “che per poter considerare in fase di giudizio di Cassazione come ancora aperta (in quanto riproposta nelle precedenti fasi del giudizio) la questione dell’effetto preclusivo della transazione sarebbe stato necessario che tale questione fosse stata sollevata nell’ambito del ricorso per cassazione”, mentre quest’ultimo sul punto era rimasto silente, essendovi stato formulato solo un motivo di violazione di legge concernente le implicazioni del diritto comunitario.

4.1. Il Collegio rileva che – in disparte la novità della prospettazione, non presente nel ricorso – in tal modo si introduce una vera e propria censura in iure contro la sentenza qui impugnata e non si denuncia un errore revocatorio ai sensi dell’art. 395 c.p.c., n. 4. Si sostiene in effetti che non si comprende come e perchè la Corte, pur investita del solo motivo concernente le implicazioni del diritto comunitario in ordine al diritto applicabile alla surroga di DRB, abbia potuto dare rilievo alla circostanza che nel giudizio di appello sarebbe stata riproposta la questione della rilevanza della transazione e che essa non sarebbe stata esaminata.

La valutazione del percorso con cui la sentenza impugnata abbia potuto pervenire a dare rilievo ad una questione che ha detto riproposta in appello senza spiegare come e perchè essa poteva rilevare in sede di giudizio di legittimtà e poteva rilevare, fra l’altro, giustificando l’accoglimento del ricorso per una ragione giuridica diversa da quella prospettata nel motivo e, tuttavia, evidentemente, supposta scrutinabile come quaestio iuris sulla base della sollecitazione proposta dal motivo di ricorso, si configura come valutazione inerente all’esattezza del procedure della Corte in iure e, dunque, del tutto estranea alla proposta impugnazione per revocazione.

Tanto basta a giustificare l’assoluta irrilevanza della deduzione della memoria.

5. Nel punto C. della memoria si addebita alla proposta di non avere considerato che nel ricorso era stato prospettato quelle che si definisce “un terzo errore revocatorio”, cioè che non era stata riproposta in appello la questione dell’estranietà della pensione di reversibilità al concetto di danno risarcibile.

5.1. Anche tale deduzione è irrilevante, atteso che già si è detto sopra che il preteso errore revocatorio commesso dalla sentenza impugnata, là dove avrebbe ritenuto riproposta quella questione, è in realtà privo di correlazione con la sua motivazione, che ha riferito la riproposizione soltanto alla questione dell’intervenuta transazione e tacitazione degli eredi della vittima prima della comunicazione della surroga.

6. Conclusivamemte il ricorso è dichiarato inammissibile.

Non è luogo a provvedere sulle spese del giudizio di revocazione in favore del P., avendo egli svolto ricorso adesivo al ricorso principale e non configurandosi, dunque, soccombenza della ricorrente principale nei suoi riguardi.

7. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si deve dare atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del citato art. 13, comma 1-bis.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Nulla per le spese del giudizio di revocazione. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del citato art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio delle Sezioni Unite Civili, il 18 dicembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 22 maggio 2019

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