Corte di Cassazione, sez. III Civile, Sentenza n.13956 del 23/05/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ARMANO Uliana – Presidente –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – rel. Consigliere –

Dott. D’ARRIGO Cosimo – Consigliere –

Dott. GUIZZI Stefano Giaime – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 4542/2017 R.G. proposto da:

Sviluppo Immobiliare MA.RE.DO. S.r.l., rappresentata e difesa dall’Avv. Anna Ferraris;

– ricorrente –

contro

Dobank S.p.A., quale mandataria di Unicredit Leasing S.p.A., rappresentata e difesa dall’Avv. Giamberto D’Amato, con domicilio eletto in Roma viale delle Milizie n. 38;

– controricorrente –

e nei confronti di:

MBCredit Solutions S.p.a. (quale successore a titolo particolare di Unicredit Leasing S.p.a.), rappresentata e difesa dall’Avv. Cristina Del Zoppo, con dimicilio eletto in Roma Via Asiago n. 9, presso lo studio dell’Avv. Michele Pontecorvo;

– interveniente –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Milano, n. 2725/2016, pubblicata il 29 giugno 2016;

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 30 gennaio 2019 dal Consigliere, Dott. Emilio Iannello;

udito l’Avvocato Anna Ferraris;

udito l’Avvocato Michele Pontecorvo;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale, Dott. Sgroi Carmelo, che ha concluso chiedendo il rigetto del primo motivo e l’accoglimento, per quanto di ragione, del secondo, con rinvio al giudice di merito.

FATTI DI CAUSA

1. Su ricorso della Unicredit Leasing S.p.A. il Tribunale di Milano emetteva, nei confronti di Sviluppo Immobiliare MA.RE.DO. S.r.l., decreto ingiuntivo per il pagamento dell’importo di Euro 190.330,37 a titolo di penale contrattuale per l’anticipata risoluzione del contratto di leasing conseguente al furto dell’autovettura Bentley che ne era ad oggetto.

L’ingiunta proponeva opposizione eccependo l’illegittima capitalizzazione trimestrale degli interessi e la nullità della clausola relativa agli interessi di mora; chiedeva altresì, in via riconvenzionale, la condanna dell’opposta al risarcimento del danno per l’inerzia dimostrata nell’attivarsi al fine di ottenere l’indennizzo assicurativo relativo al furto subito.

Espletata c.t.u. contabile, il Tribunale di Milano rigettava l’opposizione, condannando l’opponente alle spese.

2. Con la sentenza in epigrafe la Corte d’appello di Milano ha respinto il gravame proposto dall’opponente, confermando la decisione di primo grado e condannando l’appellante alle spese.

Ha infatti rilevato che il complessivo importo ingiunto trovava giustificazione nel combinato disposto di due clausole contrattuali la cui validità ed efficacia non era stata posta in dubbio dall’appellante: ossia la clausola n. 17 (relativa all’ipotesi di furto del bene oggetto di leasing) e quella n. 23 (relativa all’indennizzo previsto per il caso di risoluzione anticipata del contratto), clausola quest’ultima alla quale espressamente rinvia anche la prima.

Sulla scorta delle conclusioni del consulente tecnico ha poi escluso che la concedente, nel quantificare l’indennizzo, abbia applicato interessi anatocistici ovvero superiori al tasso soglia.

Ha infine dato atto che, secondo quanto pacificamente riferito nel corso del giudizio d’appello, il veicolo è stato nelle more recuperato e quindi venduto a terzi, con conseguente riduzione del credito vantato dalla concedente “alla minore somma… di Euro 144.230,37, oltre interessi moratori”: circostanza, secondo la Corte territoriale, non incidente sull’esito del giudizio, ma da tenere in conto in sede di volontaria o coattiva esecuzione.

3. Avverso tale decisione Sviluppo Immobiliare MA.RE.DO. S.r.l. propone ricorso per cassazione sulla base di due motivi, cui resiste Dobank S.p.A., quale mandataria di Unicredit Leasing S.p.A., depositando controricorso.

Interviene nel presente giudizio, allegando di farlo ai sensi dell’art. 111 c.p.c., la MBCredit Solutions S.p.a., quale cessionaria del credito di Unicredit Leasing S.p.A., della quale dichiarava di far proprie le difese.

Chiamata una prima volta nell’adunanza camerale dell'*****, la causa è stata rinviata a nuovo ruolo, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., comma 2, per essere trattata in pubblica udienza.

La ricorrente ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 1421 c.c., in ragione del “mancato rilievo ufficioso della nullità della clausola risolutiva e della penale”.

Sostiene che le clausole sopra indicate – le quali attribuiscono a Unicredit leasing il potere di risolvere il contratto e di chiedere il pagamento della penale, come ivi determinata in misura pari all’ammontare dei canoni non scaduti al momento della risoluzione, sia in presenza di inadempimento dell’utilizzatore, sia in presenza di altre cause, come appunto il furto o la perdita del bene – si pongono come derogatorie all’art. 1458 c.c., comma 1, in tema di risoluzione dei contratti ad esecuzione continuata o periodica.

Rileva che tali previsioni determinano un grave squilibrio contrattuale in relazione ai poteri risolutivi, non corrispondendo esse ad un effettivo interesse economico del concedente ma avendo il solo scopo di assicurare un elevato profitto anche in presenza di eventi non riconducibili alla sfera dell’utilizzatore.

2. Con il secondo motivo la ricorrente deduce, in subordine, violazione e falsa applicazione dell’art. 1384 c.c., per non aver la Corte di merito fatto uso dei poteri ufficiosi ad essa attribuiti di riduzione della penale: sussistendone nella specie, secondo la ricorrente, i presupposti, in relazione ai medesimi rilievi sopra svolti a fondamento del primo motivo.

3. Reputa il Collegio che – senza che metta conto impegnarsi nell’esame della questione della rilevabilità d’ufficio, in cassazione, di questioni non dedotte in primo grado e che, sebbene rilevabili d’ufficio, non avevano nemmeno formato oggetto in appello di eccezioni volte a sollecitare l’esercizio, da parte del giudice d’appello, del relativo potere – è dirimente il rilievo della manifesta infondatezza di entrambe quelle in questa sede dedotte.

Tale valutazione deve invero anzitutto esprimersi con riferimento al primo motivo.

Le clausole in questione (testualmente trascritte in ricorso, in osservanza del requisito di autosufficienza prescritto dall’art. 366 c.p.c., n. 6) prevedono infatti:

– da un lato (art. 17 condizioni generali) che “in ipotesi di furto o comunque di perdita dell’unità l’Utilizzatore dovrà immediatamente corrispondere al concedente, con valuta pari a quella data in cui si era verificato l’evento e quindi si era risolto il contratto, l’indennizzo nelle modalità previste dall’art. 23…”;

– dall’altro (art. 23) che “in tutti i casi in cui nel presente contratto si fa riferimento ad un indennizzo spettante al Concedente, l’indennizzo deve essere quantificato come la somma di tutti i canoni non ancora scaduti alla data della risoluzione del contratto e del prezzo di eventuale acquisto finale…”.

Appare chiaro che scopo ed effetto del combinato disposto di tali clausole altro non sia che quello di porre il rischio di perimento della cosa a carico dell’utilizzatore, senza per ciò solo aggravare gli obblighi che sarebbero stati a carico di quest’ultimo ove il contratto avesse avuto normale esecuzione.

Un tale scopo, ossia l’attribuzione a carico dell’utilizzatore del rischio di perimento del bene, appare in sè non in contrasto con norme imperative, nè non meritevole di tutela, essendo del resto quanto già previsto ex art. 1523 c.c., in tema di vendita con riserva della proprietà, ipotesi cui è consentito assimilare la fattispecie in esame, in mancanza peraltro di alcuna diversa prospettazione sul punto.

In tal senso questa Corte ha già più volte affermato che, in tema di leasing traslativo, la clausola contrattuale che pone a carico dell’utilizzatore il rischio per la perdita del bene oggetto del contratto non ha carattere vessatorio, poichè si limita a regolare la responsabilità per la perdita del bene in conformità della disciplina legale desumibile – in via analogica – dall’art. 1523 c.c. sulla vendita a rate con riserva della proprietà (Cass. 14/10/2011, n. 21301; 03/05/2002, n. 6369; 11/02/1997 n. 1266).

Ponendosi dunque la censura in palese contrasto con principio giurisprudenziale consolidato, se ne può predicare l’inammissibilità ai sensi dell’art. 360-bis n. 1 c.p.c..

5. Per analoghe considerazioni deve considerarsi altresì inammissibile il secondo motivo di ricorso.

Le clausole, come detto, tendono evidentemente (solo) ad una allocazione del rischio da perdita del bene a carico dell’utilizzatore per fatto ad esso non imputabile e, in tali termini, non presuppongono affatto l’inadempimento dell’utilizzatore, nè hanno funzione risarcitoria.

Proprio per tale motivo è, a monte, da escludere che in esse possano effettivamente individuarsi i caratteri di una clausola penale.

Connotato essenziale della clausola penale è infatti la sua connessione con l’inadempimento colpevole di una delle parti e pertanto essa non è configurabile allorchè sia collegata all’avverarsi di un fatto fortuito o, comunque, non imputabile alla parte obbligata.

Una siffatta pattuizione costituisce una condizione o clausola atipica che può essere introdotta dall’autonomia contrattuale delle parti, ma resta inidonea a produrre gli effetti specifici stabiliti dal legislatore per la clausola penale (Cass. n. 4603 del 02/08/1984, che, sulla scorta del principio enunciato, ha reputato non costituire clausola penale la pattuizione, inserita in un contratto di appalto, in forza della quale la ditta appaltatrice avrebbe potuto riscuotere immediatamente – anzichè quarantacinque giorni dopo la consegna dell’opera (come stabilito in contratto) – il prezzo concernente la parte dei lavori eseguiti ed il costo dei materiali a piè d’opera, qualora i lavori stessi avessero subito un ritardo superiore a trenta giorni per causa non imputabile all’appaltatrice o per causa di forza maggiore; v. anche Cass. 10/05/2012, n. 7180; 30/01/1995, n. 1097).

6. Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile.

Segue la condanna della ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese processuali, liquidate come da dispositivo.

Nessun provvedimento è invece da adottare in ordine al regolamento delle spese processuali tra la ricorrente e l’interveniente MBCredit Solutions S.p.a., atteso che:

a) da un lato, l’intervento di quest’ultima deve considerarsi inammissibile: il successore a titolo particolare nel diritto controverso può, infatti, tempestivamente impugnare per cassazione la sentenza di merito, ma non anche intervenire nel giudizio di legittimità, mancando una espressa previsione normativa, riguardante la disciplina di quell’autonoma fase processuale, che consenta al terzo la partecipazione a quel giudizio con facoltà di esplicare difese, assumendo una veste atipica rispetto alle parti necessarie, che sono quelle che hanno partecipato al giudizio di merito (Cass. Sez. U. 18/11/2016, n. 23466, punto 1; Cass. 27/11/2018, n. 30625; 23/03/2016, n. 5759; Cass. 30/05/2014, n. 12179; Cass. 07/04/2011, n. 7986; Cass., 11/05/2010, n. 11375; Cass. 04/05/2007, n. 10215);

b) dall’altro l’atto di intervento non risulta notificato alla ricorrente e comunque quest’ultima non ha svolto difese ulteriori e diverse specificamente ad esso riferite.

Ricorrono le condizioni di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, per l’applicazione del raddoppio del contributo unificato.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.000 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del citato art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 30 gennaio 2019.

Depositato in Cancelleria il 23 maggio 2019

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