Corte di Cassazione, sez. V Civile, Sentenza n.14195 del 24/05/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE MASI Oronzo – Presidente –

Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. CROLLA Cosmo – Consigliere –

Dott. BALSAMO Milena – Consigliere –

Dott. PENTA Andrea – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 15457/2014 proposto da:

ASCIT – Servizi Ambientali S.p.A., in persona del Presidente e legale rappresentante pro tempore, Dott. G.G.M., con sede in ***** (LU), *****, alla ***** (C.F. e P. IVA *****), rappresentata e difesa nel giudizio dall’Avv. Gianluca Baldacci (C.F.: BLDGLC61P10D815) ed elettivamente domiciliata presso lo studio dello stesso, in Roma alla Piazza dell’Emporio n. 16/A, come da procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

A.D.C. DI AN. E P.D.C. s.n.c.;

– intimata –

– avverso la sentenza n. 77/29/2013 emessa dalla CTR di Firenze in data 09/04/2013 e non notificata;

udita la relazione della causa svolta all’udienza camerale dell’8/2/2019 dal Consigliere Dott. Andrea Penta;

udite le conclusioni rassegnate dal Procuratore Generale Dott. Ettore Pedicini nel senso del rigetto;

udite le conclusioni rassegnate dall’Avv. Giuseppe Guizzi, per delega dell’Avv. Gianluca Baldacci, per la ricorrente, nel senso dell’accoglimento, e dall’Avv. Michele Lai, per la resistente, nel senso del rigetto del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

La ” A.D.C. di Al. e P.D.C.” s.n.c. presentava alla Commissione Provinciale di Lucca distinti ricorsi avverso cartelle di pagamento TIA per gli anni 2003-2007, chiedendo che le cartelle di pagamento venissero dichiarate illegittime e, in subordine, che la TIA fosse rideterminata.

La società sosteneva di produrre solo rifiuti speciali e che sulle superfici ove si producevano tali rifiuti speciali non si dovesse applicare la TIA. Chiedeva l’esenzione dalla TIA per i capannoni industriali e commerciali, compresi magazzini; in subordine, l’applicazione della sola quota fissa e non di quella variabile. Infine, lamentava che a pretesa dell’IVA fosse illegittima.

La società Ascit Servizi Ambientali s.p.a. si costituiva in giudizio chiedendo il rigetto dei ricorsi, laddove il Comune di Porcari non svolgeva difese. La Commissione Provinciale respingeva i ricorsi nel frattempo riuniti. Proponeva appello la società contribuente, reiterando i motivi di primo grado. Resisteva l’Ascit.

Con sentenza del 9.4.2013, la C.T.R. di Firenze, in parziale accoglimento dell’appello, dichiarava non dovuta la parte variabile relativa alla TIA sulla base, per quanto qui ancora rileva, delle seguenti considerazioni:

1) le superfici tassate assommavano in totale a mq. 2.656 e trovavano esatto riscontro nella dichiarazione presentata dal contribuente nel 1999, ancora valida in quanto non oggetto di alcuna denuncia di variazione;

2) l’azienda svolgeva attività di officina meccanica per la lavorazione di lamiere e lavorazioni meccaniche in generale, effettuando nei locali la lavorazione ed il taglio di lastre e lamiere di acciaio di ampie dimensioni con produzione di scarti di metallo pesanti ed ingombranti per circa 50 tonnellate l’anno;

3) tali scarti e cascami non venivano in alcun mordo trattati da Ascit;

4) per quanto l’operato di Ascit apparisse formalmente legittimo nel procedimento, essendosi il gestore limitato a tassare le superfici indicate dal contribuente nella dichiarazione dallo stesso presentata e che mai era stata oggetto di denunce di variazione, l’applicazione della categoria tariffaria corrispondente a quella indicata nel codice attività della società appariva legittima limitatamente alla parte fissa, e non anche con riferimento a quella variabile;

5) invero, dal certificato camerale si evinceva l’esistenza di scarti di lavorazione eccedenti quelli tipici di qualsiasi attività meccanica, non essendo solo sfridi o cascami;

6) la quantità e la tipologia di tali scarti li qualificava come rifiuti speciali e, pertanto, escludevano l’applicazione della parte variabile delle TIA;

7) per quanto atteneva l’IVA, l’eccezione del ricorrente doveva essere accolta in forza della sentenza della Corte Cost. n. 238/2009.

Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso la Ascit – Servizi Ambientali s.p.a., sulla base di sette motivi. La A.D.C. di An. e P.D.C. s.n.c. non ha svolto difese.

In prossimità dell’udienza, la ricorrente ha depositato memorie illustrative ex art. 378 c.p.c..

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Preliminarmente, va evidenziato che non potrà tenersi conto delle conclusioni rassegnate in udienza dal legale della A.D.C. di An. e P.D.C. s.n.c., atteso che dagli atti non risulta una formale costituzione in giudizio della stessa, neppure ai limitati fini di partecipare alla discussione orale.

2. Con il primo motivo la ricorrente deduce l’assenza di motivazione, con riferimento all’art. 132 c.p.c., (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per non contenere la sentenza emessa dalla CTR alcuna spiegazione sul perchè si sarebbe dovuto escludere in toto l’applicazione della parte variabile della tariffa.

2.1. Il motivo è, per quanto di ragione, fondato.

Sul piano argomentativo, la CTR ha accertato, sulla base del certificato camerate, che gli scarti di lavorazione prodotti dalla contribuente “eccedono quelli tipici di qualsiasi attività meccanica non essendo solo sfridi o cascami”, affermando che, alla luce della loro quantità e tipologia, tali scarti andavano qualificati come rifiuti speciali, con la conseguenza che andava esclusa l’applicazione della parte variabile della tariffa (cfr. pag. 3 della sentenza impugnata).

Orbene, il certificato camerale attesta l’iscrizione dell’impresa all’interno del Registro delle Imprese tenuto dalla Camera di Commercio e fornisce tutte le informazioni economico/giuridiche sull’impresa.

In particolare, i dati contenuti nel documento sono solitamente:

1) il numero di iscrizione al registro imprese o al R.E.A.;

2) la denominazione;

3) il codice fiscale;

4) la sede;

5) la data di costituzione;

6) il capitale sociale;

7) l’oggetto sociale;

8) la descrizione dell’attività;

9) i dati anagrafici dei titolari di cariche.

Alla luce di quanto precede, il detto documento non ha alcuna rilevanza al fine di individuare la tipologia e la quantità dei rifiuti prodotti da un determinato contribuente.

Premesso che l’esatta qualifica dei rifiuti prodotti dalla contribuente (assimilabili o meno a quelli urbani) assume, nella fattispecie, rilevanza decisiva, atteso che solo l’inquadramento nell’ambito dei rifiuti non assimilabili avrebbe potuto giustificare l’esonero integrale dalla quota variabile, anzichè solo una riduzione proporzionale della stessa, l’affermazione secondo cui la società contribuente avrebbe dimostrato, sulla base del solo certificato camerale, di aver prodotto scarti di lavorazione eccedenti quelli tipici di qualsiasi attività meccanica e, come tali, da qualificarsi come rifiuti speciali, si presenta apodittica.

Deve essere, pertanto, configurata, nella fattispecie, l’ipotesi di “motivazione apparente”, vale a dire una delle figure ritenute manifestazione di violazione di legge costituzionalmente rilevante sotto il profilo della esistenza della motivazione (Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014).

Invero, fermo restando che i rifiuti speciali possono essere assimilati o meno a quelli urbani a seconda delle previsioni regolamentari che li disciplinano, la dichiarazione di non assimilazione dei rifiuti speciali non pericolosi a quelli urbani, prevista dal D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, art. 21, comma 2, presuppone necessariamente la concreta individuazione delle caratteristiche, non solo qualitative, ma anche quantitative dei rifiuti stessi, poichè l’impatto igienico ed ambientale di un materiale di scarto non può essere valutato a prescindere dalla sua quantità (Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 18018 del 24/07/2013; Cass. Sez. 5, Sentenza n. 9631 del 13/06/2012; Sez. 5, Sentenza n. 30719 dei 30/12/2011). A tal punto che la semplice inclusione nel regolamento comunale di categorie di locali astrattamente idonei a produrre rifiuti speciali, non specificati per qualità e quantità, non vale ad integrare la vera e propria dichiarazione di assimilabilità (Sez. 5, Sentenza n. 12752 del 02/09/2002).

Senza tralasciare che in nessun passaggio motivazionale la CTR ha esplicitato se i rifiuti, pur qualificati speciali, debbano essere equiparati a quelli assimilabili o meno nè ha operato un riferimento alla previsione regolamentare del Comune di Porcari. Ciò assume rilevanza se si considera che ai Comuni è riconosciuta, dal D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 62, comma 3, la facoltà, di individuare, ai fini della determinazione della superficie non tassabile, categorie di attività produttive di rifiuti speciali, tossici o nocivi, alle quali applicare una percentuale di riduzione rispetto all’intera superficie su cui l’attività viene svolta (in particolare, specificando le categorie di attività produttive dei predetti rifiuti assimilabili a quelle produttive di rifiuti ordinari; cfr. Sez. 5, Sentenza n. 10548 del 28/04/2017).

E’ opportuno in proposito ricordare che l’istituzione, ad opera del D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, art. 49, della tariffa per la gestione dei rifiuti urbani, in sostituzione della tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani (TARSU), ha fatto venir meno l’assimilazione ope legis dei rifiuti speciali a quelli urbani (disposta dalla L. 26 febbraio 1994, n. 146, art. 39, che aveva abrogato il D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507, art. 60), sicchè, in base alla disciplina desumibile dal D.Lgs. 22 del 1997, artt. 7,10 e 21, (applicabile anche alle annualità di imposta in oggetto), per ottenere la non tassazione non è sufficiente affermare che si tratti di rifiuti speciali, essendo necessario che tali rifiuti non siano assimilati a quelli urbani per delibera comunale.

2. Con il secondo motivo la ricorrente lamenta la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. 5febbraio 1997, n. 22, artt. 21e 49, comma 14, (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per aver la CTR frainteso, senza fornire alcuna motivazione, il quadro normativo sotteso alla TIA, riconoscendo, in presenza di rifiuti assimilati a quelli urbani, un esonero totale dalla parte variabile della tariffa, anzichè una riduzione della stessa in proporzione alle quantità di rifiuti avviati al recupero.

2.1. Il motivo resta assorbito nell’accoglimento del precedente.

3. Con il terzo motivo la ricorrente si duole della violazione o falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 3, e della L. n. 133 del 1999, art. 6, comma 13, e del D.M. 24 ottobre 2000, n. 370, con riferimento al mancato assoggettamento ad IVA della TIA (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3).

3.1. Il motivo è infondato.

Anche di recente questa Corte, con argomentazioni condivise e non suscettibili di revisione critica, ha ribadito che la tariffa di igiene ambientale (TIA), per il periodo antecedente all’entrata in vigore del D.Lgs. n. 3 aprile 2006, n. 152, ha natura tributaria, attesa l’assenza di un rapporto di corrispettività, proprio del meccanismo di commisurazione del tributo secondo la disciplina prevista dal D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, art. 49, sicchè non è assoggettabile ad IVA, che mira a colpire la capacità contributiva e si manifesta – in linea con la previsione di cui al D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 3, – quando si acquisiscono beni o servizi versando un corrispettivo quale controvalore effettivo del servizio prestato (ex multis: Cass., sez. 5, 2/03/2012, n. 3293, Rv. 621524 – 01; Cass., sez. 5, 9/03/2012, n. 3756, Rv. 621910 – 01, Cass. Sez. 5, 13/04/2012, n. 5831, Rv. 621911 -01; Cass. sez. 6-5, 10/03/2015, n. 4723, Rv. 635064 – 01). L’orientamento è stato definitivamente consacrato nella pronuncia a Sezioni Unite n. 5078 del 15/03/2016, a tenore della quale la tariffa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani, istituita dal D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 49, oggi abrogato, avendo natura tributaria, non è assoggettabile all’IVA, che mira a colpire la capacità contributiva insita nel pagamento dèl corrispettivo per l’acquisto di beni o servizi e non in quello di un’imposta, sia pure destinata a finanziare un servizio da cui trae beneficio il medesimo contribuente.

Del resto, già in precedenza, come evidenziato anche dall’ordinanza della Corte Cost. n. 64 del 2010 ed avallato da questa Corte con la sentenza a Sezioni Unite n. 25929 del 05/12/2011 (che superava la precedenza impostazione avallata da SU n. 13894/2009) e con pronuncia di questa Sezione n. 3756 del 09/03/2012, tale tariffa non era considerata una entrata patrimoniale di diritto privato, ma una mera variante della TARSU, disciplinata dal D.P.R. 15 novembre 1993, n. 507, di cui conservava la qualifica di tributo.

Parimenti, non è revocabile in dubbio che la tariffa di cui al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 238, (“Tariffa per la gestione dei rifiuti urbani”, poi denominata “Tariffa Integrata Ambientale”, cd. TIA2), come interpretata dal D.L. n. 78 del 2010, art. 14,comma 33, conv., con modif., dalla L. n. 122 del 2010, ha natura privatistica ed è, pertanto, soggetta ad IVA ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 1,3,4, commi 2 e 3. In quest’ottica, Sez. 3, Ordinanza n. 16332 del 21/06/2018 ha cassato con rinvio la sentenza con la quale il giudice d’appello aveva ritenuto assimilabile alla TIA1 – tariffa di natura tributaria disciplinata dal D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 49, – e, dunque, non assoggettabile ad IVA, la tariffa integrata ambientale introdotta dal D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 238, cd. TIA2, adottata da un Comune nell’esercizio della facoltà concessagli dal D.L. n. 208 del 2008, art. 5, comma 2 quater, conv., con modif., dalla L. n. 13 del 2009, a decorrere dal 30 giugno 2010.

Nel caso di specie, poichè gli atti di accertamento si riferiscono agli anni dal 2003 al 2007, ratione temporis trova applicazione la tariffa di igiene ambientale (cd. TIA 1) che, per la sua natura privatistica, non è assoggettabile all’IVA ai sensi del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 3.

Per mera completezza espositiva, va sottolineato che il decreto n. 78 del 2010 non ha natura interpretativa della TIA, genericamente intesa, e quindi non può ritenersi riferibile (retroattivamente) anche alla TIA1, nei casi in cui, ancorchè soppressa, ha continuato a trovare applicazione da parte dei Comuni (almeno fino al 2010). Chiarissimo è, sul punto, quanto precisato in motivazione da Cass. sez. V, 2/03/2012, n. 3293, Rv. 621524 – 01, e da Cass. sez. V, 2/3/2012, n. 3294(non massimata), nella parte in cui si legge: “è possibile che attraverso la citata norma (D.L. n. 78 del 2010, art. 14,comma 33), la Amministrazione, che ha elaborato il provvedimento, intendesse sottoporre ad IVA le somme versate, in passato, a titolo di TIA (così come si può ricavare dalla Circ. n. 3/DE dell’11 novembre 2010 Min. economia e finanze – Dip. Finanze; mentre la tesi dell’assoggettamento della Tia ad Iva è, ad esempio, esplicitamente enunciata nella Ris. n. 25 I E del 5 febbraio 2003). Si deve, però, costatare che, se questa era l’intenzione, l’intentio legislatoris non si è tradotta in una voluntas legis, cioè in un contenuto normativo adeguato. La stessa circolare 3/DF prende atto della circostanza che il D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 238, crea una “seconda Tia”, destinata a sostituire con il tempo la “prima Tia” nata dal D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, art. 49, (nei medesimi termini è il parere della Corte dei Conti Sezione Piemonte n. 65 dell’11 novembre 2010). E dunque il disposto del D.L., riguarda direttamente solo la “TIA2” e potrebbe essere esteso alla TIA/1 solo ove si ritenesse che ci si trovi di fronte ad una norma di carattere sostanzialmente interpretativo. Ma così non è, perchè la giurisprudenza della Corte Costituzionale e di questa Corte era – come riferito – già al momento della entrata in vigore del D.L. n. 78 del 2010, pacificamente orientata nel senso di ritenere la natura tributaria e non di corrispettivo della TIA1. E dunque la disposizione sulla TIA2 ha carattere innovativo, o – meglio – istituisce una tariffa che nell’intenzione del legislatore dovrebbe essere ontologicamente diversa rispetto alla “prima Tia”. Sulla stessa scia si pone anche Cass., sez. 5, 13/4/2012, Rv. 621911 – 01, la quale parimenti esclude l’assoggettabilità ad Iva della TIA “per il periodo antecedente all’entrata in rigore del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152” (così chiaramente riferendosi alla sola TIA1), precisando che non assume alcun rilievo, per tale periodo, la disposizione interpretativa di cui al D.L. n. 78 del 2010, art. 14, comma 3, convertito in L. n. 122 del 2010, in quanto la stessa, riconoscendo la natura non tributaria della tariffa soltanto con riferimento alla disciplina di cui al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 238, costituisce un chiaro indice della volontà di non incidere sul diritto vivente (formatosi sulla TIA1) fino alla data di entrata in vigore del medesimo testo normativo.

4. In definitiva, il ricorso merita di essere accolto con riferimento al primo motivo, laddove il secondo resta assorbito nell’accoglimento del primo ed il terzo motivo va rigettato.

L’accoglimento del predetto motivo determina la cassazione della sentenza impugnata, con rinvio della causa, anche ai fini delle spese del presente grado di giudizio, alla CTR Toscana in diversa composizione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo, dichiara assorbito il secondo, rigetta il terzo, cassa la sentenza impugnata con riferimento al motivo accolto e rinvia la causa, anche per le spese del presente grado di giudizio, alla CTR Toscana in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della V Sezione civile della Corte suprema di Cassazione, il 8 febbraio 2019.

Depositato in Cancelleria il 24 maggio 2019

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