LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DE MASI Oronzo – Presidente –
Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere –
Dott. CROLLA Cosmo – Consigliere –
Dott. BALSAMO Milena – Consigliere –
Dott. PENTA Andrea – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 19545/2015 proposto da:
ASCIT – Servizi Ambientali S.p.A., in persona del Presidente e legale rappresentante pro tempore, Dott. G.G.M., con sede in ***** (C.F. e P. IVA *****), rappresentata e difesa nel giudizio dall’Avv. Baldacci Gianluca (C.F.: BLDGLC61P10D815) ed elettivamente domiciliata presso lo studio dello stesso, in Roma alla Piazza dell’Emporio n. 16/A, come da procura speciale in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
FLORY CART. DI G. S.R.L. in liquidazione e in concordato preventivo (già FLORY CART. DI G. & C. S.N.C.), in persona del Liquidatore Giudiziale Dott. M.G. (C.F.:
*****), e del legale rappresentante in carica G.S.
(C.F.: *****), con sede in ***** (P. IVA *****), rappresentata e difesa dall’Avv. LAI Michele (C.F.:
LAIMHL64C24D612S) del Foro di Firenze ed elettivamente domiciliata presso il suo studio in Firenze, al Viale Giovanni Amendola n. 20, come da mandato a margine del controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 959/9/2014 emessa dalla CTR di Firenze in data 14/05/2014 e non notificata;
udita la relazione della causa svolta all’udienza camerale dell’8/2/2019 dal Consigliere Dott. Penta Andrea;
udite le conclusioni rassegnate dal Procuratore Generale Dott. Pedicini Ettore nel senso del rigetto;
udite le conclusioni rassegnate dall’Avv. Guizzi Giuseppe, per delega dell’Avv. Baldacci Gianluca, per la ricorrente, nel senso dell’accoglimento, e dall’Avv. Lai Michele, per la resistente, nel senso del rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
A seguito della sentenza di questa Corte n. 3765/2012, che ha cassato, con rinvio ad altra sezione, la sentenza n. 78/1/10 pronunciata dalla Commissione Tributaria Regionale di Firenze, proponeva ricorso in riassunzione il ricorrente Flory Cart. di G. e C. S.n. c.. La Suprema Corte, nella menzionata sentenza, aveva stabilito che: “la chiusura del procedimento di adesione, prima dei decorso del termine di 90 giorni previsto dal corrispondente D.Lgs. n. 218 del 1997, art. 6, non comporta la rinuncia del contribuente a giovarsi della sospensione dei termini di impugnazione concessa a coloro che si avvalgono della procedura in questione (Cass. n. 15170/2006) … la redazione del verbale di mancato accordo, pur risolvendosi in una presa d’atto del mancato raggiungimento dell’accordo, non può essere equiparato a definitiva rinuncia del contribuente all’istanza di accertamento con adesione. Conseguenza logica è che al medesimo verbale, proprio in quanto privo di attitudine definitoria rispetto alla sorte del procedimento amministrativo di adesione, non può attribuirsi alcuna funzione ostativa rispetto alla ratio della (perdurante) sospensione del termine di impugnazione dell’avviso di accertamento …”.
Il giudice di rinvio era, pertanto, chiamato ad esaminare il ricorso proposto in appello dalla società ricorrente, con il quale la stessa aveva richiesto l’annullamento delle cartelle emesse dall’Ascit, che, dal canto suo, aveva richiesto la reiezione del gravame.
Con sentenza del 14.5.2014, la C.T.R. di Firenze, in accoglimento parziale dell’appello, dichiarava non dovute la parte variabile della TIA (nè le sanzioni e gli interessi), relativamente alle superfici produttive di rifiuti speciali non assimilabili, e VIVA, sulla base, per quanto qui ancora rileva, delle seguenti considerazioni:
1) premesso che l’esonero dalla privativa comunale, previsto in caso di comprovato avviamento al recupero dal Decreto Ronchi, art. 21, comma 7, determina non già la riduzione della superficie tassabile, prevista dal D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 62, comma 3, per il solo caso di produzione di rifiuti speciali (non assimilabili o non assimilati), bensì il diritto ad una riduzione tariffaria determinata in concreto – a consuntivo – in base a criteri di proporzionalità rispetto alla quantità effettivamente avviata al recupero, la società appellante, aveva dimostrato di aver smaltito nell’anno in esame unicamente rifiuti speciali non assimilabili;
2) inoltre, dagli atti di causa risultava che la società aveva dichiarato e dimostrato per gli anni in esame (attraverso MUD prodotti, peraltro contestati solo genericamente dall’Ascit) di aver prodotto rifiuti speciali e di averne provveduto a propria cura allo smaltimento, così come previsto dalla legge;
3) pertanto per le aree suddette, posto che il ricorrente era tenuto in ogni caso al contributo fisso, ma solo a quello, non era obbligato a corrispondere, sulle superfici di riferimento, quello variabile;
4) per ciò che riguardava, invece, la debenza dell’IVA, il problema era stato recentemente risolto dalla Suprema Corte (Sez. 5, Sentenza n. 3756 del 2012), che aveva escluso l’applicazione dell’IVA, avuto riguardo alla natura tributaria dell’IVA, riconosciuta dalla Corte costituzionale con le decisioni n. 238 del 2009 e n. 64 del 2010 e confermate dalla Suprema Corte con le decisioni nn. 14903/2010 e 25929/2011;
5) in definitiva, non erano dovuti l’Iva, nonchè le sanzioni applicate e gli interessi.
Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso la Ascit – Servizi Ambientali s.p.a., sulla base di otto motivi. La Flory Cart. di G. s.n.c. ha resistito con controricorso.
In prossimità dell’udienza, la ricorrente ha depositato memorie illustrative ex art. 378 c.p.c..
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Preliminarmente, destituita di fondamento è l’eccezione della ricorrente di tardività del ricorso originario della contribuente n. 349/06 (pagg. 4143 del ricorso), formata sul rilievo secondo cui, in ordine al profilo della possibilità di cumulare la sospensione dei termini di impugnazione di 90 giorni prevista dal D.Lgs. n. 218 del 1997, art. 6, con quella del periodo feriale, non si sarebbe formato il giudicato, a seguito della pronuncia di cassazione con rinvio emessa nel 2012.
Invero, da un lato, la ricorrente non ha dedotto e, tanto meno, dimostrato di aver reiterato l’eccezione di tardività nel corso del giudizio di rinvio e, dall’altro lato, non ha attestato di aver denunciato sin da subito la intempestività dell’avverso ricorso anche sulla base del profilo nella presente sede denunciato.
Di contro, dalla esposizione dei motivi contenuta nella sentenza n. 3765/20012 di questa Corte si desume che nessuna censura in tal senso era stata formulata in quella sede. In osservanza del principio di autosufficienza, la ricorrente avrebbe dovuto trascrivere i motivi di impugnazione sollevati con il ricorso per cassazione, vieppiù se si considera che ha sostenuto (cfr. pag. 41 del ricorso) di aver sollevato già in quella sede il “diverso profilo” sul quale la S.C. non si sarebbe, però, pronunciata.
Del resto, la riassunzione della causa – a seguito di cassazione con rinvio della sentenza – dinanzi al giudice di rinvio instaura, come è noto, un processo chiuso, nel quale è preclusa alle parti, tra l’altro, ogni possibilità di proporre nuove domande, eccezioni, nonchè conclusioni diverse, salvo che queste, intese nell’ampio senso di qualsiasi attività assertiva o probatoria, siano rese necessarie da statuizioni della sentenza della Cassazione. Conseguentemente, nel giudizio di rinvio non possono essere proposti dalle parti, nè presi in esame dal giudice, motivi di impugnazione diversi da quelli che erano stati formulati nel giudizio di appello conclusosi con la sentenza cassata e che continuano a delimitare, da un lato, l’effetto devolutivo dello stesso gravame e, dall’altro, la formazione del giudicato interno.
D’altra parte, essendo stata sollevata dinanzi ai giudici di legittimità proprio la questione concernente la tempestività o meno dell’impugnazione degli avvisi di accertamento, ogni aspetto nella stessa ricompreso deve ritenersi definitivamente ed irreversibilmente risolto.
2. Con il primo motivo la ricorrente deduce la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, artt. 7, 21 e 49, della Delib. Comitato interministeriale 27 luglio 1984, delle Delib. del Comune di Capannori n. 65 del 29 maggio 1998, n. 11 del 20 febbraio 2001, n. 28 del 13 aprile 2004, nonchè dei Regolamenti del medesimo Comune “in vigore tempo per tempo con riferimento ai distinti periodi di accertamento” (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per aver la CTR accolto il ricorso nonostante ASCIT avesse già escluso la parte variabile con riferimento agli avvisi di accertamento anteriori alla delibera di assimilazione dei rifiuti del 2004 e per aver, con riferimento agli avvisi successivi alla detta delibera di assimilazione, riconosciuto una esenzione totale delle superfici dalla quota variabile, nonostante i rifiuti prodotti dalla contribuente fossero tutti rifiuti speciali assimilati.
2.1. Il motivo è inammissibile.
In primo luogo, in violazione del principio di specificità e dell’art. 369 c.p.c., comma 1, n. 4), la ricorrente ha omesso, da un lato, di trascrivere, almeno nei suol passaggi maggiormente significativi, e, dall’altro, di depositare unitamente al ricorso la documentazione (avuto particolare riguardo ai codici dei rifiuti) di parte avversa dalla quale (cfr. pag. 22 del ricorso) si sarebbe dovuto desumere, con riferimento agli anni 2004 e 2005, la natura di rifiuti speciali assimilati (e, come tali, suscettibili, quanto alla quota variabile, solo di riduzione dell’imposta in proporzione alle quantità di rifiuti effettivamente avviate al recupero mediante aziende specializzate) di quelli prodotti dalla contribuente.
Del resto, si sarebbe rilevato inutile l’analisi dei codici dei rifiuti (la cui omissione, invece, è stata denunciata dalla ricorrente alle pagg. 22-23 del ricorso), atteso che dagli stessi è possibile evincere la qualità dei rifiuti, e giammai la loro quantità.
2.2. Parimenti, con riferimento all’asserita incompletezza dei dati contenuti nei MUD (cfr. pagg. 24-25 del ricorso), la ricorrente, ancora in violazione del principio di autosufficienza, ha altresì omesso di trascrivere i MUD prodotti da controparte e financo di localizzarli, onde attestarne l’incompletezza e porre questa Corte nelle condizioni di verificare la fondatezza o meno dell’assunto.
D’altra parte, la contribuente non avrebbe dovuto fornire, come invece sostenuto dalla ricorrente (cfr. pagg. 23-24 del ricorso), la prova della quantità di rifiuti effettivamente avviata al recupero, prova richiesta (al fine di consentire il calcolo della riduzione) solo con riferimento ai rifiuti speciali assimilabili a quelli urbani.
2.3. Sempre in violazione del menzionato principio, la ricorrente ha omesso di trascrivere, nei loro passaggi salienti, gli avvisi di accertamento, dai quali, secondo il suo assunto (cfr. pag. 20 del ricorso), si sarebbe dovuto evincere che, con riferimento agli anni 2001, 2002 e 2003, già non aveva applicato la quota variabile alle aree che godevano dell’esonero (siccome utilizzate per produrre unicamente rifiuti speciali non assimilabili nè assimilati).
Avuto riguardo a quest’ultima censura, del resto, fermo restando che non sarebbe configurabile un vizio di violazione di legge (ma, semmai, un omesso esame di un fatto decisivo, da denunciare ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), la CTR si è limitata ad annullare gli atti di accertamento impugnati nella parte in cui avevano applicato alle superfici produttive dell’opificio industriale della Flort Cart. s.r.l. la quota variabile della tariffa TIA. Da ciò consegue che l’Ascit avrebbe l’obbligo di conteggiare nuovamente l’imposta detraendo, quanto alla quota variabile, le superfici esenti.
Senza tralasciare che, non essendovi cenno della doglianza nel corpo della sentenza impugnata, la ricorrente avrebbe dovuto indicare con precisione in quale fase e con quale atto processuale avesse sollevato la questione, dapprima in primo grado e poi in sede di gravame.
3. Con il secondo motivo l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), per non aver la CTR considerato che la società contribuente non aveva assolto l’onere di provare di aver prodotto rifiuti speciali non assimilabili e di aver nel periodo in esame smaltito gli stessi.
3. Il motivo è inammissibile.
Invero, anche a voler prescindere dalla contraddizione palese esistente tra la rubrica (in cui si indica come fatto decisivo non esaminato la natura dei rifiuti) e lo sviluppo argomentativo (in cui si espone, di fatto, il mancato assolvimento dell’onere probatorio gravante sulla contribuente), entrambe le circostanze di fatto dedotte (la qualità dei rifiuti speciali prodotti e l’avvenuto loro smaltimento) sono state debitamente prese in considerazione dalla CTR, come, peraltro, evidenziato dalla stessa ricorrente (cfr. i passaggi motivazionali riportati alle pagg. 26-27 del ricorso) e, comunque, risulta dalla sentenza impugnata (cfr. pag. 3, in cui i giudici di secondo grado hanno valorizzato, a tal fine, i modelli MUD depositati in giudizio dalla Flory Cart. s.r.l., dai quali era possibile ricavare la tipologia ed il quantitativo di rifiuti prodotti).
A ben vedere, la censura sollecita una rivalutazione del materiale probatorio, preclusa nella presente sede.
4. Con il terzo motivo la ricorrente si duole della radicale assenza di motivazione (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per aver la CTR affermato, senza render conto del procedimento logico sottostante, che la contribuente aveva dimostrato di aver prodotto rifiuti speciali, nonostante la sua contestazione circa l’assenza di qualsiasi documentazione attestante la produzione di rifiuti non assimilati.
4.1. Il motivo è inammissibile.
Invero, premesso che il vizio di assenza della motivazione va denunciato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 (cfr., di recente, Sez. 6 L, Ordinanza n. 16611 del 25/06/2018), e non già in base al n. 3 della stessa disposizione, con motivazione sia pure succinta (cfr. pag. 3 della sentenza impugnata) la CTR ha affermato di aver desunto la prova della natura dei rifiuti speciali prodotti e dell’avvenuto loro smaltimento a cura e spese della contribuente dai MUD prodotti da quest’ultima, “peraltro contestati solo genericamente dall’appellata Ascit”.
Senza tralasciare che, proprio alla luce di quest’ultimo rilievo dei giudici di merito, la ricorrente avrebbe dovuto trascrivere, almeno nei loro passaggi maggiormente significativi, le contestazioni (eventualmente analitiche) formulate sul punto.
In seguito alla riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012, non è più deducibile quale vizio di legittimità il semplice difetto di sufficienza della motivazione, pur non sottraendosi i provvedimenti giudiziari all’obbligo di motivazione previsto in via generale dall’art. 111 Cost., comma 6, e, nel processo civile, dall’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4. Tale obbligo, tuttavia, è violato solo qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero essa risulti del tutto inidonea ad assolvere alla funzione specifica di esplicitare le ragioni della decisione (per essere afflitta da un contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili oppure perchè perplessa ed obiettivamente incomprensibile) e, in tal caso, si concreta una nullità processuale deducibile in sede di legittimità ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.
Nel caso di specie, per le ragioni esposte in precedenza, non potrebbe, in particolare, configurarsi l’ipotesi di “motivazione apparente”, vale a dire una delle figure ritenute manifestazione di violazione di legge costituzionalmente rilevante sotto il profilo della esistenza della motivazione (Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014). Invero, la CTR ha affermato che la contribuente, sulla base della documentazione prodotta (MUD prodotti, peraltro contestati solo genericamente dall’Ascit), aveva dimostrato di aver smaltito nell’anno in esame unicamente rifiuti speciali non assimilabili e di averne provveduto a propria cura allo smaltimento, così come previsto dalla legge.
5. Con il quarto motivo la ricorrente deduce l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), per non aver la CTR considerato che mancava agli atti la documentazione necessaria a dar diritto alla riduzione della quota variabile in presenza di rifiuti speciali assimilati.
5.1. Il motivo è infondato.
Fermo restando che, alla luce dell’attuale formulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014), la CTR ha indicato espressamente, quale documentazione presa in considerazione ai fini della natura dei rifiuti e del loro smaltimento, i MUD prodotti (cfr. pag. 3 della sentenza). D’altra parte, il presupposto dal quale muove il ragionamento logico della ricorrente è errato, atteso che la CTR ha qualificato i rifiuti prodotti dalla contribuente come non assimilabili a quelli urbani.
6. Con il quinto motivo la ricorrente lamenta la violazione dell’art. 394 c.p.c. e D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 57,58 e 63 (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), per aver la CTR preso in considerazione il “profilo riepilogativo delle superfici”, nonostante il documento fosse stato prodotto dalla contribuente solo nel costituirsi nel giudizio riassunto (vale a dire, nel corso del giudizio di rinvio).
6.1. Il motivo è inammissibile.
E’ consolidato il principio per cui nel giudizio di rinvio, configurato dall’art. 394 c.p.c. quale giudizio ad istruzione sostanzialmente “chiusa”, è preclusa l’acquisizione di nuove prove, e segnatamente la produzione di nuovi documenti, salvo che la loro produzione non sia giustificata da fatti sopravvenuti riguardanti la controversia in decisione, da esigenze istruttorie derivanti dalla sentenza di annullamento della Corte di cassazione o dall’impossibilità di produrli in precedenza per causa di forza maggiore (v., di recente, Sez. 6-5, Ordinanza n. 26108 del 18/10/2018). Pur tuttavia, il motivo si rivela inammissibile per carenza di interesse in capo alla ricorrente, atteso che dalla motivazione resa dalla CTR non si evince da alcun passaggio logico che la stessa abbia valorizzato, al fine di decidere, il documento tardivamente prodotto in giudizio dalla contribuente. A conferma indiretta di ciò vi è la circostanza cha la CTR non ha specificato quali fossero le superfici oggetto dell’esenzione dalla quota variabile della TIA (circostanza, appunto, desumibile dal detto documento).
7. Con il sesto motivo la ricorrente deduce la violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), per aver la CTR posto a suo carico integralmente le spese di lite, nonostante nella fattispecie fosse configurabile una soccombenza ripartita.
7.1. Il motivo è inammissibile e, comunque, infondato.
Invero, fermo restando che la liquidazione delle spese processuali rientra nei poteri discrezionali del giudice del merito, potendo essere denunziate in sede di legittimità solo violazioni del criterio della soccombenza o liquidazioni che non rispettino le tariffe professionali (cfr., fra le tante, Sez. 1, Sentenza n. 14542 del 04/07/2011), si configura la violazione del precetto di cui all’art. 91 c.p.c. (peraltro da denunciare ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, e non del n. 4) ogni qualvolta il giudice ponga, anche parzialmente, le spese di lite a carico della parte risultata totalmente vittoriosa (Sez. 3, Sentenza n. 12963 del 04/06/2007), e non già allorquando le ponga a carico della parte della parte soccombente, sia pure in accoglimento di una domanda subordinata proposta dalla controparte e reputando infondate alcune delle censure sollevate dalla stessa.
Pertanto, esula dal sindacato di legittimità e rientra nei poteri discrezionali del giudice di merito la valutazione della opportunità della compensazione, totale o parziale, delle spese processuali, essendo la statuizione sulle spese adottata dal giudice di merito sindacabile in sede di legittimità nei soli casi di violazione del divieto, posto dall’art. 91 c.p.c., di porre anche parzialmente le spese a carico della parte vittoriosa o nel caso di compensazione delle spese stesse fra le parti adottata con motivazione illogica o erronea (Sez. 1, Sentenza n. 3272 del 07/03/2001; conf. Sez. 3, Sentenza n. 2397 del 31/01/2008 e Sez. 5, Sentenza n. 20457 del 06/10/2011).
Non pertinente è il precedente di questa Corte richiamato dalla ricorrente a sostegno della propria tesi a pagina 33 del ricorso, atteso che lo stesso si riferisce alla del tutto difforme ipotesi della valutazione, ai fini del governo sulle spese processuali, frazionata dell’esito delle varie fasi del giudizio, anzichè, come occorrerebbe fare, unitaria dell’esito finale della lite.
D’altra parte, anche il paventato vizio motivazionale non sarebbe configurabile, se solo si considera che, in tema di spese processuali, solo la compensazione dev’essere sorretta da motivazione, e non già l’applicazione della regola della soccombenza cui il giudice si sia uniformato, atteso che il vizio motivazionale ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, ove ipotizzato, sarebbe relativo a circostanze discrezionalmente valutabili e, perciò, non costituenti punti decisivi idonei a determinare una decisione diversa da quella assunta (Sez. 2, Sentenza n. 2730 del 23/02/2012).
8. Con il settimo motivo la ricorrente denuncia la violazione dell’art. 112 c.p.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), per aver la CTR riconosciuto l’esonero dalla quota variabile in difetto di una specifica domanda sul punto, laddove la contribuente si era limitata a chiedere, peraltro in via subordinata, solo la riduzione proporzionale della stessa.
8.1. Il motivo è infondato.
In termini generali, il principio della corrispondenza fra il chiesto ed il pronunciato, la cui violazione determina il vizio di ultrapetizione, implica unicamente il divieto, per il giudice, di attribuire alla parte un bene non richiesto o, comunque, di emettere una statuizione che non trovi corrispondenza nella domanda, ma non osta a che il giudice renda la pronuncia richiesta in base ad una ricostruzione dei fatti di causa autonoma rispetto a quella prospettata dalle parti. Tale principio deve quindi ritenersi violato ogni qual volta il giudice, interferendo nel potere dispositivo delle parti, alteri alcuno degli elementi obiettivi di identificazione dell’azione (petitum e causa petendi), attribuendo o negando ad alcuno dei contendenti un bene diverso da quello richiesto e non compreso, nemmeno implicitamente o virtualmente, nella domanda, ovvero, pur mantenendosi nell’ambito del petitum, rilevi d’ufficio un’eccezione in senso stretto che, essendo diretta ad impugnare il diritto fatto valere in giudizio dall’attore, può essere sollevata soltanto dall’interessato, oppure ponga a fondamento della decisione fatti e situazioni estranei alla materia del contendere, introducendo nel processo un titolo (causa petendi) nuovo e diverso da quello enunciato dalla parte a sostegno della domanda.
Alla stregua dei passaggi degli atti introduttivi del giudizio di primo grado e di quello di rinvio trascritti dalla ricorrente (cfr. pagg. 34-35 del ricorso), la domanda di esonero integrale dalla quota variabile (e, quindi, di riduzione della superficie tassabile), per essersi in presenza di rifiuti non assimilabili a quelli urbani, è implicitamente ricompresa in quella (proposta incontestabilmente sin dal primo grado di giudizio), subordinata (rispetto alla principale richiesta di annullamento degli atti di accertamento impugnati), finalizzata ad ottenere la rideterminazione dell’importo della TIA dovuta “in base all’area effettivamente assoggettabile”.
9. Con l’ottavo ed ultimo motivo la ricorrente denunzia la violazione o falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 3e L. n. 133 del 1999, art. 6, comma 13, e del D.M. 24 ottobre 2000, n. 370 (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per aver la CTR escluso che la TIA 1 fosse assoggettabile ad IVA.
9.1. Il motivo è infondato.
Anche di recente questa Corte, con argomentazioni condivise e non suscettibili di revisione critica, ha ribadito che la tariffa di igiene ambientale (TIA), per il periodo antecedente all’entrata in vigore del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152 (nel caso di specie, gli atti di accertamento si riferiscono agli anni 2001, 2002, 2003, 2004 e 2005), ha natura tributaria, attesa l’assenza di un rapporto di corrispettività, proprio del meccanismo di commisurazione del tributo secondo la disciplina prevista dal D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, art. 49, sicchè non è assoggettabile ad IVA, che mira a colpire la capacità contributiva e si manifesta – in linea con la previsione di cui al D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 3, quando si acquisiscono beni o servizi versando un corrispettivo quale controvalore effettivo del servizio prestato (Sez. 6 – 5, Sentenza n. 4723 del 10/03/2015). L’orientamento è stato definitivamente consacrato nella pronuncia a Sezioni Unite n. 5078 del 15/03/2016, a tenore della quale la tariffa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani, istituita dal D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 49, oggi abrogato, avendo natura tributaria, non è assoggettabile all’IVA, che mira a colpire la capacità contributiva insita nel pagamento del corrispettivo per l’acquisto di beni o servizi e non in quello di un’imposta, sia pure destinata a finanziare un servizio da cui trae beneficio il medesimo contribuente.
Del resto, già in precedenza, come evidenziato anche dall’ordinanza della Corte costituzionale n. 64 del 2010 ed avallato da questa Corte con la sentenza a Sezioni Unite n. 25929 del 05/12/2011 (che superava la precedenza impostazione avallata da SU n. 13894/2009) e con pronuncia di questa Sezione n. 3756 del 09/03/2012, si era escluso che tale tariffa costituisse una entrata patrimoniale di diritto privato, reputandola, invece, una mera variante della TARSU, disciplinata dal D.P.R. 15 novembre 1993 n. 507, di cui conservava la qualifica di tributo.
10. In conclusione, il ricorso non merita di essere accolto.
Le spese del presente grado di giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
Ricorrono i presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), per il raddoppio del versamento del contributo unificato.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso, in favore della resistente, delle spese del presente grado di giudizio, che liquida in complessivi Euro 4.100,00, oltre spese forfettarie ed accessori di legge. Dichiara la parte ricorrente tenuta al versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della V Sezione civile della Corte suprema di Cassazione, il 8 febbraio 2019.
Depositato in Cancelleria il 24 maggio 2019