LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –
Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –
Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –
Dott. SAIJA Salvatore – Consigliere –
Dott. GHITTI Italo Mario – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso iscritto ai n. 15642 /15 e 15647/15 R.G. proposti da:
COMMERCIALE CAMPANA S.R.L. in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avv. Antonio Cioffi e dall’Avv. Felice Laudadio, presso il cui studio la società è elettivamente domiciliata in Roma via G.G. Belli n. 39;
– ricorrente –
contro
AGENZIA DELLE DOGANE E DEI MONOPOLI in persona del Direttore pro tempore, rappr. e difesa ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato presso i cui uffici è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi 12,
– controricorrente –
Avverso la sentenza n. 10815, emessa dalla Commissione Tributaria Regionale della Campania, Sez. Staccata di Salerno, in data 10/11/2014 e depositata il 11/12/2014;
Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 13/3/2019 dal Consigliere Italo Mario Ghitti;
Udito l’Avv. Giovanni Palatiello per l’Avvocatura Generale dello Stato;
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Mastroberardino Paola, che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità o in subordine il rigetto del ricorso.
FATTI DI CAUSA
La Commerciale Campana s.r.l. aveva presentato all’Autorità Doganale di Salerno le bollette doganali relative all’importazione di “calzature con suole esterne di materie plastiche e con tomaie di materie tessili” e “calzature e suole esterne in materia plastica”.
A seguito di attività di verifica e controllo e l’instaurazione di contraddittorio, l’Agenzia delle Dogane – Ufficio di ***** notificava, in data 3/5/2012, alla citata società un avviso di rettifica dell’accertamento (n. *****), inerente la bolletta ***** del giorno 11/4/2011. Con tale avviso di rettifica, l’Ufficio aveva ritenuto che non fossero state fornite idonee giustificazioni in merito alla mancata partecipazione alla comunicazione 13/4/2012 nè comunicate ulteriori notizie al riguardo.
Non considerando congruo il valore dichiarato al pezzo dei prodotti acquistati dalla Cina in relazione al valore medio estrapolato dalla banca dati ” MERCE”, sulla base dell’art. 78 Reg.(CE) n. 2913/92 e Reg.(CE) n. 2454/93 e successive modificazioni e integrazioni, l’Ufficio lo rideterminava accertando la maggior somma dovuta per diritti doganali pari ad Euro 9.372,42, oltre interessi maturati e spese postali. Avverso il predetto atto impositivo la società proponeva ricorso alla CTP di Salerno che, con sentenza 215/15/2013, lo rigettava.
L’appello proposto da Commerciale Campana s.r.l. contro la decisione veniva respinto dalla CTR della Campania sezione staccata di Salerno con sentenza pronunciata il 10 novembre 2014 e depositata il giorno 11 dicembre 2014.
Commerciale Campana S.R.L. ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza della CTR deducendo cinque motivi.
L’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli resiste con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
In via preliminare va rilevato che avverso la sentenza n. 10815 della CTR della Campania, Sezione Staccata di Salerno, risulta proposto un secondo ricorso, rubricato al numero 15647/15 R.G.; ai sensi dell’art. 335 c.p.c. tale secondo ricorso va riunito al presente, rubricato al numero 15642/15 R.G..
In via generale va rilevato che la ricorrente opera, in tutti i motivi dedotti, una inestricabile mescolanza e sovrapposizione di ragioni eterogenee, riferite indistintamente alle diverse ipotesi contemplate dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5: già sotto tale profilo l’intero ricorso si palesa inammissibile, non potendo essere attribuito a questa Corte il compito di isolare le singole censure teoricamente proponibili, onde ricondurle ad una delle ragioni d’impugnazione enunciate dall’art. 360 c.p.c., per poi ricercare quale o quali disposizioni sarebbero utilizzabili allo scopo, così dando forma e contenuto giuridici alle doglianze del ricorrente, al fine di decidere successivamente su di esse. (Cass. N. 27839/2018; Cass. n. 19443/2011; Cass. 2016 n. 18021/2016; Cass. 2017 n. 27021/2017).
Esaminando poi i singoli motivi sono ravvisabili ulteriori ragioni che depongono per l’inammissibilità degli stessi.
Il primo motivo di ricorso, formulato nei seguenti termini: – Violazione art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, in relazione al D.Lgs. n. 546 del 1992 -, è inammissibile anche perchè confonde il vizio di omessa motivazione con il vizio di omessa pronuncia e lamenta “l’omesso esame” di una serie di questioni che sarebbero state “dedotte in primo e in secondo grado”, senza però precisare se esse abbiano formato oggetto di uno specifico motivo d’appello (ciò che la Corte non può verificare, attesa la mancata allegazione dell’atto al ricorso).
Con il secondo dei motivi prospettati – rubricato violazione dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 in relazione all’art. 29 C.D.C. – violazione dell’art. 181 bis Reg. CEE n. 2454/93 (D.A.C.); omissione, insufficienza, contraddittorietà della motivazione su un punto controverso e decisivo per il giudizio – la società ricorrente sostiene che la norma di cui all’art. 181 bis D.A.C., che stabilisce che la procedura prevista sia attivata dalle Dogane sulla base di un fondato dubbio in ordine alla congruità del valore dichiarato di transazione, ricollegherebbe la conferma del dubbio esclusivamente alla non idoneità della documentazione richiesta all’operatore commerciale; ne conseguirebbe, sempre a dire della ricorrente, che poichè nessun rilievo è stato mosso nei suoi confronti in ordine alla documentazione richiesta ed esibita, vi sarebbe stato un implicito riconoscimento della veridicità dei valori dichiarati, con preclusione di ogni ulteriore e diversa valutazione, invece successivamente effettuata con il ricorso al sistema “M.E.R.C.E.”: il non aver rilevato la illegittimità del ricorso a tale sistema, dato il contenuto delle norme indicate, integrerebbe error in judicando ed error in procedendo da parte della CTR.
Oltre alla natura promiscua delle doglianze dedotte con tale secondo motivo, l’inammissibilità del mezzo deriva anche dalla novità della questione – che presuppone un accertamento in fatto circa la mancanza di contestazioni sulla documentazione esibita e che non risulta essere stata dedotta nei precedenti gradi del giudizio, nonchè dalla nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, applicabile ai ricorsi proposti contro le sentenze pubblicate a partire dal 12 settembre 2012, che riconduce il vizio di motivazione unicamente all’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio.
Il terzo motivo, rubricato: Violazione delle norme dettate dal codice doganale comunitario (Reg. CEE 12 ottobre 1992, n. 2913), dal Reg. CEE 2 luglio 1993 n. 2454 e dalla decisione 94/800/CEE Dec. del Consiglio 22/12/1994 relativo alla conclusione a nome della Comunità Europea per le materie di sua competenza degli accordi negoziati, multilaterali del’Uruguay Round /(1986/1994 in tema di valore in Dogana. Omissione, insufficienza, contraddittorietà della motivazione su un punto controverso e decisivo per il giudizio – è da ritenersi inammissibile, oltre che per le ragioni già in generale indicate, perchè è stato dedotto per la prima volta con il ricorso per cassazione.
Ulteriore, specifica ragione di inammissibilità presenta il quarto motivo – Violazione art. 360 c.p.c., n. 3 e n. 5, in relazione all’art. 3 Reg. CEE n. 2658/87 del 23 luglio 87 e Reg. n. 1832 del 30 aprile 2003 – con il quale la ricorrente, individuando erroneamente nell’omesso esame di deduzioni difensive un vizio di omessa pronuncia, da una lato lamenta infondatamente (stante l’espresso rigetto del relativo motivo d’appello) che la CTR non abbia esaminato “la questione” concernente l’illegittima rideterminazione del valore dei prodotti importati mediante l’utilizzazione del sistema ” M.E.R.C.E.” e, dall’altro, non specifica quale sia il fatto decisivo e controverso che, ove considerato dal giudice di seconde cure, avrebbe condotto ad un diverso esito della controversia.
Il quinto motivo – con il quale la ricorrente lamenta la nullità dell’atto impugnato per violazione delle norme del procedimento, del diritto al contraddittorio ed alla difesa – attiene infine ad una questione che non risulta aver formato oggetto della cognizione devoluta al giudice d’appello.
Per tutte le considerazioni precedentemente esposte, il ricorso va dichiarato inammissibile.
Attesa la soccombenza, parte ricorrente deve essere condannata al pagamento delle spese del giudizio di legittimità in favore dell’Agenzia delle Entrate, come liquidate in dispositivo.
Sussistono i requisiti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo dovuto a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 bis.
PQM
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.100,00, oltre spese prenotate a debito e accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente principale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, il 13 marzo 2019.
Depositato in Cancelleria il 24 maggio 2019