LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MAGDA Cristiano – Presidente –
Dott. MANZON Enrico – rel. Consigliere –
Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –
Dott. D’AURIA Giuseppe – Consigliere –
Dott. NOCELLA Luigi – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 24821/2016 R.G. proposto da:
IMMOBILIARE LA MEDUSA srl in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv. Gallo Franco e Carpi Federico, con domicilio eletto presso lo studio del primo in Roma, via Giuseppe Mazzini n. 9/11;
– ricorrente –
contro
Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e difende;
– controricorrente/ricorrente incidentale –
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale dell’Emilia Romagna n. 1780/1/16 del 16 luglio 2015, depositata il 29 giugno 2016.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 12 marzo 2019 dal Consigliere Manzon Enrico.
RILEVATO
Che:
Con sentenza n. 1780/1/16 del 16 luglio 2015, depositata il 29 giugno 2016 la Commissione tributaria regionale dell’Emilia Romagna accoglieva l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate, ufficio locale, avverso la sentenza n. 127/6/12 della Commissione tributaria provinciale di Ferrara che aveva accolto i ricorsi proposti dalla Immobiliare La Medusa srl contro le cartelle esattoriali per II.DD. ed IVA 2005-2006.
La CTR, per ciò che qui rileva, osservava in particolare:
– che non era fondato il motivo del gravame agenziale inerente la questione preliminare processuale di ammissibilità dei ricorsi introduttivi della lite, affermando che, diversamente da quanto sostenuto dall’appellante sin dalle difese di prime cure e disatteso dalla sentenza appellata, l’impugnazione delle cartelle esattoriali per vizi non propri, bensì per vizi dei prodromici avvisi di accertamento, era legittimata dal fatto che difettava la prova della rituale notifica degli stessi;
– nel merito della lite ed in difformità totale rispetto a quanto opinato dai primi giudici, che il quadro indiziario complessivo sul quale si basavano gli atti impositivi impugnati induceva a ritenere fondata in fatto la tesi agenziale dell’inesistenza delle operazioni commerciali (vendita di prodotti per l’edilizia) oggetto delle pretese erariali.
Il giudice tributario di appello in questo senso accertava che la venditrice/fatturante Eurogroup srl si era apparentemente approvvigionata da società facenti capo a V.G., che erano però risultate prive di struttura amministrativa/operativa, sicchè potevano essere considerate società c.d. “cartiere”; che un altro preteso “fornitore” ( Z.L.B.) si era dichiarato mero prestanome, mentre altri “fornitori” indicati nelle fatture avevano escluso ogni rapporto con la società Eurogroup; che vi era una sostanziale coincidenza tra i materiali che Eurogroup aveva contabilizzato in acquisto dalle imprese presunte fornitrici e quelli che aveva poi fatturato in vendita alle società del “Gruppo T.” (di cui faceva pacificamente parte l’appellata), per cui si doveva presumere che si trattasse degli stessi materiali; che conseguentemente si doveva ritenere che Eurogroup in parte utilizzasse le fatture di acquisto fittizie per proprie indebite deduzioni/detrazioni (rispettivamente ai fini delle II.DD. e dell’IVA) ed in parte nettamente prevalente “filtrasse” tali fatture alle società del “Gruppo T.”; che l’assunto era corroborato dalle consonanti dichiarazioni del V. e dello Z., in quanto il primo non era stato in grado di indicare ove fosse la documentazione contabile afferente alle attività delle sue “aziende”, mentre il secondo aveva ammesso di essere un mero prestanome, a copertura della fittizietà dei rapporti commerciali tra Eurogroup e le società da lui rappresentate.
Specifica attenzione la CTR dedicava poi al valore probatorio delle dichiarazioni rese alla GdF da M.S., già dipendente di Eurogroup, affermandone la piena attendibilità e concludeva pertanto per l’adeguato assolvimento da parte dell’Agenzia delle entrate dell’onere probatorio, che le gravava, in ordine alla “inesistenza” soggettiva delle operazioni oggetto delle riprese fiscali.
Avverso la decisione ha proposto ricorso per cassazione la Immobiliare La Medusa srl deducendo sette motivi.
Resiste con controricorso l’Agenzia delle entrate, che altresì propone ricorso incidentale affidato ad un motivo unico.
La ricorrente si è difesa con controricorso al ricorso incidentale ed ha successivamente depositato una memoria.
CONSIDERATO
Che:
Stante la sua evidente pregiudizialità, deve anzitutto trattarsi del del ricorso incidentale dell’Agenzia delle entrate.
Con l’unico motivo dedotto la ricorrente incidentale – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – lamenta la violazione/falsa applicazione dell’art. 145 c.p.c., dell’art. 2697 c.c., del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, poichè la CTR ha ribadito la statuizione della CTP di nullità delle notificazioni degli avvisi di accertamento prodromici alle cartelle esattoriali impugnate, così affermando, in via preliminare processuale, l’ammissibilità dei ricorsi introduttivi della lite.
La censura è inammissibile.
Va ribadito che:
– “In tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste in un’erronea ricognizione da parte del provvedimento impugnato della fattispecie astratta recata da una norma di legge implicando necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta, mediante le risultanze di causa, inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito la cui censura è possibile, in sede di legittimità, attraverso il vizio di motivazione” (ex multis Sez. 5, n. 26110 del 2015);
– più specificamente, “Nel processo tributario, in caso di impugnazione, da parte del contribuente, della cartella esattoriale per l’invalidità della notificazione dell’avviso di accertamento, la Corte di cassazione non può procedere ad un esame diretto degli atti per verificare la sussistenza di tale invalidità, trattandosi di accertamento di fatto, rimesso al giudice di merito, e non di nullità del procedimento, in quanto la notificazione dell’avviso di accertamento non costituisce atto del processo tributario, ma riguarda solo un presupposto per l’impugnabilità davanti al giudice tributario della cartella esattoriale, potendo l’iscrizione a ruolo del tributo essere impugnata solo in caso di mancata o invalida notifica al contribuente dell’avviso di accertamento, a norma dell’abrogato D.P.R. n. 636 del 1972, art. 16, comma 3, e del vigente D.P.R. n. 546 del 1992, art. 19, comma 3” (Cass. n. 18472 del 21/09/2016).
In virtù di questi due principi di diritto risulta perciò fondata l’eccezione della ricorrente di inammissibilità del ricorso incidentale. Passando quindi all’esame del ricorso principale della società contribuente, con il primo motivo – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la ricorrente si duole della violazione/falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, degli artt. 2697 e 2729, c.c., poichè la CTR ha disatteso, per un verso, le regole generali e speciali circa gli oneri probatori gravanti sulle parti in caso di “inesistenza soggettiva” della fatturazione e, per altro verso, i criteri valutativi legali della prova indiziaria.
Con il terzo motivo – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 – la ricorrente denuncia la nullità della sentenza impugnata per violazione/falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c., comma 1, n. 4, del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, affermando la natura “meramente apparente” della motivazione della sentenza medesima con particolare riguardo alla fittizietà soggettiva delle operazioni di cui alle fatture in contesto.
Con il sesto motivo – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – la ricorrente si duole dell’omesso esame di un fatto decisivo discusso tra le parti costituito dalla natura operativa di Eurogroup. Le censure, da esaminarsi congiuntamente per connessione, sono infondate.
Deve infatti affermarsi che il giudice tributario di appello ha fatto corretta applicazione delle norme in materia di oneri probatori e di valutazione delle prove indiziarie circa l’inesistenza soggettiva delle operazioni fatturate oggetto delle riprese fiscali, esponendo argomenti che, pur con varie imprecisioni lessicali e non senza qualche – non decisiva – lacuna, sono comunque rappresentativi di un ragionamento sufficientemente chiaro e conseguenziale.
Non sussistono dunque nè le denunciate violazioni di legge nè i dedotti vizi motivazionali, giacchè al contrario la motivazione della sentenza impugnata risulta soddisfare quantomeno il “minimo costituzionale” del relativo obbligo (cfr. Cass. Sez. U., n. 8053/2014).
Come detto, oggetto essenziale della lite in esame è la contestazione da parte dell’Agenzia delle entrate dell'”inesistenza soggettiva” delle fatture emesse da Eurogroup nei confronti di Immobliare La Medusa negli anni d’imposta 2005-2006.
La CTR emiliana ha affermato la fondatezza della pretesa erariale rilevando:
-che i “fornitori” di Eurogroup V.G. e Z.L.B. dovevano considerarsi titolari di società/imprese “cartiere” ossia non esistenti/non operative, in quanto il primo non risultava avvalersi di alcuna struttura aziendale idonea a realizzare gli scambi di merce fatturati alla Eurogroup, peraltro sua unica cliente e, inoltre, non aveva fornito alcuna valida spiegazione del mancato rinvenimento, in sede ispettiva, della gran parte della contabilità delle sue imprese, mentre il secondo aveva addirittura dichiarato di essere un mero prestanome;
– che altri pretesi “fornitori” di Eurogroup avevano negato di avere mai avuto rapporti con la medesima;
– che pertanto essendo la gran parte delle fatture annotate da Eurogroup relative ad operazioni soggettivamente inesistenti, nonostante l’accertata sussistenza di una sua struttura operativa, essa doveva essere ritenuta -nella sostanza ed in larga misura- una “società cartiera” ossia meramente interposta nella cessione delle merci de quibus;
– che vi era una elevata coincidenza quantitativa tra gli acquisti fatturati dalla Eurogroup e le vendite dalla stessa fatturate alle società del “Gruppo T.”, tra le quali Immobiliare La Medusa, sicchè risultava fondata la presunzione che si trattasse delle stesse merci;
– che dunque in ultima analisi era fondata la presunzione che le fatture emessa da Eurogroup a carico di Immobliare La Medusa fossero relative ad operazioni inesistenti, almeno “soggettivamente”, come contestato a quest’ultima dall’agenzia fiscale.
Il giudice tributario di appello ha ulteriormente suffragato il proprio ragionamento inferenziale con la valutazione delle dichiarazioni di M.S., ex dipendente di Eurogroup, la quale aveva dichiarato alla GdF di non aver provveduto alle registrazioni contabili dei documenti inerenti i rapporti di fornitura che le venivano indicati dai verificatori, essendole stato detto da F.G., vero dominus della società, che le merci erano state consegnate direttamente dai fornitori nei cantieri delle società del Gruppo T. presso i *****.
Dal descritto complessivo quadro indiziario, la CTR emiliana ha quindi tratto il convincimento che l’onere probatorio dell'”inesistenza soggettiva” delle fatture in contesto, correttamente affermato quale gravante sull’Agenzia delle entrate, fosse stato adeguatamente assolto, constatando di contro che la società contribuente non aveva adempiuto a quello proprio della prova contraria.
Tale percorso argomentativo, ancorchè in qualche punto confuso ed impreciso, assolve, come detto, l’obbligo motivazionale del giudice tributario di appello ed è peraltro osservante del principio di diritto che “In tema di prova per presunzioni, il giudice, dovendo esercitare la sua discrezionalità nell’apprezzamento e nella ricostruzione dei fatti in modo da rendere chiaramente apprezzabile il criterio logico posto a base della selezione delle risultanze probatorie e del proprio convincimento, è tenuto a seguire un procedimento che si articola necessariamente in due momenti valutativi: in primo luogo, occorre una valutazione analitica degli elementi indiziari per scartare quelli intrinsecamente privi di rilevanza e conservare, invece, quelli che, presi singolarmente, presentino una positività parziale o almeno potenziale di efficacia probatoria; successivamente, è doverosa una valutazione complessiva di tutti gli elementi presuntivi isolati per accertare se essi siano concordanti e se la loro combinazione sia in grado di fornire una valida prova presuntiva, che magari non potrebbe dirsi raggiunta con certezza considerando atomisticamente uno o alcuni di essi. Ne consegue che deve ritenersi censurabile in sede di legittimità la decisione in cui il giudice si sia limitato a negare valore indiziario agli elementi acquisiti in giudizio senza accertare se essi, quand’anche singolarmente sforniti di valenza indiziaria, non fossero in grado di acquisirla ove valutati nella loro sintesi, nel senso che ognuno avrebbe potuto rafforzare e trarre vigore dall’altro in un rapporto di vicendevole completamento” (Cass. n. 5374 del 02/03/2017).
Nella sentenza impugnata vi è infatti dapprima una esposizione analitica, anche se non particolarmente ordinata, delle prove presuntive e quindi una loro valutazione d’assieme, appunto come prescrive il principio di diritto appena sopra citato e ribadito.
Il che dunque esclude la fondatezza del primo motivo, in parte qua, e del sesto motivo, in ordine ai quali va specificamente rilevato, rispettivamente:
– che le dichiarazioni M. sono state valutate dal giudice tributario di appello unitariamente agli altri indizi indicati;
– che la natura “non operativa” di Eurogroup è stata compiutamente esaminata dalla CTR emiliana e quindi tutt’affatto omessa nello sviluppo argomentativo della sentenza impugnata.
Nè d’altro canto può in alcun modo ritenersi che, come (anche) denunciato nel primo motivo, la CTR emiliana abbia illegittimamente invertito gli oneri probatori gravanti sulle parti in tema di “inesistenza soggettiva” delle operazioni fatturate: il giudice ha infatti correttamente attribuito all’agenzia fiscale la prova (che può essere fornita anche in via presuntiva) della natura di “cartiera” della società emittente delle fatture e la prova contraria alla società contribuente.
Sicchè in ultima analisi le censure in esame, attraverso la deduzione di violazioni di legge in realtà “mascherano” una richiesta di revisione del giudizio di merito di secondo grado, pacificamente inibita a questa Corte, secondo il consolidato principio di diritto per cui “Con la proposizione del ricorso per cassazione, il ricorrente non può rimettere in discussione, contrapponendone uno difforme, l’apprezzamento in fatto dei giudici del merito, tratto dall’analisi degli elementi di valutazione disponibili ed in sè coerente, atteso che l’apprezzamento dei fatti e delle prove è sottratto al sindacato di legittimità, dal momento che, nell’ambito di quest’ultimo, non è conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice di merito, cui resta riservato di individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, di valutare le prove, controllarne attendibilità e concludenza e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione” (Cass. n. 9097 del 07/04/2017). Resta assorbito il quinto motivo di ricorso, con il quale – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la ricorrente lamenta la violazione/falsa applicazione degli artt. 115 e 116, c.p.c., e artt. 2697 e 2729, c.c., poichè la CTR ha, tra l’altro, affermato che le dichiarazioni rese da M.S. alla GdF “di per sè” possono essere considerate come prova sufficiente della inesistenza soggettiva delle fatture oggetto di questo processo, posto che, a prescindere dall’effettiva erroneità di tale affermazione, il giudice ha in realtà ritenuto raggiunta detta prova sulla scorta del complesso degli elementi presuntivi offerti dall’Agenzia.
Con il secondo motivo – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la ricorrente lamenta la violazione/falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 19 e 21, e artt. 2697 e 2729, c.c., poichè la CTR non ha compiutamente riscontrato l’adeguato assolvimento da parte dell’Agenzia delle entrate del proprio onere di provare la consapevolezza di Immobiliare La Medusa dell'”inesistenza soggettiva” delle operazioni di cui alle fatture in oggetto.
La censura è fondata.
Va anzitutto ribadito e dato seguito al principio di diritto che “In tema di IVA, l’Amministrazione finanziaria, se contesta che la fatturazione attenga ad operazioni soggettivamente inesistenti, inserite o meno nell’ambito di una frode carosello, ha l’onere di provare, non solo l’oggettiva fittizietà del fornitore, ma anche la consapevolezza del destinatario che l’operazione si inseriva in una evasione dell’imposta, dimostrando, anche in via presuntiva, in base ad elementi oggettivi e specifici, che il contribuente era a conoscenza, o avrebbe dovuto esserlo, usando l’ordinaria diligenza in ragione della qualità professionale ricoperta, della sostanziale inesistenza del contraente; ove l’Amministrazione assolva a detto onere istruttorio, grava sul contribuente la prova contraria di avere adoperato, per non essere coinvolto in un’operazione volta ad evadere l’imposta, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto, non assumendo rilievo, a tal fine, nè la regolarità della contabilità e dei pagamenti, nè la mancanza di benefici dalla rivendita delle merci o dei servizi” (Sez. 5, Sentenza n. 9851 del 20/04/2018).
In riscontro alla critica in esame, si tratta dunque di verificare se la sentenza impugnata si uniformi a tale arresto giurisprudenziale, sinteticamente rappresentativo della corretta interpretazione delle evocate disposizioni legislative in ordine alla detraibilità/indetraibilità dell’IVA e della correlata giurisprudenza unionale ed interna di legittimità.
Orbene, deve affermarsi che ciò non è avvenuto, in quanto la CTR non ha chiaramente indicato le ragioni per le quali gli amministratori della società contribuente “sapevano o avrebbero dovuto sapere”, secondo la specifica diligenza richiesta dalla loro qualifica professionale, che si trattava di fatture per operazioni “soggettivamente” inesistenti.
E’ evidente, infatti, che la prova di tale consapevolezza non può trarsi dalla sostanziale coincidenza dell’ammontare globale delle false fatture d’acquisto annotate da Eurogroup con quello delle fatture di vendita dalla stessa emesse nei confronti delle società del “Gruppo T.”, atteso che tale circostanza costituisce mero presupposto oggettivo, indispensabile per poter ipotizzare la partecipazione delle acquirenti alla frode, che prova unicamente il dato, non contestato, della continuità dei rapporti di fornitura. L’unico elemento di prova specifica della conoscenza in capo all’amministratore di Immobiliare La Medusa dell’inesistenza soggettiva delle operazioni fatturate valorizzato dal giudice d’appello è dunque costituito dal fatto che presso il F. (come detto, dominus di Eurogroup) erano stati trovati assegni per un importo di 2.000.000 di Euro intestati a T.G. (a sua volta qualificato come dominus dell’omonimo gruppo di imprese), che la GdF aveva ipotizzato essere “garanzie” per la restituzione delle somme fittiziamente indicate a debito nelle false fatture in oggetto: a dire della CTR l’emissione degli assegni, la cui finalità non era stata giustificata da Immobiliare La Medusa, integrerebbe circostanza presuntiva idonea a dimostrare la partecipazione attiva della società alle operazioni illecite.
Sennonchè, al di là del rilievo che la CTR non ha accertato se, all’epoca delle operazioni, Immobiliare La Medusa fosse direttamente amministrata da T.G. o, comunque, da un soggetto che ne era mero prestanome o che era a perfetta conoscenza degli ipotizzati traffici fra questi e il F. (e che dunque non ha chiarito perchè l’allora appellata avrebbe dovuto essere in grado di indicare qual era la causale sottostante all’emissione dei titoli), resta che il rinvenimento degli assegni di importo assai modesto rispetto all’entità della frode prospettata-risulta dato indiziario non univoco, che, in mancanza di ulteriori riscontri, non è di per sè stesso dotato dei requisiti della gravità, della precisione e della concordanza necessari a ritenere raggiunta la prova presuntiva della conoscenza da parte del legale rappresentante della società della diversa provenienza, “in nero”, dei materiali apparentemente forniti da Eurogroup ed a giustificare, pertanto, l’inversione dell’onere probatorio sul punto.
Con il quarto motivo – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – la ricorrente si duole dell’omesso esame di fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti, poichè la CTR non ha preso in considerazione la sentenza del Tribunale penale di Ferrara con la quale sono stati assolti tutti gli amministratori delle società del “Gruppo T.”.
La censura, che va più correttamente qualificata ai sensi del n. 3 dell’art. 360 c.p.c., comma 1, è fondata.
Va premesso e ribadito in diritto che:
– “Nel processo tributario, la sentenza penale irrevocabile di assoluzione dal reato tributario, emessa con la formula “perchè il fatto non sussiste”, non spiega automaticamente efficacia di giudicato, ancorchè i fatti accertati in sede penale siano gli stessi per i quali l’Amministrazione finanziaria ha promosso l’accertamento nei confronti del contribuente, ma può essere presa in considerazione come possibile fonte di prova dal giudice tributario, il quale nell’esercizio dei propri poteri di valutazione, deve verificarne la rilevanza nell’ambito specifico in cui detta sentenza è destinata ad operare” (Cass., n. 10578 del 22/05/2015, Rv. 635637 – 01; Cass. n. 5720 del 2007);
La CTR emiliana era dunque tenuta a valutare specificamente, ancorchè al fine della formazione del proprio “libero convincimento”, la sentenza penale assolutoria degli amministratori delle società del “gruppo T.”, mentre ne ha totalmente omesso l’esame.
Va in proposito precisato che non può certo ritenersi che la sentenza sia stato,,esaminata, per così dire, indirettamente con la valutazione dell’omologa sentenza di condanna -per il correlato reato di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 8 – dei responsabili della “cartiera” Eurogroup ( S. e F.) e ciò proprio per la rilevanza delle valutazioni meritali in ordine alla “dimensione soggettiva” dell’illecito fiscale addebitato in questa sede processuale alla società contribuente, sul quale si è detto esaminando il secondo motivo ed affermandone la fondatezza.
Con il settimo motivo – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 – la ricorrente, in via subordinata, lamenta la violazione/falsa applicazione del D.L. n. 16 del 2012, art. 8, comma 2, art. 109, TUIR, D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 11, poichè la CTR non ha statuito la deducibilità dei costi esposti nelle fatture in contestazione dalla base imponibile delle imposte dirette.
La censura è fondata.
Va infatti ribadito e dato seguito al principio che “In tema di imposte sui redditi, ai sensi della L. 24 dicembre 1993, n. 537, art. 14, comma 4-bis, (nella formulazione introdotta con il D.L. 2 marzo 2012, n. 16, art. 8, comma 1, conv. in L. 26 aprile 2012 n. 44), che opera, in ragione del precedente comma 3, quale “jus superveniens” con efficacia retroattiva “in bonam partem”, sono deducibili i costi delle operazioni soggettivamente inesistenti (inserite, o meno, in una “frode carosello”), per il solo fatto che siano stati sostenuti, anche nell’ipotesi in cui l’acquirente sia consapevole del carattere fraudolento delle operazioni, salvo che si tratti di costi in contrasto con i principi di effettività, inerenza, competenza, certezza, determinatezza o determinabilità oppure di costi relativi a beni o servizi direttamente utilizzati per il compimento di un delitto non colposo” (Cass. n. 26461 del 17/12/2014; successive conformi, Cass. nn. 25249 del 07/12/2016, 27566 del 30/10/2018).
Il giudice tributario di appello, che ha omesso ogni espressa pronuncia al riguardo, avrebbe dunque dovuto valutare se ricorrevano i presupposti della deducibilità di tali costi, tenuto conto delle eventuali contestazioni svolte sul punto dall’agenzia fiscale.
In conclusione, ritenuta in via preliminare e pregiudiziale l’inammissibilità del motivo unico del ricorso incidentale, vanno accolti il secondo, il quarto, il settimo motivo del ricorso principale e quindi, rigettati gli altri motivi, la sentenza impugnata va cassata con rinvio al giudice a quo per nuovo esame.
P.Q.M.
La Corte, dichiara inammissibile il motivo unico del ricorso incidentale dell’Agenzia delle entrate, accoglie il secondo, il quarto, il settimo motivo del ricorso principale e rigetta nel resto, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Commissione tributaria regionale dell’Emilia Romagna, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio.
Così deciso in Roma, il 12 marzo 2019.
Depositato in Cancelleria il 24 maggio 2019