Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.14222 del 24/05/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 18102/18 proposto da:

E.M., elettivamente domiciliato a Campobasso, Via Principe di Piemonte n. 86, presso l’avvocato Carmine Verde, che lo rappresenta e difende in virtù di procura speciale apposta in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, elettivamente domiciliato in Roma, Via dei Portoghesi 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che lo rappresenta e difende ex lege;

– controricorrente –

avverso il decreto del Tribunale di Campobasso 27 aprile 2018 n. 816;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 14 marzo 2019 dal Consigliere relatore Dott. Marco Rossetti.

FATTI DI CAUSA

1. E.M., cittadino nigeriano, chiese alla competente commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale, di cui al D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 4 (la data della richiesta non è precisata nel ricorso per cassazione);

(a) in via principale, il riconoscimento dello status di rifugiato politico, D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex art. 7 e segg.;

(b) in via subordinata, il riconoscimento della “protezione sussidiaria” di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14;

(c) in via ulteriormente subordinata, la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, ex art. 5, comma 6 (nel testo applicabile ratione temporis).

A fondamento dell’istanza dedusse di essere nipote ex fratre di persona che, dopo essere stata membro dell’associazione criminale nigeriana “*****”, ne era fuoriuscita, e per questa ragione la suddetta associazione aveva deliberato di uccidere non solo lo zio dell’odierno ricorrente, ma anche quest’ultimo e tutti i suoi familiari.

2. La Commissione Territoriale rigettò l’istanza con provvedimento del 24.3.2017, notificato all’interessato il 3.10.2017.

Avverso tale provvedimento E.M. propose ricorso dinanzi al Tribunale di Campobasso ai sensi del D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 35, che la rigettò con Decreto 27 aprile 2018, n. 816.

Il Tribunale ritenne che:

(a) il racconto del ricorrente non fosse nè dimostrato, nè attendibile;

(b) il gruppo “*****” è solo una “sorta di massoneria nigeriana che annovera fra le sue fila gli appartenenti a classi sociali elevate”;

(c) nella regione di provenienza del ricorrente (Stato dell’Edo) non erano in atto violenze, nè in quella regione l’UNHCR aveva segnalato la presenza di conflitti armati.

3. Avverso tale decisione ha proposto ricorso per cassazione E.M. con ricorso fondato su un motivo.

Ha resistito il Ministero dell’Interno.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il motivo unico di ricorso.

1.1. Con l’unico motivo il ricorrente lamenta – formalmente – la violazione del D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 8.

Nella illustrazione del motivo si sostiene che:

(-) l’accertamento della sussistenza dei presupposti per la concessione della protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, deve avvenire non solo sulla base di quanto riferito dall’interessato, ma anche sulla base di informazioni acquisite d’ufficio, tratte da fonti attendibili ed aggiornate, dimostrative delle reali condizioni dello stato di provenienza di quegli;

(-) nel caso di specie, il Tribunale non avrebbe accertato “in modo sufficientemente adeguato” la sussistenza di una effettiva situazione di pericolo, dovuta a violenza diffusa, nella zona di provenienza del ricorrente.

1.2. Il ricorso, anche a prescindere da qualsiasi valutazione sulla sua procedibilità ex art. 369 c.p.c., comma 2, n. 2 (non risulta, infatti, depositata una copia del provvedimento impugnato che sia munita di attestazione della conformità all’originale), va dichiarato comunque inammissibile in virtù del principio della ragione più liquida. Il ricorso, infatti, contiene una censura estranea alla effettiva ratio decidendi sottesa dal provvedimento impugnato.

1.3. Nell’atto introduttivo del giudizio, infatti, secondo quanto riferito dallo stesso ricorrente egli aveva dedotto, quale presupposto per la concessione dello status di rifugiato (o, in subordine, della protezione sussidiaria o di quella c.d. “umanitaria”), non già fatti di violenza generalizzata, ma l’esistenza di una persecuzione ad personam.

Pertanto appaiono del tutto inconferenti i richiami compiuti dal ricorrente alla giurisprudenza di questa Corte concernente l’obbligo del giudice di accertare anche ex officio le condizioni sociopolitiche del Paese di provenienza del richiedente asilo.

Il Tribunale ha infatti ritenute indimostrate sia l’appartenenza dello zio del ricorrente alla setta “*****”, sia la persecuzione di questa contro il ricorrente. Ed ovviamente la veridicità di tali circostanze di fatto non possono certo ricavarsi dai rapporti delle organizzazioni internazionali.

1.4. In ogni caso, se non fosse inammissibile per estraneità alla ratio decidendi, il ricorso sarebbe comunque inammissibile perchè censura un accertamento di fatto, senza nemmeno prospettare l’eventuale omesso esame d’un fatto decisivo, di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5.

2. Le spese.

2.1. Le spese del presente grado di giudizio vanno a poste a carico del ricorrente, ai sensi dell’art. 385 c.p.c., comma 1 e sono liquidate nel dispositivo.

2.2. Avendo il giudice di merito revocato l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato in favore dell’odierno ricorrente, l’inammissibilità del ricorso costituisce il presupposto, del quale si dà atto con la presente sentenza, per il pagamento a carico della parte ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater (nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17).

P.Q.M.

la Corte di cassazione:

(-) dichiara inammissibile il ricorso;

(-) condanna E.M. alla rifusione in favore del Ministero dell’interno delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano nella somma di Euro 1.200, di cui 200 per spese vive, oltre I.V.A., cassa forense e spese forfettarie D.M. 10 marzo 2014, n. 55, ex art. 2, comma 2;

(-) dà atto che sussistono i presupposti previsti dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, per il versamento da parte di E.M. di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile della Corte di Cassazione, il 14 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 24 maggio 2019

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