LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –
Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –
Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –
Dott. SCALIA Laura – Consigliere –
Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso n. 13289/18 proposto da:
L.K., elettivamente domiciliato a Campobasso, via Principe di Piemonte n. 86, presso l’avvocato Carmine Verde, che lo rappresenta e difende in virtù di procura speciale apposta in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
Ministero dell’Interno;
– intimato –
avverso il decreto del Tribunale di Campobasso 26 marzo 2018 n. 585;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 14 marzo 2019 dal Consigliere relatore Dott. Marco Rossetti.
FATTI DI CAUSA
1. M.A., cittadino *****, chiese alla competente commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale, di cui al D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 4 (la data della richiesta non è precisata nel ricorso per cassazione):
(a) in via principale, il riconoscimento dello status di rifugiato politico, D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex art. 7 e segg.;
(b) in via subordinata, il riconoscimento della “protezione sussidiaria” di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14;
(c) in via ulteriormente subordinata, la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, ex art. 5, comma 6 (nel testo applicabile ratione temporis).
A fondamento dell’istanza dedusse di essere omosessuale, e che nel suo Paese l’omosessualità è punita con la detenzione.
2. La Commissione Territoriale rigettò l’istanza con provvedimento la cui data non è indicata nel ricorso.
3. Avverso tale provvedimento M.A. propose ricorso dinanzi al Tribunale di Campobasso ai sensi del D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 35, che la rigettò con Decreto 26 marzo 2018.
Il Tribunale ritenne che:
(a) il racconto del ricorrente non fosse nè dimostrato, nè attendibile;
(b) in ogni caso il rischio che l’istante avrebbe corso, rientrando nel suo paese, atteneva una vicenda del tutto personale;
(c) nel Paese di provenienza del ricorrente (Gambia) non erano in atto violenze nè situazioni di conflitto indiscriminato, come emergeva da varie fonti di stampa.
4. Il decreto è stato impugnato per cassazione da M.A. con ricorso fondato su un motivo.
Il Ministero dell’Interno non ha notificato controricorso, limitandosi ad annunciare la sua partecipazione alla eventuale udienza di discussione.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Il motivo unico di ricorso.
1.1. Con l’unico motivo il ricorrente lamenta – formalmente – la violazione del D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 8.
Nell’illustrazione del motivo il ricorrente parte dall’assunto che il Tribunale non avrebbe “messo in discussione” che l’istante fosse omosessuale. Muovendo da questo assunto, sostiene che il decreto sarebbe illegittimo perchè il Tribunale “non avrebbe valutato quale sia la condizione degli omosessuali in Gambia”, e cioè il rischio di essere incarcerati anche a vita.
1.2. Il ricorso va dichiarato improcedibile ai sensi dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 2, a causa della mancata allegazione di una valida copia autentica del provvedimento impugnato.
1.3. Il ricorrente, infatti, ha inteso assolvere tale onere depositando una copia del decreto impugnato la cui conformità all’originale è stata attestata dall’avvocato Claudio Di Pietro, in data “26.4.2018”.
Il ricorso per cassazione è stato tuttavia proposto dall’avv. Carmine Verde, il quale ha agito in virtù di procura speciale apposta in calce al ricorso e datata “12.4.2018”.
Il ricorso è datato 26.4.2018 ed è stato notificato lo stesso giorno.
1.3. Risulta dunque per tabulas non solo che l’avvocato il quale ha attestato la conformità all’originale della copia del decreto impugnato allegata al ricorso è diverso da quello che ha proposto ricorso per cassazione; ma anche che l’attestazione di conformità all’originale della copia depositata del decreto impugnato è avvenuta dopo che il ricorrente aveva già conferito all’avv. Carmine Verde la procura speciale a ricorrere per cassazione.
L’attestazione di conformità, dunque, è stata compiuta da un avvocato che, al momento in cui la sottoscrisse, non era il difensore della parte ricorrente.
In tale ipotesi, questa Corte ha già stabilito che “nel caso in cui la sentenza impugnata sia stata redatta in formato digitale, l’attestazione di conformità della copia analogica predisposta per la S.C. (…) può essere redatta, della L. n. 53 del 1994, ex art. 9, commi 1-bis e 1-ter, dal difensore che ha assistito la parte nel precedente grado di giudizio, i cui poteri processuali e di rappresentanza permangono, anche nel caso in cui allo stesso fosse stata conferita una procura speciale per quel singolo grado, sino a quando il cliente non conferisca il mandato alle liti per il giudizio di legittimità ad un altro difensore” (Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 10941 del 08/05/2018, Rv. 648805 – 01).1.4. Il rilevato vizio non può neppure dirsi sanato dalla mancanza di contestazione da parte del Ministero dell’interno, secondo i principi stabiliti dalle Sezioni Unite di questa Corte, con la sentenza n. 22438 del 24/09/2018.
Il Ministero, infatti, nella presente sede è rimasto indefensus, non avendo notificato alcun controricorso alla controricorrente. Nè il deposito d’un atto col quale si annuncia la partecipazione dell’intimato all’eventuale discussione orale è equiparabile al controricorso, come già ripetutamente affermato da questa Corte (ex multis, Sez. 5, Sentenza n. 6222 del 20/04/2012, Rv. 622123 – 01; Sez. 5, Sentenza n. 11160 del 11/06/2004, Rv. 573617 – 01; Sez. 2, Sentenza n. 1737 del 28/01/2005, Rv. 578756 – 01).
E’ mancato, pertanto, il presupposto processuale necessario per potere ravvisare un’ipotesi di “non contestazione”, cioè la notifica del controricorso.
1.5. In conclusione, la copia del decreto impugnato, che il ricorrente ha allegato al proprio ricorso, è stata dichiarato conforme all’originale da un avvocato che era privo della procura speciale a ricorrere per cassazione, e che ha compiuto la suddetta attestazione dopo che il ricorrente aveva già conferito procura speciale ad altro difensore per proporre il ricorso per cassazione. Un avvocato, perciò, privo del potere di autenticazione che la legge attribuisce al solo difensore munito di procura per il grado di giudizio nel quale la copia “autenticata” deve essere fatta valere.
Di qui l’improcedibilità del ricorso, ex art. 369 c.p.c., per mancata allegazione ad esso della copia autentica del provvedimento impugnato.
2. In ogni caso – lo si rileva ad abundantiam – il ricorso sarebbe stato comunque inammissibile, in quanto muove da un erroneo presupposto interpretativo circa il reale contenuto della decisione impugnata.
Il Tribunale, infatti, ha ritenuto “che la narrazione del richiedente non risulta affatto attendibile”: e dunque tutta la narrazione, ivi compresa la sua qualità di omosessuale. Non può, di conseguenza, condividersi l’assunto da cui muove il ricorrente, ovvero che il decreto impugnato sarebbe erroneo perchè il Tribunale, pur dando per ammessa la circostanza che il ricorrente fosse un omosessuale, non avrebbe compiuto alcun approfondimento istruttorio circa la condizione degli omosessuali nello Stato del Gambia. Quell’approfondimento, infatti, non era necessario nè utile, una volta che il Tribunale aveva escluso la sussistenza d’una valida prova della circostanza di fatto (l’omosessualità) che l’avrebbe giustificato.
3. Le spese.
3.1. Le spese del presente grado di giudizio vanno a poste a carico del ricorrente, ai sensi dell’art. 385 c.p.c., comma 1 e sono liquidate nel dispositivo.
P.Q.M.
la Corte di Cassazione:
(-) dichiara improcedibile il ricorso;
(-) condanna L.K. alla rifusione in favore del Ministero dell’interno delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano nella somma di Euro 1.200, di cui 200 per spese vive, oltre I.V.A., cassa forense e spese forfettarie D.M. 10 marzo 2014, n. 55, ex art. 2, comma 2.
(-) dà atto che non sussistono i presupposti previsti dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, per il versamento da parte di M.A. di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile della Corte di Cassazione, il 14 marzo 2019.
Depositato in Cancelleria il 24 maggio 2019