Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.14226 del 24/05/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 13269/18 proposto da:

-) A.Z., elettivamente domiciliato a Campobasso, via Principe di Piemonte n. 86, presso l’avvocato Carmine Verde, che lo rappresenta e difende in virtù di procura speciale apposta in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

-) Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in Roma, via dei Portoghesi 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che lo rappresenta e difende ex lege;

– controricorrente –

avverso il decreto del Tribunale di Campobasso 26 marzo 2018 n. 602;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 14 marzo 2019 dal Consigliere relatore Dott. Marco Rossetti.

FATTI DI CAUSA

1. A.Z., cittadino pakistano, chiese alla competente commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale, di cui al D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 4 (la data della richiesta non è precisata nel ricorso per cassazione):

(a) in via principale, il riconoscimento dello status di rifugiato politico, D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex art. 7 e ss.;

(b) in via subordinata, il riconoscimento della “protezione sussidiaria” di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14;

(c) in via ulteriormente subordinata, la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, ex art. 5, comma 6, (nel testo applicabile ratione temporis).

A fondamento dell’istanza dedusse che era stato costretto a fuggire dal suo Paese poichè ricercato dalla polizia per il fatto di essere membro del partito Jammu Kashmir Liberation Front – JKLF, e di avere stampato volantini propagandistici per conto di esso. Soggiunse che il proprio fratello, arrestato dalla polizia, era deceduto per le violenze subite.

2. La Commissione Territoriale rigettò l’istanza con provvedimento datato 10.2.2017.

Avverso tale provvedimento A.Z. propose ricorso dinanzi al Tribunale di Campobasso ai sensi del D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 35 che lo rigettò con decreto 26 marzo 2018.

Il Tribunale ritenne che:

(a) il racconto del ricorrente non fosse nè dimostrato, nè attendibile;

(b) nella zona di provenienza del ricorrente (il Punjab) non erano in atto violenze nè situazioni di conflitto indiscriminato, come emergeva dalle informazioni fornite dal ministero degli esteri.

3. Il decreto è stato impugnato per cassazione da A.Z. con ricorso fondato su un solo motivo.

Ha resistito con controricorso il Ministero dell’Interno.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il motivo unico di ricorso.

1.1. Con l’unico motivo il ricorrente lamenta – formalmente – la violazione del D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 8.

L’illustrazione del motivo contiene una censura così riassumibile: (-) l’accertamento della sussistenza dei presupposti per la concessione della protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14 deve avvenire non solo sulla base di quanto riferito dall’interessato, ma anche sulla base di informazioni acquisite d’ufficio, tratte da fonti attendibili ed aggiornate, dimostrative delle reali condizioni dello stato di provenienza di quegli;

(-) nel caso di specie, il Tribunale aveva fondato la propria decisione su informazioni assolutamente generiche circa le condizioni del Punjab.

1.2. Il ricorso va dichiarato improcedibile ai sensi dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 2, a causa della mancata allegazione di una valida copia autentica del provvedimento impugnato.

1.3. Il ricorrente, infatti, ha inteso assolvere tale onere depositando una copia del decreto impugnato la cui conformità all’originale è stata attestata dall’avvocato Claudio Di Pietro, in data “26.4.2018”.

Il ricorso per cassazione è stato tuttavia proposto dall’avv. Carmine Verde, il quale ha agito in virtù di procura speciale apposta in calce al ricorso e datata “2.4.2018”.

Il ricorso è datato 20.4.2018 ed è stato notificato il 21.4.2018.

1.4. Risulta dunque per tabulas non solo che l’avvocato il quale ha attestato la conformità all’originale della copia del decreto impugnato allegata al ricorso è diverso da quello che ha proposto ricorso per cassazione; ma anche che l’autentica è avvenuta dopo che il ricorrente aveva già conferito all’avv. Carmine Verde la procura speciale a ricorrere per cassazione, e dopo che il ricorso era stato già proposto.

L’attestazione di conformità, dunque, è stata compiuta da un avvocato che, al momento in cui la sottoscrisse, non era il difensore della parte ricorrente.

In tale ipotesi, questa Corte ha già stabilito che “nel caso in cui la sentenza impugnata sia stata redatta in formato digitale, l’attestazione di conformità della copia analogica predisposta per la S.C. (…) può essere redatta, L. n. 53 del 1994, ex art. 9, commi 1-bis e 1-ter dal difensore che ha assistito la parte nel precedente grado di giudizio, i cui poteri processuali e di rappresentanza permangono, anche nel caso in cui allo stesso fosse stata conferita una procura speciale per quel singolo grado, sino a quando il cliente non conferisca il mandato alle liti per il giudizio di legittimità ad un altro difensore” (Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 10941 del 08/05/2018, Rv. 648805 – 01).

1.5. Il rilevato vizio non può dirsi sanato dalla mancanza di contestazione da parte del Ministero dell’interno, secondo i principi stabiliti dalle Sezioni Unite di questa Corte, con la sentenza n. 22438 del 24/09/2018.

In tale decisione, infatti, non si è affatto affermata una generale efficacia sanante alla mancata contestazione della conformità all’originale d’un atto processuale privo di attestazione di conformità o con attestazione di conformità non sottoscritta (nella specie, la relazione di notificazione del ricorso per cassazione). Si è, invece, subordinata quell’efficacia sanante alla sussistenza di varie condizioni:

prima fra tutte, la circostanza che l’atto privo di attestazione di conformità all’originale sia la copia analogica d’un documento informatico creato digitalmente.

Nel caso di specie, per contro, tale “natività digitale” del decreto impugnato non risulta dall’attestazione apposta in calce ad esso dall’avv. Claudio Di Pietro. Ivi si legge, infatti, che il documento depositato costituirebbe “copia informatica conforme all’originale analogico dal quale è estratta”.

Ma il difensore, anche quando sia munito di procura (e l’avv. Di Pietro, per quanto detto, non lo era), può giovarsi del potere di autentica a lui espressamente conferito dal D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, art. 16 bis, comma 9 bis, solo quando intenda attestare la conformità all’originale d’un atto contenuto nel fascicolo informatico d’ufficio, o perchè originariamente digitale, o perchè digitalizzato dal cancelliere. L’avvocato anche munito di procura, per contro, non potrebbe mai attestare la conformità d’una copia cartacea all’originale parimenti cartaceo, giacchè nessuna norma gli attribuisce questo potere.

1.6. In conclusione:

-) il decreto impugnato è stato dichiarato conforme all’originale da un avvocato che era privo della procura speciale a ricorrere per cassazione, e che ha compiuto la suddetta attestazione dopo che il ricorrente aveva già conferito procura speciale ad altro difensore per proporre il ricorso per cassazione;

-) il silenzio serbato sul punto dal Ministero dell’interno non sana tale nullità, vertendosi in fattispecie eterogenea rispetto a quella presa in esame dalle Sezioni Unite di questa Corte, con la sentenza n. 22438 del 24/09/2018.

2. In ogni caso – lo si rileva ad abundantiam – il ricorso sarebbe stato comunque inammissibile, in quanto:

(a) censura una soltanto delle rationes decidendi sottese dalla sentenza impugnata; in particolare non si confronta con l’affermazione secondo cui tutta la narrazione dell’istante era assolutamente inattendibile;

(b) in ogni caso censura la valutazione delle prove, senza spiegare perchè mai le fonti citate dal Tribunale a sostegno della decisione di esclusione della sussistenza dei presupposti per la concessione dello status di rifugiato o della protezione c.d. “sussidiaria” non sarebbero attendibili.

3. Le spese.

3.1. Le spese del presente grado di giudizio vanno a poste a carico del ricorrente, ai sensi dell’art. 385 c.p.c., comma 1, e sono liquidate nel dispositivo.

P.Q.M.

la Corte di cassazione:

(-) dichiara improcedibile il ricorso;

(-) condanna A.Z. alla rifusione in favore del Ministero dell’interno delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano nella somma di Euro 1.200, di cui 200 per spese vive, oltre I.V.A., cassa forense e spese forfettarie D.M. 10 marzo 2014, n. 55, ex art. 2, comma 2;

(-) dà atto che non sussistono i presupposti previsti dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, per il versamento da parte di A.Z. di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima Sezione civile della Corte di cassazione, il 14 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 24 maggio 2019

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