Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.14296 del 24/05/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – Consigliere –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 13290-2018 proposto da:

S.A., domiciliato in ROMA, presso lo studio dell’Avvocato PASQUALE PORFILIO, rappresentato e difeso dall’Avvocato CHIARA CASTAGLIOLA giusta procura speciale estesa in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore;

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE DI CAMPOBASSO, depositato il 27.3.2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 30.4.2019 dal Consigliere Dott.ssa ANTONELLA DELL’ORFANO.

RILEVATO

CHE:

S.A. propone ricorso, affidato a tre motivi, per la cassazione del provvedimento indicato in epigrafe, con cui il Tribunale di Campobasso aveva respinto la sua domanda di riconoscimento di protezione sussidiaria e, in via subordinata, di protezione per motivi umanitari;

la domanda era stata motivata in ragione dei rischi di rientro nel suo Paese d’origine (il *****, regione del *****) dovuti alle minacce di morte ricevute per controversie religiose tra la minoranza sciita e la maggioranza sunnita, di cui faceva parte, essendo il padre l’Iman del suo quartiere, narrando che assieme al padre era rimasto coinvolto nelle liti insorte a seguito di una riunione tra i gruppi religiosi, seguiti da scontri a fuoco in cui erano morti due sciiti, ragione per la quale aveva deciso di fuggire dal Paese poichè da quel momento gli sciiti lo cercavano per vendicarsi e la Polizia locale non era intervenuta a seguito delle sue denunce;

il Ministero dell’Interno è rimasto intimato.

CONSIDERATO

CHE:

1.1. con il primo motivo di ricorso il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, “violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 3, lett. a) e c)”, censurando il decreto impugnato per avere il Tribunale respinto la domanda di protezione sussidiaria sull’erroneo presupposto che il richiedente “avesse sollevato esclusivamente questioni di episodi religiosi locali che… non rientrerebbero nelle ipotesi previste per il riconoscimento della protezione internazionale nella forma della protezione sussidiaria”, escludendo, quindi, l’elemento della situazione individuale e delle circostanze personali del ricorrente tra i presupposti di legge per il rilascio dell’invocata protezione;

1.2. il motivo è inammissibile in quanto non censura l’effettiva ratio decidendi del provvedimento impugnato, avendo il Tribunale piuttosto fondato il proprio convincimento sul dato della mancanza di credibilità soggettiva del richiedente, evidenziando le “lacune ed incongruenze puntualmente rilevate dalla Commissione” e la mancanza di “elementi che leghino il suo espatrio alle condizioni poste dal D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 11”, avendo egli proposto un racconto circa “fumosi episodi di controversie religiose locali”;

1.3. in particolare, il Tribunale ha sottolineato “il singolare contrasto tra le minacce che continuerebbero ad essere rivolte al ricorrente che non rivestiva alcun ruolo nella comunità sunnita (tra l’altro di maggioranza nel Paese) mentre invece il padre iman e i suoi familiari sono rimasti… nella città di origine,… in quale modo gli sciiti possano ritenerlo responsabile diretto dell’uccisione di due di loro e non la Polizia locale,…perchè le forze dell’ordine locali avrebbero dovuto ignorare la sua richiesta di aiuto, proveniente tra l’altro da un membro della comunità di maggioranza,… come e dove abbia potuto il padre del ricorrente in appena due giorni reperire il denaro e gli appoggi logistici per una fuga che non aveva senso, potendo il ricorrente trasferirsi in una grande citta come ***** o ***** dove non si vede come potesse essere raggiunto dalla vendetta degli sciiti del suo paese”;

2.1. con il secondo motivo di ricorso il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, “violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, lett. g) e art. 14, comma 1, lett. c)”, nonchè, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, “omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio”, per avere il Tribunale respinto la domanda di protezione sussidiaria sull’erroneo presupposto che il ***** non fosse “in preda alla guerra civile o a situazioni di conflitto interno ad essa paragonabili”, sebbene la guerra civile non fosse contemplata quale elemento valutativo ai fini del riconoscimento dell’invocata protezione sussidiaria e sussistesse invece, in base ai report più recenti ed aggiornati, una situazione di conflitto armato interno tale da rappresentare un pericolo ed una minaccia grave per il ricorrente;

2.2. va premesso che il D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, comma 1, lett. g) e h) conformemente al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 2,comma 1, lett. f) e g) definisce “persona ammissibile alla protezione sussidiaria” il “cittadino straniero che non possiede i requisiti per essere riconosciuto come rifugiato ma nei cui confronti sussistono fondati motivi di ritenere che, se ritornasse nel Paese di origine, o, nel caso di un apolide, se ritornasse nel Paese nel quale aveva precedentemente la dimora abituale, correrebbe un rischio effettivo di subire un grave danno come definito dal presente decreto e il quale non può, o, a causa di tale rischio, non vuole avvalersi della protezione di detto Paese”;

2.3. la definizione di “danno grave” è fornita dal successivo art. 14 il quale lo identifica: a) nella condanna a morte; b) nella tortura o altra forma di pena o trattamento inumano o degradante; c) nella minaccia grave e individuale alla vita derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale;

2.4. questa Corte (cfr. da ultimo Cass. n. 3016/2019) è già reiteratamente intervenuta a chiarire quale sia, nell’ambito della domanda di protezione sussidiaria, il riparto degli oneri di allegazione e prova, ed in qual senso debba essere intesa la nozione di “cooperazione istruttoria” invocata dal ricorrente, ricondotta alla previsione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 in particolare comma 5;

2.5. in primo luogo, l’attenuazione del principio dispositivo in cui la “cooperazione istruttoria” consiste si colloca non dal versante dell’allegazione, ma esclusivamente da quello della prova, in quanto l’allegazione deve essere adeguatamente circostanziata, dovendo il richiedente presentare “tutti gli elementi e la documentazione necessari a motivare la… domanda”, ivi compresi “i motivi della sua domanda di protezione internazionale” (D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, commi 1 e 2), con la precisazione che l’osservanza degli oneri di allegazione si ripercuote sulla verifica della fondatezza della domanda medesima, sul piano probatorio, giacchè, in mancanza di altro sostegno, le dichiarazioni del richiedente sono considerati veritiere soltanto, tra l’altro, “se l’autorità competente a decidere… ritiene che: a) il richiedente ha compiuto ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda; b) tutti gli elementi pertinenti in suo possesso sono stati prodotti ed è stata fornita una idonea motivazione dell’eventuale mancanza di altri elementi significativi” (D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, commi 5);

2.6. ne consegue che solo quando colui che richieda il riconoscimento della protezione internazionale abbia adempiuto l’onere di allegare i fatti costitutivi del suo diritto, sorge il potere-dovere del giudice di accertare anche d’ufficio se, ed in quali limiti, nel Paese straniero di origine dell’istante si registrino i fenomeni tali da giustificare l’accoglimento della domanda nella fattispecie anche in questo caso oggettivamente dedotta, ossia ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2017, art. 14, lett. c) (cfr. Cass. n. 17069/2018);

2.7. per converso, se l’allegazione manca, l’esito della domanda è segnato, in applicazione del principio secondo cui la domanda di protezione internazionale non si sottrae all’applicazione del principio dispositivo, sicchè il ricorrente ha l’onere di indicare i fatti costitutivi del diritto azionato, pena l’impossibilità per il Giudice di introdurli d’ufficio nel giudizio (cfr. Cass. n. 19197/2015);

2.8. è opportuno inoltre osservare che, una volta assolto l’onere di allegazione, il dovere del giudice di cooperazione istruttoria – i.e. di acquisizione officiosa degli elementi istruttori necessari – è circoscritto alla verifica della situazione obiettiva del paese di origine, e non alle individuali condizioni del soggetto richiedente; in particolare (cfr. Cass. n. 14006/2018, 13858/2018), in tema di protezione sussidiaria dello straniero, prevista nella già citata fattispecie contemplata dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), l’ipotesi della minaccia grave ed individuale alla vita o alla persona di un civile derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale implica, alternativamente: una contestualizzazione della minaccia suddetta, in rapporto alla situazione soggettiva del richiedente, laddove il medesimo sia in grado di dimostrare di poter essere colpito in modo specifico, in ragione della sua situazione personale; ovvero la dimostrazione dell’esistenza di un conflitto armato interno nel Paese o nella regione, caratterizzato dal ricorso ad una violenza indiscriminata, che raggiunga un livello talmente elevato da far sussistere fondati motivi per ritenere che un civile, rientrato nel paese in questione o, se del caso, nella regione in questione, correrebbe, per la sua sola presenza su quel territorio, un rischio effettivo di subire detta minaccia;

2.9. ne consegue che, mentre il Giudice è anche d’ufficio tenuto a verificare – elettivamente, ma non esclusivamente, attraverso lo scrutinio dei c.d. c.o.i., country of origin informations – se nel paese di provenienza sia oggettivamente sussistente una situazione di violenza indiscriminata talmente grave da costituire ostacolo al rimpatrio del richiedente, egli non può essere chiamato – nè d’altronde avrebbe gli strumenti per farlo – a supplire a deficienze probatorie concernenti la situazione personale del richiedente, dovendo a tal riguardo soltanto effettuare la verifica di credibilità prevista nel suo complesso dal già citato art. 3, comma 5;

2.10. poste tali premesse, il Giudice di merito ha correttamente tenuto ben distinto il piano della situazione personale del richiedente da quello della situazione complessiva del Paese di provenienza poichè: a) quanto al primo aspetto, il Giudice di merito, con valutazione non sindacabile in questa sede, ha ritenuto che il racconto del ricorrente fosse privo di credibilità sulla base degli elementi dianzi descritti; b) quanto al secondo aspetto, lo stesso Giudice ha esaminato la situazione del ***** come evincibile da report ufficiali aggiornati (report Ministero degli Esteri del febbraio 2018), puntualmente citati in motivazione, ed ha escluso l’esistenza di condizioni rilevanti ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c) dando atto che la violenza dovuta alle forze terroriste era limitato ad alcuni territori, in cui non era compresa la regione di origine del *****, menzionando, per completezza, alcuni precedenti di legittimità, seppure emessi nel 2017, parimenti relativi a “ricorsi di cittadini ***** provenienti dal distretto del *****”, escludendo dunque la sussistenza, nella zona di provenienza del ricorrente, di una situazione di conflitto armato e quindi di violenza indiscriminata;

2.11. tale valutazione, compiuta sulla base della pertinente documentazione indicata, attiene al merito della controversia e si sottrae al sindacato di legittimità di questa Corte;

2.12. il Tribunale ha invero effettuato compiutamente l’accertamento che doveva, utilizzando il rapporto già menzionato, mentre il motivo fa riferimento (in particolare alle pagg. 7-9) ad elementi istruttori di segno diverso, la cui esistenza non risulta dedotta nella fase di merito, sicchè per tale aspetto la censura risulta essere anche nuova (cfr. Cass. n. 780/2019in motiv.), e che non risultano, inoltre, assistiti da alcuna dimostrazione della loro decisività ai fini del decidere, trattandosi di rapporti internazionali di data anteriore alle fonti consultate dal Tribunale o dal contenuto generico, senza alcun specifico riferimento alla zona di provenienza del richiedente;

2.13. è opportuno, inoltre, evidenziare, con riguardo alla censura circa il preteso errato richiamo, da parte del Tribunale, alla guerra civile quale elemento connesso al riconoscimento della protezione sussidiaria, che il concetto di “conflitto armato interno” di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 ricomprende, con evidenza, ogni situazione di guerra civile;

3.1. con il terzo motivo di ricorso il ricorrente censura la sentenza aì sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 denunciando, in rubrica, “violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6” perchè il Tribunale avrebbe erroneamente respinto la domanda di protezione umanitaria “non presentando il richiedente alcuna malattia, essendo in età adulta, privo di legami specifici e personali con il nostro Paese”;

3.2. il ricorrente sostiene, infatti, che sussista per lo stesso “una minaccia grave contro la propria vita derivante da violenza indiscriminata e… da situazioni di conflitto interno nel proprio paese o che scaturiscono da ingiustificati motivi di vendetta personale contro la sua persona”;

3.3. il motivo va respinto sulla base delle medesime considerazioni illustrate con riguardo al secondo motivo di ricorso circa la situazione complessiva del Paese di provenienza, dovendo altresì rimarcarsi che l’intrinseca inattendibilità del racconto del ricorrente, affermata dai Giudici di merito, costituisce motivo sufficiente anche per negare la protezione di cui trattasi, che deve ovviamente basarsi su specifiche e plausibili ragioni di fatto (cfr. Cass. n. 27438/2016), legate alla situazione concreta e individuale del richiedente (cfr. Cass. n. 4455/2018, par. 7);

2. sulla scorta di quanto sin qui illustrato, il ricorso va integralmente respinto;

3. nulla sulle spese stante la mancata costituzione del Ministero;

4. non sussistono le condizioni per l’applicazione del raddoppio del contributo unificato, risultando il ricorrente ammesso al patrocinio a spese dello Stato.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Corte di Cassazione, Sezione Prima Civile, il 30 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 24 maggio 2019

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