Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.14300 del 24/05/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – Consigliere –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 21872-2018 proposto da:

K.A., domiciliato in ROMA, presso la Cancelleria della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso dall’Avvocato ENNIO CERIO giusta procura speciale estesa in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore elettivamente domiciliato in ROMA, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che lo rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

avverso il decreto del TRIBUNALE DI CAMPOBASSO, depositato l’8.6.2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 30.4.2019 dal Consigliere Dott.ssa ANTONELLA DELL’ORFANO.

RILEVATO

CHE:

K.A. propone ricorso, affidato ad unico motivo, per la cassazione del provvedimento indicato in epigrafe, con cui il Tribunale di Campobasso aveva respinto la sua domanda di riconoscimento di protezione sussidiaria e, in via subordinata, di protezione per motivi umanitari;

la domanda del ricorrente era stata motivata in ragione dei rischi di rientro nel suo Paese d’origine (*****) dovuti al suo vissuto personale, narrando di essere stato costretto, per fornire sostegno economico alla madre ed alla sorella, a trasferirsi presso la capitale dello Stato, ove era stato aggredito da banditi, ragione per la quale, in una “situazione di insicurezza del paese”, aveva deciso di espatriare;

il Ministero dell’Interno resiste con controricorso.

CONSIDERATO

CHE:

1. preliminarmente deve essere disattesa l’eccezione di non autosufficienza del ricorso per violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, posto che, a differenza di quanto si sostiene nel controricorso, il decreto è stato sottoposto a specifica impugnazione nel rispetto dell’art. 366 c.p.c., comma 1, ed avendo il ricorrente corredato l’atto degli elementi essenziali, descrittivi tanto della vicenda fattuale, quanto della vicenda processuale (pagg. 1-2 del ricorso), volti a riassumere ed illustrare le ragioni ed i presupposti della richiesta di protezione internazionale, con la conseguenza che il ricorso per cassazione si palesa adeguato a consentire alla Corte di comprendere le censure prospettate fornendo una conoscenza del “fatto”, sostanziale e processuale, sufficiente per intendere correttamente il significato e la portata delle critiche rivolte alla pronuncia oggetto di impugnazione, oggetto dei motivi di ricorso di seguito illustrati;

2.1 poste tali premesse, il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 censurando il decreto impugnato per avere il Tribunale respinto la domanda di protezione sussidiaria ed umanitaria senza assumere informazioni precise e aggiornate circa la situazione generale esistente nel Paese d’origine del richiedente tutela;

2.2. dall’esame del provvedimento impugnato emerge che il Tribunale ha fondato, in primo luogo, il proprio convincimento sul dato della mancanza di credibilità soggettiva del richiedente, evidenziando che i motivi di allontanamento prospettati nel ricorso non erano attendibili, essendo indicati in maniera estremamente vaga e generica, trattandosi inoltre di “motivazioni familiari ed economiche”, avendo il ricorrente narrato che “suo fratello avrebbe preteso di occupare da solo la casa lasciata in eredità dal padre e di aver dovuto quindi lavorare per sostenere la madre, per poi trasferirsi nella capitale dove sarebbe stato vittima di aggressione da parte di “banditi””, non risultando altresì che egli avesse “mai svolto attività politica” e che avesse “fatto… ricorso alle istituzioni di sicurezza del suo territorio benchè le stesse non potessero essere specificamente sospettate di inquinamento e/o collusione”;

2.3. va premesso che il D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, comma 1, lett. g) e h) conformemente al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 2,comma 1, lett. f) e g) definisce “persona ammissibile alla protezione sussidiaria” il “cittadino straniero che non possiede i requisiti per essere riconosciuto come rifugiato ma nei cui confronti sussistono fondati motivi di ritenere che, se ritornasse nel Paese di origine, o, nel caso di un apolide, se ritornasse nel Paese nel quale aveva precedentemente la dimora abituale, correrebbe un rischio effettivo di subire un grave danno come definito dal presente decreto e il quale non può, o, a causa di tale rischio, non vuole avvalersi della protezione di detto Paese”;

2.4. la definizione di “danno grave” è fornita dal successivo art. 14 il quale lo identifica: a) nella condanna a morte; b) nella tortura o altra forma di pena o trattamento inumano o degradante; c) nella minaccia grave e individuale alla vita derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale;

2.5. questa Corte (cfr. da ultimo Cass. n. 3016/2019) è già reiteratamente intervenuta a chiarire quale sia, nell’ambito della domanda di protezione sussidiaria, il riparto degli oneri di allegazione e prova, ed in qual senso debba essere intesa la nozione di “cooperazione istruttoria” invocata dal ricorrente, ricondotta alla previsione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 in particolare comma 5;

2.6. in primo luogo, l’attenuazione del principio dispositivo in cui la “cooperazione istruttoria” consiste si colloca non dal versante dell’allegazione, ma esclusivamente da quello della prova, in quanto l’allegazione deve essere adeguatamente circostanziata, dovendo il richiedente presentare “tutti gli elementi e la documentazione necessari a motivare la… domanda”, ivi compresi “i motivi della sua domanda di protezione internazionale” (D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, commi 1 e 2), con la precisazione che l’osservanza degli oneri di allegazione si ripercuote sulla verifica della fondatezza della domanda medesima, sul piano probatorio, giacchè, in mancanza di altro sostegno, le dichiarazioni del richiedente sono considerati veritiere soltanto, tra l’altro, “se l’autorità competente a decidere… ritiene che: a) il richiedente ha compiuto ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda; b) tutti gli elementi pertinenti in suo possesso sono stati prodotti ed è stata fornita una idonea motivazione dell’eventuale mancanza di altri elementi significativi” (D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, commi 5);

2.7. ne consegue che solo quando colui che richieda il riconoscimento della protezione internazionale abbia adempiuto l’onere di allegare i fatti costitutivi del suo diritto, sorge il potere-dovere del giudice di accertare anche d’ufficio se, ed in quali limiti, nel Paese straniero di origine dell’istante si registrino i fenomeni tali da giustificare l’accoglimento della domanda nella fattispecie anche in questo caso oggettivamente dedotta, ossia ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2017, art. 14, lett. c), (cfr. Cass. n. 17069/2018);

2.8. per converso, se l’allegazione manca, l’esito della domanda è segnato, in applicazione del principio secondo cui la domanda di protezione internazionale non si sottrae all’applicazione del principio dispositivo, sicchè il ricorrente ha l’onere di indicare i fatti costitutivi del diritto azionato, pena l’impossibilità per il Giudice di introdurli d’ufficio nel giudizio (cfr. Cass. n. 19197/2015);

2.9 è opportuno inoltre osservare che, una volta assolto l’onere di allegazione, il dovere del giudice di cooperazione istruttoria – i.e. di acquisizione officiosa degli elementi istruttori necessari – è circoscritto alla verifica della situazione obbiettiva del paese di origine, e non alle individuali condizioni del soggetto richiedente; in particolare (cfr. Cass. nn. 14006/2018, 13858/2018), in tema di protezione sussidiaria dello straniero, prevista nella già citata fattispecie contemplata dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), l’ipotesi della minaccia grave ed individuale alla vita o alla persona di un civile derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale implica, alternativamente: una contestualizzazione della minaccia suddetta, in rapporto alla situazione soggettiva del richiedente, laddove il medesimo sia in grado di dimostrare di poter essere colpito in modo specifico, in ragione della sua situazione personale; ovvero la dimostrazione dell’esistenza di un conflitto armato interno nel Paese o nella regione, caratterizzato dal ricorso ad una violenza indiscriminata, che raggiunga un livello talmente elevato da far sussistere fondati motivi per ritenere che un civile, rientrato nel paese in questione o, se del caso, nella regione in questione, correrebbe, per la sua sola presenza su quel territorio, un rischio effettivo di subire detta minaccia;

2.10 ne consegue che, mentre il Giudice è anche d’ufficio tenuto a verificare – elettivamente, ma non esclusivamente, attraverso lo scrutinio dei c.d. c.o.i., country of origin informations – se nel paese di provenienza sia oggettivamente sussistente una situazione di violenza indiscriminata talmente grave da costituire ostacolo al rimpatrio del richiedente, egli non può essere chiamato – nè d’altronde avrebbe gli strumenti per farlo – a supplire a deficienze probatorie concernenti la situazione personale del richiedente, dovendo a tal riguardo soltanto effettuare la verifica di credibilità prevista nel suo complesso dal già citato art. 3, comma 5;

2.11. poste tali premesse, la censura del ricorrente va disattesa sul profilo relativo al timore di persecuzione D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 7 atteso che il Tribunale ha espresso un giudizio negativo sulla credibilità del richiedente sulla base di plurimi elementi ritenuti rilevatori dell’inverosimiglianza della sua narrazione, in maniera del tutto conforme ai parametri cui l’autorità amministrativa e, in sede di ricorso, quella giurisdizionale, sono tenute ad attenersi ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, dell’art. 3, comma 5;

2.12. si tratta di un accertamento di fatto che non può essere in questa sede messo in discussione se non denunciando, ove ne ricorrano i presupposti, il vizio di omesso esame ex art. 360 c.p.c., n. 5, che nella specie non è censurato;

2.13. la censura di mancata valutazione del generale contesto politico e ordinamentale del Paese di provenienza in relazione alle condizioni di violenza indiscriminata, di cui all’art. 14 cit., va parimenti respinta avendo il Giudice del merito preso in esame, escludendone la sussistenza, la situazione oggettiva che potrebbe giustificare il riconoscimento della misura della protezione sussidiaria, laddove ha affermato, circa la situazione della *****, sulla base di elementi conoscitivi messi a disposizione da organismi internazionali, quali Amnesty International, ed anche previo esame del sito web “*****”, che erano cessati la guerra intestina e gli atti di violenza civile e di rappresaglia intervenuti successivamente alle elezioni presidenziali del 2010 e le successive elezioni nel 2015 si erano svolte senza gravi e significativi episodi di violenza;

2.14. il ricorrente, inoltre, neppure indica, se non in termini vaghi e generici, quale sarebbe la situazione oggettiva che il Giudice del merito avrebbe dovuto esaminare e valutare nella prospettiva indicata;

2.15. la doglianza relativa al mancato riconoscimento della protezione umanitaria – ai cui fini, in esplicazione residuale del diritto di asilo basato sull’adempimento degli obblighi costituzionali e convenzionali dello Stato italiano D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 32 in relazione al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, è sufficiente un quid minus in termini di vulnerabilità oggettiva rispetto alla protezione sussidiaria – va respinta per ragioni del tutto analoghe, risultando, come si è detto, del tutto astratta e svincolata dalla fattispecie concreta la deduzione di una vulnerabilità oggettiva, al cui proposito il Tribunale ha negato che nel Paese di origine del ricorrente fosse in atto una situazione di grave instabilità politica o gravi e incontrollati episodi di violenza, e sul rilievo ulteriore che l’intrinseca inattendibilità del racconto del ricorrente, affermata dai Giudici di merito, costituisce motivo sufficiente anche per negare la protezione di cui trattasi, che deve ovviamente basarsi su specifiche e plausibili ragioni di fatto (cfr. Cass. n. 27438/2016), legate alla situazione concreta e individuale del richiedente (cfr. Cass. n. 4455/2018, par. 7);

3. sulla scorta di quanto sin qui illustrato, il ricorso va integralmente respinto;

4. le spese processuali, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza;

5. sussistono le condizioni per l’applicazione del raddoppio del contributo unificato, risultando in atti il rigetto della richiesta del ricorrente di ammissione al patrocinio a spese dello Stato.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al rimborso, in favore del Ministero controricorrente, delle spese sostenute per questo giudizio di legittimità, liquidate in Euro 2.100,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Corte di Cassazione Sezione Prima Civile, il 30 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 24 maggio 2019

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