Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.14321 del 24/05/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. IOFRIDA Giulia – Presidente –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 15230/2014 proposto da:

B.M., in proprio ed anche nella qualità di rappresentante dello Studio *****, elettivamente domiciliato in Roma, via Monte Amiata n. 33, presso lo studio dell’avvocato Fusco Michela, rappresentato e difeso dagli avvocati Mancini Roberto, Reversi Daniele, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

Fallimento ***** s.r.l. in Liquidazione;

– intimato –

avverso il decreto n. 62/2014 del TRIBUNALE di VERONA, depositato il 15/05/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 20/12/2018 dal cons. Dott. ALDO ANGELO DOLMETTA.

FATTI DI CAUSA

1.- B.M., “rappresentante dello Studio *****”, ha presentato domanda di insinuazione in via privilegiata nel passivo fallimentare della s.r.l. *****, per prestazioni professionali svolte a favore di questa società, quando era in bonis.

La domanda è stata solo parzialmente accolta, avendo il giudice delegato ammesso il credito per una somma minore di quella richiesta e in via di chirografo.

2.- Nei confronti di tale provvedimento B.M. ha proposto opposizione L. Fall., ex art. 98 avanti al Tribunale di Verona. L’impugnazione è stata rigettata con decreto depositato in data 15 maggio 2014.

3.- Il Tribunale ha ritenuto, in particolare, l'”inammissibilità della domanda di opposizione (la domanda di insinuazione allo stato passivo era stata presentata dal diverso soggetto Dott. B.M. nella veste di rappresentante dello Studio *****, unico a essere eventualmente legittimato a opporsi a un provvedimento su di una propria domanda di ammissione allo stato passivo)”.

Pure ha rilevato, in addizione, che “in ogni caso, nel merito… vi è prova documentale (mandato professionale rilasciato dalla società poi fallita in bonis e fatturazione emessa) che l’incarico è stato conferito all’associazione professionale, unico soggetto portatore della ragione di credito”.

4.- Avverso il decreto del Tribunale veronese B.M., “in proprio e anche, ove occorrer possa, in qualità di rappresentante dello Studio *****”, ha proposto reclamo, articolando tre motivi di cassazione.

Il Fallimento non ha svolto difese in questo grado di giudizio.

RAGIONI DELLA DECISIONE

5.- Il primo motivo di ricorso assume “nullità del decreto reso dal Tribunale di Verona o nullità del procedimento di opposizione L. Fall., ex art. 98 (v. art. 360 c.p.c., n. 4) e/o violazione o falsa applicazione di legge (art. 360 c.p.c., n. 3), con mancato rispetto dei principi rivenienti dalla L. Fall., artt. 98 e 99, artt. 81 e 323 c.p.c. e ss., letti in combinato disposto con gli artt. 1117 c.c. ss., da un lato, e con gli artt. 2232,2247,38,2267-2268 e 2615 c.c., dall’altro, per avere il Tribunale di Verona affermato il ricorrere di una netta e incompatibile differenza, con conseguente dedotta alterità sul piano soggettivo, intercorrente tra il professionista intellettuale e l’associazione professionale nella quale questi faccia parte, con, quale conseguenza ulteriore, la rilevata carenza di legittimazione a impugnare lo stato passivo dichiarato esecutivo in capo al singolo professionista ove il procedimento di prima istanza abbia visto la presenza in giudizio, quale parte, dello studio associato”.

Nella sostanza, il motivo si concretizza nell’affermare “la piena legittimazione – anche in capo al Dott. B. in proprio, cioè – ad opporre lo stato passivo. E ciò anche a fronte dell’eventualità per cui… nel precedente procedimento conclusosi per l’accertamento del credito, l’istanza fosse stata se del caso formulata dall’associazione professionale”.

L’assunto viene fatto discendere – nei termini di “ricaduta” consequenziale – dal più generale assunto per cui “quella impersonata dallo studio professionale associato (è) posizione soggettiva del tutto anomala o quantomeno peculiare”. Assunto che pure comporta – quasi a mò di medio logico, anzi, tra questa premessa e la sopra riferita inferenza – che, per l’associazione professionale, si determina una situazione di “indifferenza, da un punto di vista sostanziale e anche processuale, relativamente al soggetto (i.d.: lo studio professionale ovvero uno degli associati) che agisca in giudizio per tutelare gli interessi e le ragioni riconnesse al conferimento di un incarico professionale”.

A supporto ulteriore della tesi così sviluppata, il ricorrente segnala poi come la giurisprudenza di questa Corte abbia “parificato l’associazione professionale, fra gli altri, al condominio” (viene richiamata, al riguardo, la pronuncia di Cass., 28 luglio 2010, n. 17683). Per aggiungere che “in materia di condominio, è pacifico il principio secondo cui – resa in prime cure la sentenza nei confronti dell’ente – il singolo condominio ha ogni pieno potere di gravare la decisione”, come pure ripetuto da più pronunce di questa Corte. E ancora marcare, al riguardo, la sussistenza di un forte “parallelismo tra studio professionale associato e condominio (o ente di gestione)”, entrambi privi di “proprio e separato patrimonio”, a differenza di quanto accade nelle “società semplici, consorzi e associazioni non riconosciute”.

6.- Il motivo non merita di essere accolto.

Per entrare in modo opportuno nel merito della relativa disamina, è importante fissare, prima di ogni altra cosa, taluni punti di base.

Secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di questa Corte – è bene dunque rilevare -, l’associazione professionale costituisce un centro autonomo di imputazione e di interessi, tanto nel caso in cui assuma la titolarità dei rapporti di prestazione d’opera, quanto in quello in cui si limiti a dare vita a una condivisione di segreteria (cfr., tra le più pronunce, Cass., 13 aprile 2007, n. 8853; Cass., n. 17683/2010, già sopra richiamata). Da ciò tra l’altro discende pure che, naturalmente, lo studio associato e i singoli professionisti, che vi si associano, costituiscono dei centri di imputazione e di interessi distinti tra loro.

Punto altrettanto sicuro – perchè non meno consolidato nella giurisprudenza di questa Corte – può dirsi quello per cui il procedimento di opposizione all’esclusione dallo stato passivo si configura come giudizio che ha natura impugnatoria rispetto alla verifica compiuta in prima battuta dal giudice delegato (cfr. ex multis, Cass., 3 novembre 2017, n. 26225).

Ne consegue che il tema, posto dal motivo in esame, si focalizza in buona sostanza sulla questione se – nell’ambito della figura dell’associazione tra professionisti – un centro di interessi diverso da quello che ha presentato la domanda nel primo grado del giudizio possa, pur non avendo preso parte allo stesso, impugnare il provvedimento di rigetto della detta domanda.

7.- A tale quesito non si può che dare risposta negativa. Così come ha ritenuto il decreto impugnato.

E’ invero principio comune che la legittimazione a impugnare spetta (solo) a chi è stato parte del processo concluso con la pronuncia che viene impugnata. Del resto, il tenore della norma della L. Fall., art. 98, comma 2, non manca di riscontrare che “con l’opposizione il creditore… contesta che la propria domanda sia stata accolta solo in parte o sia stata respinta”.

Da quest’angolo visuale si manifesta dunque irrilevante e inconferente l’affermazione del ricorrente per cui è in sè indifferente se ad agire – per il riconoscimento di un credito da prestazione professionale e per la condanna al relativo pagamento – è l’associazione o uno dei suoi associati.

Per determinare la legittimazione all’impugnazione, in effetti, non si può che fare comunque riferimento a chi, nella concreta dinamica dei fatti processuali, è stato parte nel giudizio concluso con l’impugnanda sentenza.

8.- Non condivisibile risulta, d’altro canto, neppure l’assunto di base del ricorrente, per cui è in sè indifferente – in punto di legittimazione – se ad agire per il recupero del credito da prestazione professionale è l’associazione ovvero il singolo associato.

Secondo un indirizzo sviluppato da questa Corte, nel caso in cui i professionisti si associno “per dividere le spese e gestire congiuntamente i proventi dell’attività”, senza trasferire all’associazione la titolarità dei rapporti di prestazione d’opera, la relativa legittimazione attiva fa capo esclusivamente ai singoli associati interessati (Cass., 22 marzo 2007, n. 6994). Non diversamente, nel caso in cui i rapporti, di cui all’attività professionale, siano stato attribuiti all’associazione, questa risulta l’unica legittimata per lo svolgimento delle conseguenti azioni (Cass., 15 luglio 2011, n. 15694).

Non contraddice – per il punto della legittimazione – questo orientamento il più recente, e sfumato, indirizzo formulato da questa Corte che non esclude l’eventualità che l’associazione possa chiedere l’ammissione al passivo anche per crediti di “pertinenza” propria dei singoli associati (cfr. Cass., 31 marzo 2016, n. 6285; Cass., 20 aprile 2018, n. 9927). In effetti, tale orientamento fa riferimento sostanziale all’ipotesi in cui la “pertinenza” propria del singolo associato si pone non a livello esterno (di rapporti con il cliente, cioè), bensì a quello interno, come appunto corrente tra gli accordi ripartitori tra i diversi associati (illuminante resta, al riguardo, la sentenza di Cass., 23 maggio 1997, n. 4628). Rimane in ogni caso fermo, poi, che il singolo associato non è, in quanto tale, legittimato ad agire per il recupero dei crediti propri dell’associazione.

9.- Non viene a mutare l’indicato stato delle cose il “parallelismo” strutturale che il ricorrente ritiene sussistere – richiamando la giurisprudenza di questa Corte, e in particolare la pronuncia di Cass., n. 17683/2010 – tra la figura dell’associazione professionale e quella del condominio.

In realtà, questa pronuncia si limita, in sostanza, a ripetere quanto già rilevato dal precedente di Cass., n. 4628/1997, la quale – nel superare precedenti incertezze manifestate dalla Corte sul punto della “soggettiva autonomia giuridica” dell’associazione – ebbe a rilevare che, “quantunque privo di autonoma personalità giuridica, lo studio associato rientra, a pieno titolo, nel novero di quei fenomeni di aggregazione di interessi (quali sono, ad esempio, le società personali, le associazioni non riconosciute, i condomini edilizi, i consorzi con attività esterna, ed ora altresì i gruppi Europei di interesse economico di cui anche liberi professionisti possono essere membri) cui la legge attribuisce la capacità di porsi come autonomi punti di imputazione di rapporti giuridici, e che sono perciò dotati di capacità di stare in giudizio come tali”.

Si tratta, com’è evidente, di un richiamo di mero genere, oltre che solamente esemplificativo, di una serie variegata di figure. Che ha, quindi, il significato di una indicazione di carattere descrittivo e che, perciò, si manifesta in sè stesso inidoneo ad accreditare una qualunque ipotesi di integrazione disciplinare.

Del resto, la differenza strutturale che intercorre tra una figura di comunione di bene, qual è il condominio, e una figura di svolgimento in comune di un’attività o di messa in comune di servizi, secondo quanto è proprio dell’associazione professionale, può solo condurre, al più, ad accostamenti di tratto generico e di segno descrittivo.

10.- Il secondo motivo di ricorso richiama “violazione e/o falsa applicazione di legge (art. 360 c.p.c., n. 3) e/o nullità del provvedimento impugnato o del procedimento (art. 360 c.p.c., n. 4) in ragione dell’erronea lettura dell’art. 156 c.p.c.interpretato in combinato con l’art. 77 c.p.c. per avere il Tribunale di Verona dichiarato l’inammissibilità dell’opposizione allo stato passivo in forza, al momento di svolgere l’insinuazione, di una pur non equivoca affermazione di contemplatio del soggetto rappresentato (ossia dello studio professionale) ricavandone appunto, a fronte del rilievo per cui l’azione in via di opposizione fu esperita dal singolo professionista, l’irricevibilità del relativo ricorso; o, alternativamente, in forza, al momento di opporre lo stato passivo, di una analogamente inequivoca affermazione di contemplatio del soggetto rappresentato (ossia, ed ancora, dello studio professionale) ricavandone, a fronte del fatto che l’insinuazione era stata svolta dallo studio professionale, l’irrituale proposizione dell’opposizione L. Fall., ex art. 98”.

Nel suo svolgimento sostanziale, il motivo viene poi ad articolarsi in due distinte – e, di per sè, tra loro alternative – censure al decreto impugnato.

La prima è che questo ha errato nel ritenere che a proporre la domanda di insinuazione fu lo studio associato e non B.M.. A sostegno di questa tesi, il ricorrente rileva che, nel concreto, la domanda di insinuazione fu svolta dal “dottore commercialista B.M…. rappresentante dello Studio per contro – si argomenta – se lo studio avesse insinuato un credito proprio, la dicitura avrebbe dovuto essere “Studio…, in persona del legale rappresentante B.M.”.

La seconda è che, a volere ammettere che “l’insinuazione fu svolto dal Dott. B. quale “rappresentante” dello Studio”, allora si sarebbe dovuto concludere che pure l’opposizione era stata presentata nei medesimi termini, in quanto le “prestazioni da remunerare erano state appunto rese “nel contesto dell’attività svolta dallo Studio””.

11.- Il motivo è inammissibile.

Lo stesso, infatti, sollecita una nuova valutazione dei dati fattuali posti alla base del giudizio relativo alla mancanza di legittimazione del soggetto che, nel concreto, presentò l’opposizione di cui alla L. Fall., art. 98.

D’altro canto, le valutazioni compiute al riguardo dal Tribunale di Verona si manifestano senz’altro ragionevoli, essendo le stesse fondate sulla piana interpretazione testuale della domanda di insinuazione e del ricorso in opposizione.

12.- Il terzo motivo assume “violazione e/o falsa applicazione (art. 360 c.p.c., n. 3) dell’art. 2751 bis c.c., per essersi erroneamente escluso il privilegio assicurato dalla disposizione de qua in ragione del puro e semplice rilievo della circostanza per cui, nel testo mandato professionale dall’adempimento del quale sorsero poi i crediti oggetto dell’insinuazione, risultava contemplato un riferimento allo studio professionale nel cui ambito si trovava a operare il singolo libero professionista che poi maturò il diritto al compenso, dando così centrale e decisivo peso al solo momento genetico del rapporto, senza poi considerarne lo svolgimento in concreto”.

Il mancato accoglimento dei primi due di ricorso, relativi al tema della legittimazione a impugnare, comporta assorbimento del terzo motivo, che riguarda il merito della controversia.

13.- In conclusione, il ricorso dev’essere respinto.

Non vi è da provvedere sulle spese del presente giudizio, non essendosi costituito l’intimato Fallimento.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, secondo il disposto del comma 1 bis dell’art. 13.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Prima Civile, il 20 dicembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 24 maggio 2019

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