LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE T
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GRECO Antonio – Presidente –
Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – Consigliere –
Dott. LUCIOTTI Lucio – rel. Consigliere –
Dott. CASTORINO Rosaria Maria – Consigliere –
Dott. DELL’ORFANO Antonella – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 22722/2017 R.G. proposto da:
G.G., rappresentato e difeso, per procura speciale in calce al ricorso, dall’avv. Daniela ETNA, presso il cui studio legale sito in Roma, alla via Renato Cesarini, n. 97, è
elettivamente domiciliata;
– ricorrente –
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE, C.F. *****, in persona del Direttore pro tempore;
– intimata –
avverso l’ordinanza n. 2201/18 della Corte di cassazione, depositata il 30/01/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 27/02/2019 dal Consigliere Lucio LUCIOTTI.
RILEVATO
che:
– G.G. propone ricorso per revocazione, ex art. 395 c.p.c., comma 1, n. 4, sulla base di un unico motivo, cui non replica l’intimata, avverso l’ordinanza in epigrafe indicata, con cui questa Corte ha accolto il ricorso proposto dall’Agenzia delle entrate avverso la sfavorevole sentenza di appello pronunciata nel giudizio di impugnazione di un diniego di rimborso dei contributi versati dal contribuente, dipendente della Banca Commerciale Italiana, sul fondo aziendale di previdenza complementare, rigettando, ex art. 384 c.p.c., l’impugnazione originariamente proposta dal contribuente avverso il predetto diniego;
– sulla proposta avanzata dal relatore risulta regolarmente costituito il contraddittorio, all’esito del quale il ricorrente ha depositato memoria.
CONSIDERATO
che:
– il ricorrente lamenta che nell’ordinanza impugnata per revocazione questa Corte non aveva preso in considerazione “le due sentenze n. Cass. 27078/2006 e Cass. 27079/2016, che trattavano casi identici a quello del Sig. G.” (ricorso, pag. 4) e deciso in senso opposto;
– il motivo è inammissibile;
– richiamando quanto affermato da Cass. n. 20635 del 2017, va ricordato che l’errore revocatorio, previsto dall’art. 395 c.p.c., n. 4, deve consistere in un errore di percezione e deve avere rilevanza decisiva, oltre a rivestire i caratteri dell’assoluta evidenza e della rilevabilità sulla scorta del mero raffronta tra la sentenza impugnata e gli atti o documenti del giudizio, senza che si debba, perciò, ricorrere all’utilizzazione di argomentazioni induttive o a particolari indagini che impongano una ricostruzione interpretativa degli atti medesimi; in particolare questa Corte (Cass. n. 17443 del 2008) ha chiarito che “l’errore di fatto, quale motivo di revocazione della sentenza ai sensi dell’art. 395, richiamato per le sentenze della Corte di cassazione dall’art. 391-bis c.p.c., deve consistere in una falsa percezione di quanto emerge dagli atti sottoposti al suo giudizio, concretatasi in una svista materiale su circostanze decisive, emergenti direttamente dagli atti con carattere di assoluta immediatezza e di semplice e concreta rilevabilità, con esclusione di ogni apprezzamento in ordine alla valutazione in diritto delle risultanze processuali”;
– a quanto detto e con specifico riferimento al caso di specie, in cui il ricorrente sostiene che il contestato contrasto della decisione impugnata con altri due diverse pronunce di questa Corte costituisca errore di percezione degli elementi emergenti dagli atti processuali e non, piuttosto, error in indicando, questa Corte ha affermato che “L’errore di fatto previsto dall’art. 395 c.p.c., n. 4, idoneo a costituire motivo di revocazione delle sentenze emesse nel giudizio di cassazione deve consistere – al pari dell’errore revocatorio imputabile al giudice di merito – nel supporre come sussistente un fatto incontrastabilmente insussistente ovvero l’inverso, sempre che il fatto medesimo non sia stato punto controverso sul quale la Suprema Corte si sia pronunciata e rientri nell’ambito di quelli rimessi all’autonoma e diretta percezione del giudice di legittimità, restando escluso dall’ambito della revocazione il riesame del precedente giudizio di cassazione. Detto errore, pertanto, non può evidentemente essere integrato dall’omesso esame di un precedente giurisprudenziale richiamato e prodotto dalla parte, in quanto questo costituisce un’allegazione difensiva e non un fatto su cui possa verificarsi l’errore revocatorio” (Cass., Sez. L, Sentenza n. 3735 del 28/03/2000); a ciò aggiungasi che l’errore di giudizio o di valutazione quale causa di revocazione non si ricava neppure dal disposto di cui all’art. 111 Cost. (Cass., Sez. 1, Sentenza n. 3200 del 07/02/2017);
– inammissibile è anche il ricorso proposto con riferimento all’art. 395 c.p.c., n. 5, “trattandosi di motivo di revocazione non contemplato dalla disciplina positiva; nè è possibile pervenire, in via interpretativa, ad una differente soluzione per le sentenze che abbiano deciso nel merito ai sensi dell’art. 384 c.p.c. giacchè l’art. 391 ter c.p.c., introdotto dal D.Lgs. n. 40 del 2006, pur ampliando il novero dei mezzi di impugnazione esperibili avverso dette pronunce, non ha incluso tale ipotesi” (Cass., Sez. U, Sentenza n. 23833 del 23/11/2015, Rv. 637609-01);
– conclusivamente, il ricorso va dichiarato inammissibile, senza necessità di provvedere sulle spese non avendo l’intimata svolto difese.
P.Q.M.
dichiara il ricorso inammissibile.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, il 27 febbraio 2019.
Depositato in Cancelleria il 27 maggio 2019