Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Sentenza n.14415 del 27/05/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Antonio – Presidente –

Dott. D’ANTONIO Enrica – Consigliere –

Dott. FERNANDES Giulio – rel. Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 23717-2016 proposto da:

V.M.G., domiciliata in ROMA PIAZZA CAVOUR presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato FILOMENA PALERMO;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona del Presidente e legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli Avvocati CLEMENTINA PULLI, MAURO RICCI, EMANUELA CAPANNOLO;

– resistente con mandato –

avverso la sentenza n. 93/2015 della CORTE D’APPELLO di POTENZA, depositata il 14/05/2015 R.G.N. 167/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 05/03/2019 dal Consigliere Dott. GIULIO FERNANDES;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FRESA Mario, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato FILOMENA PALERMO;

udito l’Avvocato MANUELA MASSA per delega verbale Avvocato CLENEMTINA PULLI.

FATTI DI CAUSA

Con sentenza del 14 maggio 2015 la Corte d’appello di PotenZa confermava la decisione del Tribunale di Lagonegro di rigetto della domanda proposta da V.M.G. volta al riconoscimento del diritto all’assegno di invalidità ai sensi della L. 30 marzo 1971, n. 118.

La Corte territoriale rilevava che, all’esito degli accertamenti medico-legali disposti nel corso del giudizio di primo grado e confermati anche dalla consulenza tecnica nuovamente disposta in appello, era emerso che la V. era affetta da un quadro morboso tale da renderla invalida nella misura del 74% a decorrere dall’agosto 2012, ovvero da epoca successiva al compimento del 65 anno di età e, comunque, che neppure ricorreva il requisito reddituale risultando il reddito familiare (suo e del coniuge) superiore a quello fissato dalla legge.

Avverso tale decisione la V. proponeva dapprima ricorso per revocazione – avendo la Corte territoriale errato nell’individuare la sua data di nascita, indicata in sentenza nel 12.2.1946, mentre, in realtà era il 12.2.1948 – ricorso rigettato dalla Corte d’appello sul rilievo che non ricorreva la decisività dell’errore essendo fondata l’impugnata sentenza su una duplice “ratio decidendi”.

Indi, proponeva ricorso per cassazione affidato a due motivi; l’INPS depositava procura in calce al’ricorso.

Con ordinanza interlocutoria n. 22246/18 del 12 settembre 2018 la sesta sezione civile di questa Corte cui la causa era stata assegnata ai sensi dell’art. 376 c.p.c., all’esito dell’adunanza del 7 giugno 2018, rilevato che non sussistevano i presupposti per la pronuncia in camera di consiglio, rimetteva gli atti alla sezione semplice (quarta) per la decisione.

In prossimità della pubblica udienza la ricorrente ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso si deduce violazione e falsa applicazione del D.L. 30 dicembre 1979, n. 633, dell’art. 14 septies, comma 5, convertito in L. 29 febbraio 1980, n. 33, del D.L. n. 28 giugno 2013, n. 76 conv. in L. 9 agosto 2013, n. 99, della L. 30 dicembre 1991, n. 412, art. 12 (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) avendo la Corte territoriale erroneamente ritenuto che per stabilire la sussistenza del requisito reddituale si dovesse considerare non solo il reddito personale dell’invalido ma anche quello dei componenti il nucleo familiare, ciò in contrasto con le norme indicate nell’intestazione oltre che con la giurisprudenza consolidata di questa Corte. Con il secondo motivo viene dedotto omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) non avendo la Corte territoriale rilevato che la data di nascita della ricorrente era il ***** e non il ***** – errore, questo, commesso prima dal consulente tecnico d’ufficio nominato in secondo grado, e, poi, ripetuto dal giudicante e sulla scorta del quale si era ritenuto che all’epoca del superamento della soglia invalidante – individuata nell’agosto 2012 – la V. avesse già compiuto il 65 anno di età.

Il primo motivo è fondato.

Vale ricordare il quadro normativo relativo alla questione all’esame come ricostruito da questa Corte in altre decisioni aventi ad oggetto le due prestazioni di assistenza, pensione di inabilità e assegno mensile.

Nel dettare una nuova disciplina delle provvidenze a favore dei mutilati e invalidi civili, la L. 30 marzo 1971, n. 118previde la concessione a carico dello Stato ed a cura del Ministero dell’Interno – di una pensione di inabilità, per i soggetti maggiori di 18 anni nei cui confronti fosse stata accertata una totale inabilità lavorativa (art. 12) e la corresponsione, per i periodi di incollocamento al lavoro, di un assegno mensile ai soggetti di età compresa fra il diciottesimo e il sessantaquattresimo anno, con capacità lavorativa ridotta in misura superiore a due terzi (art. 13). Le condizioni economiche richieste dalla legge per l’assegnazione di entrambe le descritte prestazioni erano le medesime: invero l’art. 12, comma 2 fa riferimento a quelle stabilite dalla L. n. 153 del 1969 e, a sua volta, l’art. 13, comma 1 prevede che l’assegno mensile è concesso “con le stesse condizioni e modalità previste per l’assegnazione della pensione di cui all’articolo precedente”.

Pertanto, considerando quanto previsto dalla L. n. 153 del 1969, art. 26 (norma, quest’ultima che stabilisce le condizioni economiche richieste per la pensione sociale), l’invalido, per aver diritto alla pensione di inabilità come pure all’assegno mensile; non doveva essere “titolare di redditi, a qualsiasi titolo, di importo pari o superiore a Lire 156.000 annue” (così il testo originario dell’art. 26 Legge citata). Successivamente il D.L. 2 marzo 1974, n. 30 (convertito nella L. 16 aprile 1974, n. 114) interviene per elevare l’importo annuo della pensione di inabilità e quello mensile dell’assegno (art. 7) ribadendo (art. 8) che le condizioni economiche per le provvidenze ai mutilati e invalidi civili – si tratti della pensione di inabilità ovvero dell’assegno mensile – “sono quelle previste nel precedente art. 3 per la concessione della pensione sociale” e, nel contempo, stabilendo (appunto nell’art. 3 dettato in parziale sostituzione.; della L. n. 153 del 1969 cit., art. 26) che le condizioni economiche necessarie per la concessione della pensione sociale consistono nel possesso di redditi propri pèr un ammontare non superiore a Lire 336.050 annue, ovvero, in caso di soggetto coniugato, di un reddito, cumulato con quello del coniuge non superiore a Lire 1.320.000 annue. Con il successivo intervento di cui alla L. 21 febbraio 1977 n. 29, art. unico (di conversione, con modificazioni, del D.L. n. 23 dicembre 1976, n. 850) i limiti di reddito di cui al D.L. n. 30 del 1974, art. 8 (che come già detto, richiama quelli previsti dall’art. 3 dello stesso Decreto Legge per la concessione della pensione sociale, a loro volta aumentati, per effetto della L. 3 giugno 1975 n. 160, art. 3 a Lire 1.560.000 per il reddito cumulato e a Lire 505.050 per il reddito personale) sono elevati a Lire 3.120.000 annui, ma esclusivamente per la pensione di inabilità: testuale è invero, il riferimento fatto dal legislatore “agli invalidi civili assoluti di cui alla L. 30 marzo 1971, n. 118, art. 12” mentre nessuna menzione la norma contiene degli invalidi parziali di cui al successivo art. 13. Per questi ultimi devono quindi, per il momento, ritenersi ancora vigenti i limiti reddituali previsti dal ripetuto D.L. n. 30 del 1974, art. 3 come modificati dalla L. n. 160 del 1975, art. 3. E nel contempo, in difetto di una qualsiasi esplicita previsione in tal senso, o, quantomeno, di un sia pure implicito riferimento al D.L. n. 30 del 1974, art. 3 non vi è neppure spazio per una interpretazione del testo normativo che porti ad argomentarne l’intento del legislatore di modificare, per la pensione di inabilità, la disciplina previgente, adottando come parametro di verifica del superamento del limite reddituale il (solo) reddito personale dell’invalido assoluto, ancorchè coniugato. In definitiva, anche l’intervento legislativo in parola non incide sul principio di sistema, per cui il limite reddituale va determinato tenendosi conto del cumulo del reddito dei coniugi sia per la pensione che per l’assegno, mutando soltanto ed esclusivamente per la pensione di inabilità – l’importo massimo da considerare ai tini della verifica del superamento (o meno) del suddetto limite. Evidentemente resosi conto dei limiti di ragionevolezza di una scelta che portava a raddoppiare, per questa sola prestazione assistenziale, il limite di reddito da prendere a riferimento, il legislatore, nel convertire il D.L. n. 30 dicembre 1979, n. 663 con la L. 29 febbraio 1980, n. 33 ha aggiunto la disposizione dell’art. 14 septies (secondo cui: con decorrenza 1 luglio 1980 “il limite di reddito per il diritto all’assegno mensile in favore dei mutilati e degli invalidi civili, di cui alla L. 30 marzo 1971, n. 118, artt. 13 e 17 e successive modificazioni ed integrazioni, è fissato in lire 2.500.000 annui, calcolati agli effetti dell’IRPEF con esclusione del reddito percepito da altri componenti del nucleo familiare di cui il soggetto interessato fa parte) con la quale, nel mentre vengono ancor più elevati i limiti di reddito di cui al il D.L. n. 30 del 1974, art. 8 (portati a Lire 5.200.000 annui rivalutabili annualmente) (comma 4), contestualmente (comma 5), si stabilisce che, per l’assegno mensile in favore dei mutilati e invalidi civili di cui alla L. n. 118 del 1971, artt. 13 e 17 (l’art. 17, poi abrogato dalla L. 21 novembre 1988, n. 508, art. 6 disciplinava l’assegno di accompagnamento per gli invalidi minori di 18 anni), il limite di reddito da considerare è fissato nell’importo di Lire 2.500.000 annue, anch’esso rivalutabile annualmente e “da calcolare con esclusione del reddito percepito da altri componenti del nucleo familiare di cui il soggetto interessato fa parte”.

E’ stato innanzitutto rilevato che l’intervento attuato dal legislatore con l’art. 14 septies, comma 5 cit., tendeva a riequilibrare le posizioni dei mutilati e invalidi civili, a seguito dell’innalzamento del limite reddituale previsto – ma esclusivamente per gli invalidi civili assoluti – dalla L. n. 29 del 1977. Significativo di tale intento è che per l’attribuzione dell’assegno è, bensì, preso a riferimento il solo reddito individuale dell’assistito, ma l’importo da non superare per la pensione di inabilità (comma 4) corrisponde a più del doppio di quello stabilito per l’assegno (Lire 5.200.000 annue a fronte di Lire 2.500.000 annue). In questa prospettiva è stato ritenuto che l’art. 14 septies, comma 5 costituisse deroga all’orientamento generale della legislazione in tema di pensioni di invalidità e di pensione sociale, in base al quale il limite reddituale va determinato tenendosi conto del cumulo del reddito dei coniugi (vedi Corte Cost. sent n. 769 del 1988 e n. 75 del 1991; vedi anche Corte Cost. n. 454 del 1992, in tema di insorgenza dello stato di invalidità dopo il compimento del 65 anno) e, di conseguenza, non esprimesse alcun principio generale con il quale dovrebbero essere coerenti disposizioni particolari. Si è quindi ribadito che la formulazione letterale della norma che fa menzione del solo assegno – fino a quel momento equiparato alla pensione di inabilità quanto alla regola del cumulo con i redditi del coniuge – non può che far concludere nel senso che la prestazione prevista per gli invalidi civili assoluti sia rimasta assoggettata a questa regola.

Una conferma a livello sistematico della esistenza di una disciplina differenziata, quanto al requisito reddituale, per la pensione di inabilità e per l’assegno di assistenza, è stata ravvisata nella L. 30 dicembre 1991, n. 412, art. 12 (da titolo “requisiti reddituali delle prestazioni ai minorati civili”) nella quale la distinzione tra le due prestazioni continua ad essere mantenuta, disponendo la norma che con effetto dal 1 gennaio 1992 ai fini dell’accertamento, da parte del Ministero dell’Interno della condizione reddituale per la concessione delle pensioni assistenziali agli invalidi civili si applica il limite di reddito individuale stabilito per la pensione sociale, con esclusione, tuttavia, degli invalidi totali.

Con riferimento alla sostituzione della L. n. 118 del 1971, art. 13 ad opera della L. 24 dicembre 2007, n. 247, art. 1,comma 35, (secondo cui “1. Agli invalidi civili di età compresa fra il diciottesimo e il sessantaquattresimo anno nei cui confronti sia accertata una riduzione della capacità lavorativa, nella misura pari o superiore al 74 per cento, che non svolgono attività lavorativa e per il tempo in cui tale condizione sussiste, è concesso, a carico dello Stato ed erogato dall’INPS, un assegno mensile di Euro 242,84 per tredici mensilità, con le stesse condizioni e modalità previste per l’assegnazione della pensione di cui all’art. 12.

2. Attraverso dichiarazione sostitutiva, resa annualmente all’INPS ai sensi del testo unico di cui al D.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445, art. 46 e seguenti il soggetto di cui al comma 1 autocertifica di non svolgere attività lavorativa. Qualora tale condizione venga meno, lo stesso è tenuto a darne tempestiva comunicazione all’INPS.”) è stato osservato che “si tratta, all’evidenza, di un intervento con il quale viene ripristinato il collegamento tra le due prestazioni assistenziali quanto alle “condizioni” richieste per la loro assegnazione. Ma il prendere a riferimento, a tal fine, le “condizioni” stabilite per l’assegnazione della “pensione di cui all’art. 12", determinare cioè una equiparazione che si vuole modulata sulla disciplina propria della prestazione prevista per gli invalidi civili assoluti, è di per sè, indicative del fatto che tale disciplina – anche per quanto riguarda le condizioni reddituali rilevanti – è diversa da quella nel frattempo dettata (con la L. n. 33 del 1980, art. 14 septies, comma 5) per l’assegno mensile – non avendo senso, invero, una simile formulazione normativa ove le condizioni reddituali richieste per la pensione di inabilità fossero le stesse previste per l’assegno e, dunque, si dovesse dar rilievo al solo reddito personale dell’invalido, ancorchè coniugato, piuttosto che al reddito di entrambi i coniugi” (Cass. n. 5003 del 2011). Tuttavia tale ultima affermazione va chiarita in quanto, la norma di cui alla L. 24 dicembre 2007, n. 247, art. 1, comma 35, contiene più che una unificazione delle “condizioni” previste per le due prestazioni assistenziali una mera riproduzione dell’originaria dizione dell’art. 13 e non ha inteso abrogare la disposizione speciale dettata per l’assegno di invalidità, con riferimento al limite reddituale per accedere alla prestazione, introdotta dall’art. l’art. 14 septies, comma 5 cit. Del resto che il Legislatore abbia sempre ritenuto che, anche dopo la L. n. 247 del 2007, art. 1, comma 35, per l’assegno di invalidità si dovesse far riferimento solo al reddito personale dell’invalido è chiaramente dimostrato dalla lettera del successivo intervento di cui al D.L. n. 28 giugno 2013, n. 76, recante “Primi interventi urgenti per la promozione dell’occupazione, in particolare giovanile, della coesione sociale, nonchè in materia di Imposta sul valore aggiunto (IVA) e altre misure finanziarie urgenti” conv. nella L. 9 agosto 2013, n. 99, che all’art. 10, comma 5 ha inserito dopo il D.L. 30 dicembre 1979, n. 663, art. 14-septies, comma 6 convertito, con modificazioni, dalla L. 29 febbraio 1980, n. 33, una ulteriore disposizione con la quale si specifica che “Il limite di reddito per il diritto alla pensione di inabilità in favore dei mutilati e degli invalidi civili, di cui alla L. 30 marzo 1971, n. 118, art. 12 è calcolato con riferimento al reddito agli effetti dell’IRPEF con esclusione del reddito percepito da altri componenti del nucleo familiare di cui il soggetto interessato fa parte”. La disposizione si completa con il successivo comma 6 il quale stabilisce che “La disposizione del D.L. 30 dicembre 1979, n. 663, art. 14-septies, comma 7 convertito, con modificazioni, dalla L. 29 febbraio 1980, n. 33, introdotta dal comma 5, si applica anche alle domande di pensione di inabilità in relazione alle quali non sia intervenuto provvedimento definitivo e ai procedimenti giurisdizionali non conclusi con sentenza definitiva alla data di entrata in vigore della presente disposizione, limitatamente al riconoscimento del diritto a pensione a decorrere dalla medesima data, senza il pagamento di importi arretrati. Non si fa comunque luogo al recupero degli importi erogati prima della data di entrata in vigore della presente disposizione, laddove conformi con i criteri di cui al comma 5.”.

Come chiarito in varie pronunzie di questa Corte (ord. n. 27812 del 2013, n. 28565 del 2013 cui ne sono succedute numerose altre), con tale previsione il legislatore ha inteso definire un nuovo regime reddituale senza, tuttavia, pregiudicare le posizioni di tutti quei soggetti che avendo presentato domanda nella vigenza della precedente normativa (da interpretarsi nei termini più sopra riportati) non avessero ancora visto la definizione in sede amministrativa del procedimento ovvero fossero parti di un procedimento giudiziario ancora sub iudice. Quasi a ribadire il suo carattere innovativo, poi, la norma precisa che il diritto alla pensione, sulla base dei nuovi requisiti stabiliti, decorrerà solo dalla data di entrata in vigore della nuova disposizione (28.6.2013) e soggiunge che non possono essere pagati importi arretrati sulle prestazioni riconosciute precisando quindi che, ove tale pagamento sia già intervenuto, le somme erogate non sono comunque recuperabili purchè il loro riconoscimento sia intervenuto prima della data di entrata in vigore del nuovo requisito reddituale e risulti comunque rispettoso dello stesso.

In sostanza, resta confermato anche alla luce del D.L. n. 76 del 2013 conv. in L. n. 99 del 2013 che per l’assegno di invalidità, anche nel periodo successivo alla entrata in vigore della L. n. 247 del 2007, occorre fa riferimento al reddito personale dell’assistito con esclusione del reddito percepito da altri componenti del nucleo familiare di cui il predetto fa parte.

Consegue, con riferimento al caso di specie, che il diritto al beneficio in controversia poteva essere riconosciuto solo previa verifica che i redditi personali della ricorrente non superassero la soglia di legge.

Del pari fondato è il secondo motivo essendo evidente l’errore in cui è incorsa la Corte territoriale nel ritenere la data di nascita della V. il ***** in luogo di quella effettiva del *****.

Alla luce di quanto esposto l’impugnata sentenza va cassata con rinvio alla Corte d’Appello di Salerno che provvederà anche in ordine alle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte, accoglie il ricorso, cassa l’impugnata sentenza e rinvia alla Corte d’appello di Salerno anche per le spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, il 5 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 27 maggio 2019

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