Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Sentenza n.14417 del 27/05/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Antonio – Presidente –

Dott. D’ANTONIO Enrica – Consigliere –

Dott. FERNANDES Giulio – Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

Dott. CALAFIORE Daniela – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 24639/2013 proposto da:

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona del Presidente e legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli Avvocati ANTONELLA PATTERI, SERGIO PREDEN, LUIGI CALIULO;

– ricorrente –

contro

P.F., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GIUSEPPE MARCORA 18/20, presso lo studio dell’avvocato GUIDO FAGGIANI, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 553/2012 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 03/12/2012 R.G.N. 1089/2009;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 05/03/2019 dal Consigliere Dott. DANIELA CALAFIORE;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. PRESA Mario, che ha concluso per accoglimento del ricorso.

udito l’Avvocato ANTONELLA PATTERI.

FATTI DI CAUSA

1. La sentenza n. 553/2012 della Corte d’appello di Venezia, ha riformato, accogliendo la domanda, la sentenza del Tribunale in funzione di Giudice del lavoro di Verona che aveva rigettato la domanda proposta da P.F. tesa all’accertamento del diritto a fruire della pensione di anzianità revocata dall’Inps in ragione del divieto di cumulo della stessa pensione con i redditi derivanti da attività lavorativa e che aveva accolto la domanda riconvenzionale proposta dall’Istituto al fine di ottenere la restituzione della somma di Euro 134.618,90.

2. La Corte territoriale, dato atto che il Tribunale aveva escluso che il ricorrente avesse cessato il proprio rapporto di lavoro, come previsto dalla legge, prima del pensionamento, dal momento che egli aveva continuato a lavorare alle dipendenze dello stesso datore di lavoro con le stesse mansioni ed alle stesse condizioni, senza soluzione di continuità tra la formale cessazione del rapporto del 28 febbraio 2002 e la instaurazione del nuovo rapporto il 1 marzo 2008, ha affermato che pur essendo necessaria, al fine di conseguire il diritto alla pensione di anzianità, la cessazione del rapporto di lavoro (ai sensi del D.Lgs. n. 503 del 1992, art. 10, comma 6) tale circostanza, nel caso di specie, doveva ritenersi provata attraverso la produzione del libretto di lavoro, la corresponsione del t.f.r. e mediante la produzione dei prospetti paga. Tali fonti di prova dimostravano che il rapporto di lavoro del P. con la Logiudice Forni s.r.l. era cessato alla data del 28 febbraio 2002, mentre la pensione era stata liquidata con effetto dal primo marzo 2002 ed anche se nella stessa data l’appellante è stato nuovamente assunto dalla stessa società, in conformità con la circolare dell’INPS n. 89/2009 e con la nota del Ministero del Lavoro 19/2009 che non aveva ritenuto necessario subordinare la liquidazione della pensione alla sussistenza di un lasso temporale minimo tra la cessazione del rapporto di lavoro ed il successivo reimpiego.

3. Avverso tale sentenza, ricorre l’Inps con un motivo illustrato da memoria.

4. Resiste con controricorso P.F. che eccepisce, fra l’altro, l’inammissibilità del ricorso per acquiescenza alla sentenza ora impugnata realizzatasi per l’avvenuta comunicazione della liquidazione degli importi pretesi, prima ancora della pubblicazione della sentenza.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Va rigettata l’eccezione di acquiescenza (art. 329 c.p.c.) sollevata dal contro ricorrente in relazione alla circostanza che l’Inps ha provveduto, con nota del 30 ottobre 2012, alla riliquidazione della pensione per il periodo dal 1.3.2002 al 30.4.2006, che era stato oggetto di revoca, e per aver corrisposto al P. i relativi ratei pari all’importo netto di Euro 37.713,67.

2. Come affermato più volte da questa Suprema Corte (ex plurimis, Cass. 29 maggio 2012 n. 8537; Cass. ord. n. 1963 del 2012; Cass. n. 13630 del 2009), l’acquiescenza alla sentenza, preclusiva dell’impugnazione ai sensi dell’art. 329 c.p.c. (e configurabile solo anteriormente alla proposizione del gravame, giacchè successivamente allo stesso è possibile solo una rinunzia espressa all’impugnazione da compiersi nella forma prescritta dalla legge), consiste nell’accettazione della sentenza (e cioè una “libera, totale e incondizionata accettazione del “decisum”, Cass. n. 19747 del 2011), ovverosia nella manifestazione da parte del soccombente della volontà di non impugnare, la quale può avvenire sia in forma espressa che tacita (Cass. sez. un. 20 maggio 2010 n. 12339): in quest’ultimo caso, l’acquiescenza può ritenersi sussistente soltanto quando l’interessato abbia posto in essere atti da quali sia possibile desumere, in maniera precisa ed univoca, il proposito di non contrastare gli effetti giuridici della pronuncia, e cioè gli atti stessi, siano assolutamente incompatibili con la volontà di avvalersi dell’impugnazione.

3. Ne consegue che la spontanea esecuzione della pronunzia favorevole, anche quando la riserva d’impugnazione non venga resa nota, non comporta acquiescenza alla sentenza, preclusiva dell’impugnazione ai sensi dell’art. 329 c.p.c., trattandosi di un comportamento che può risultare fondato anche sulla mera volontà di evitare le eventuali ulteriori spese di precetto e dei successivi atti di esecuzione.

4. Con l’unico motivo di ricorso, si denuncia la violazione e o falsa applicazione della L. 30 aprile 1969, n. 153, art. 22, e del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 503, art. 10, comma 6, per avere la Corte territoriale erroneamente escluso la necessità del requisito della inoccupazione vigente al momento della domanda di pensione di anzianità (presentata dall’intimato il 25 febbraio 2002), requisito – invece all’epoca previsto non solo dalla L. n. 153 del 1969, art. 22, ma anche dal D.Lgs. n. 503 del 1992, art. 10, comma 6.

5. Ritiene l’Istituto che la sentenza impugnata sia viziata da erronea interpretazione della normativa relativa all’accesso alla pensione di anzianità in ragione del fatto che la ratio delle norme indicate nella rubrica del motivo è nel senso di evitare che la percezione della pensione di anzianità avvenga contemporaneamente alla prestazione di attività di lavoro subordinato.

6. Questa Corte di legittimità ha già avuto modo di precisare, accogliendo tale tesi, (cfr. Cass. n. 16789/14; Cass. n. 4480/2013; Cass. n. 489812012; Cass. n. 11935/04; Cass. n. 6571/02; Cass. n. 6693/96; Cass. n. 5965/84) che il requisito della inoccupazione era ricavabile dalla perdurante vigenza del D.Lgs. n. 503 del 1992, art. 10, comma 6, secondo il quale “Le pensioni di anzianità a carico dell’assicurazione generale obbligatoria dei lavoratori dipendenti ed autonomi e delle forme di essa sostitutive, nonchè i trattamenti anticipati di anzianità delle forme esclusive, con esclusione delle eccezioni di cui all’art. 10 del decreto L. 28 febbraio 1986, n. 49, convertito, con modificazioni, nella L. 18 aprile 1986, n. 120, in relazione alle quali trovano applicazione le disposizioni di cui ai commi 1, 3 e 4, non sono cumulabili con redditi da lavoro dipendente, nella loro interezza, e con quelli da lavoro autonomo nella misura per essi prevista dal comma 1, ed il loro conseguimento è subordinato alla risoluzione del rapporto di lavoro ovvero alla cessazione dal lavoro autonomo quale risulta dalla cancellazione dagli elenchi di categoria”.

7. Il fatto che la legge abbia poi consentito il cumulo tra pensione di anzianità e redditi da lavoro dipendente non toglie che la prestazione non poteva essere erogata se non dopo la cessazione del rapporto di lavoro, che è un requisito indefettibile, prescritto dalla norma che ha introdotto la pensione di anzianità (v. L. n. 153 del 1969, art. 22).

8. Tale requisito è così rilevante che è stato esteso anche alla pensione di vecchiaia dal D.Lgs. n. 503 del 1992, art. 1commi 7 e 8.

9. La stessa L. n. 388 del 2000, art. 72, ha vietato il cumulo anche tra pensione di anzianità e reddito da lavoro autonomo superiore ad un certo ammontare ed ha, quindi, confermato la totale incumulabilità tra detta pensione ed il reddito da lavoro dipendente.

10. Il diritto alla pensione, nella generalità dei casi, ai sensi della L. n. 153 del 1969, art. 22, comma 1, lett. c), matura, in capo al lavoratore interessato, alla presenza di un duplice requisito, rappresentato dal raggiungimento dell’anzianità contributiva e dalla cessazione dell’attività lavorativa subordinata alla data di presentazione della relativa domanda.

11. Con la riforma introdotta dal D.Lgs. n. 503 del 1992, il legislatore ha confermato come s’è detto – che il diritto alla pensione di anzianità è subordinato alla cessazione dell’attività di lavoro dipendente (art. 10, comma 6), estendendo tale requisito anche alla pensione di vecchiaia (art. 1, comma 7).

12. Come già rilevato da questa Corte (v. sentenza n. 4900/12), per entrambe le disposizioni citate il requisito della cessazione del rapporto di lavoro costituisce,infatti, una “presunzione di bisogno” che giustifica ai sensi dell’art. 38 Cost., l’erogazione della prestazione sociale.

13. Infatti, la prosecuzione del rapporto di lavoro subordinato e la produzione, che ne consegue, di reddito da lavoro – dopo il perfezionamento dei requisiti – esclude lo stato di bisogno del lavoratore e, quindi, anche l’esigenza di garantire al lavoratore medesimo (ai sensi dell’art. 38 Cost., comma 2) mezzi adeguati alle esigenze di vita.

14. Per tali ragioni il conseguimento del diritto alla pensione è subordinato alla cessazione di qualsiasi rapporto di lavoro in essere, anche diverso da quello in riferimento al quale sono stati versati i contributi alla gestione deputata ad erogare la prestazione (cfr. Cass. n. 17530/2005).

15. Peraltro, è stato anche chiarito che la cessazione del rapporto di lavoro – che condiziona il conseguimento della pensione di vecchiaia – risulta, all’evidenza, affatto diversa (arg. D.Lgs. n. 503 del 1992, ex art. 10, in tema di disciplina del cumulo tra pensioni e redditi da lavoro dipendente ed autonomo) rispetto al cumulo tra la pensione medesima – una volta che questa sia stata conseguita – e i redditi da lavoro oppure da altra pensione, con la conseguenza che, dalla comparazione delle discipline rispettive, non può risultare, in nessun caso, la violazione del principio di uguaglianza (art. 3 Cost.), attesa la non omogeneità.

16. L’interpretazione giurisprudenziale in materia, oltre a considerare la cessazione dell’attività lavorativa, al pari dell’anzianità contributiva ed assicurativa, quale presupposto necessario per l’insorgenza del diritto alla pensione di anzianità (v. Cass. n. 6571/2002), ha ritenuto momento fondante quello di presentazione della domanda (Cass. n. 14132/2004).

La giurisprudenza più recente ha rimarcato che per conseguire il diritto al trattamento pensionistico è comunque necessaria, in caso di medesimo o diverso datore di lavoro, una soluzione di continuità fra i successivi rapporti di lavoro al momento della richiesta della pensione di anzianità e della decorrenza della pensione stessa (così Cass. n. 4898/2012 cit.) e ciò al fine di evitare che la percezione della pensione di anzianità avvenga contemporaneamente alla prestazione dell’attività lavorativa subordinata (in tal senso cfr. Cass. n. 4900/2012 cit.).

17. Nell’individuazione di tale discontinuità tra la precedente attività lavorativa e quella successiva, non si dovrà, dunque ricercare un mero iato temporale più o meno significativo ma partire dalla considerazione che, laddove l’attività lavorativa successiva al pensionamento intercorra con il medesimo datore di lavoro ed alle medesime condizioni di quelle proprie del rapporto precedente a tale evento, si configura una presunzione di simulazione dell’effettiva risoluzione del rapporto di lavoro al momento del pensionamento. Tale presunzione, tuttavia, può essere vinta mediante il ricorso a plurimi potenziali indici sintomatici, ulteriori rispetto ad un mero dato temporale, idonei a provare il carattere realmente novativo del rapporto di lavoro successivo al pensionamento.

18. In sostanza, può affermarsi il principio secondo il quale: “Il regime di cumulabilità dei redditi da lavoro dipendente e della pensione di anzianità non esclude che quest’ultima possa essere erogata solo se al momento della presentazione della relativa domanda il rapporto di lavoro dipendente sia effettivamente cessato. A riguardo, deve ravvisarsi una presunzione semplice del carattere simulato della cessazione di tale rapporto ove essa sia seguita da immediata riassunzione del lavoratore, alle medesime condizioni, presso lo stesso datore di lavoro”.

18. Il ricorso va, quindi, accolto e la sentenza cassata con rinvio alla Corte d’appello di Venezia, in diversa composizione, perchè, in applicazione del principio sopra indicato, accerti il carattere realmente novativo o meno del rapporto di lavoro di P.F. instauratosi a decorrere dal primo marzo 2002 dopo la cessazione del precedente rapporto verificatasi il 28 febbraio 2002 e per la regolazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Venezia in diversa composizione cui demanda anche la regolazione delle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 5 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 27 maggio 2019

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