LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –
Dott. TEDESCO Giuseppe – rel. Consigliere –
Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –
Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –
Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 3037-2015 proposto da:
RFI – RETE FERROVIARIA ITALIANA SPA, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA L SPALLANZANI 22, presso lo studio dell’avvocato MAURO ORLANDI, che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
ANSALDO STS SPA, rappresentato e difeso dagli avvocati FRANCESCO ANTONIO GANGUZZA, MARCO GANGUZZA;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 6623/2013 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 05/12/2013;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 14/12/2018 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE TEDESCO.
RITENUTO
che:
– Ansaldo Segnalamento Ferroviario S.p.A. (Ansaldo) ha chiamato in giudizio davanti al Tribunale di Roma la Rete Ferroviaria Italiana S.p.A. (RFI);
– ha chiesto la condanna della convenuta al pagamento degli interessi per ritardato pagamento del corrispettivo di lavori eseguiti in forza di appalto, oltre al risarcimento del maggior danno;
-il Tribunale di Roma ha rigettato la domanda, accogliendo l’eccezione di prescrizione sollevata dalla convenuta;
-la Corte d’appello di Roma, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha accolto la domanda;
– ha accertato che, benchè i lavori fossero terminati il 22 settembre 1989, il collaudo era stato approvato solamente il 22 gennaio 2001;
– secondo la corte d’appello il collaudo doveva invece perfezionarsi entro un tempo congruo e ragionevole, indicato in quattordici mesi dalla ultimazione dei lavori;
-conseguentemente, essendo il ritardo nel completamente delle operazioni di collaudo imputabile alla committente, sussisteva il diritto dell’appaltatore al pagamento degli interessi e del maggior danno;
– la Corte aggiungeva che l’attrice aveva dato prova della tempestiva interruzione della prescrizione, operata con la lettera del 13 ottobre 1997, prodotta con la citazione in grado d’appello;
– tale documento, di cui la Corte riconosceva l’indispensabilità, si andava ad aggiungere alla raccomandata del 19 marzo 2001 già prodotta in primo grado;
– per la cassazione della sentenza RFI ha proposto ricorso, affidato a quattro motivi, cui la Ansaldo ha resistito con controricorso;
– la ricorrente ha depositato memoria.
CONSIDERATO
che:
– il primo motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 345 c.p.c.;
– la corte d’appello ha considerato utile, ai fini della interruzione del termine di prescrizione, un documento prodotto solamente in grado d’appello, valutandone d’ufficio la indispensabilità;
– la ricorrente sostiene che la produzione di un nuovo documento in grado appello implica l’istanza di parte e la illustrazione, ad opera del richiedente, del carattere indispensabile della stessa produzione;
-il motivo è infondato;
– in tema di prove nuove in appello, la valutazione di indispensabilità dei nuovi documenti, ai sensi dell’art. 345 c.p.c., comma 3, può risultare dalla motivazione della sentenza di appello, presupponendo unicamente che i nuovi documenti siano depositati con l’atto di appello ed indicati nell’elenco a corredo, senza che occorra una richiesta espressamente rivolta al giudice affinchè ne autorizzi la produzione (Cass. n. 8877/2012).
– si deve aggiungere che i principi richiamati dalla ricorrente nella memoria sono stati superati dalla successiva evoluzione della giurisprudenza di legittimità;
– in proposito le Sezioni Unite di questa Suprema Corte hanno stabilito il seguente principio: “nel giudizio di appello, costituisce prova nuova indispensabile, ai sensi dell’art. 345 c.p.c., comma 3, nel testo previgente rispetto alla novella di cui al D.L. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012, quella di per sè idonea ad eliminare ogni possibile incertezza circa la ricostruzione fattuale accolta dalla pronuncia gravata, smentendola o confermandola senza lasciare margini di dubbio oppure provando quel che era rimasto indimostrato o non sufficientemente provato, a prescindere dal rilievo che la parte interessata sia incorsa, per propria negligenza o per altra causa, nelle preclusioni istruttorie del primo grado” (Cass., S.U., n. 10790/2017);
– la decisione impugnata è in linea con tali principi mentre è in errore il ricorrente, nel subordinare la possibile utilizzazione del documento prodotto in grado d’appello all’istanza di parte volta a sollecitare l’ammissione della produzione;
-d’altronde, nel caso di specie, la verifica di indispensabilità non emerge implicitamente dalla motivazione della sentenza, ma ha costituito oggetto di apposita verifica da parte della Corte di merito;
– il secondo motivo denuncia violazione dell’art. 1282 c.c. e art. 2943 c.c., comma 4;
– la Corte ha riconosciuto efficacia interruttiva della prescrizione alla richiesta del 1997, benchè non vi fosse in essa alcun riferimento all’obbligazione riguardante il pagamento degli interessi compensativi conseguenti al ritardato pagamento;
– il motivo è infondato;
– l’atto di costituzione in mora di cui all’art. 1219 c.c., idoneo ad integrare atto interruttivo della prescrizione ai sensi dell’art. 2943 c.c., u.c., non è soggetto a rigore di forme, all’infuori della scrittura, e quindi non richiede l’uso di formule solenni nè l’osservanza di particolari adempimenti, essendo sufficiente che il creditore manifesti chiaramente, con un qualsiasi scritto diretto al debitore e portato comunque a sua conoscenza, la volontà di ottenere il soddisfacimento del proprio diritto (Cass. n. 15714/2018; n. 24054/2015; n. 17123/2015);
-costituisce principio acquisito che l’accertamento compiuto al riguardo dal giudice del merito costituisce indagine di fatto ed è, perciò, incensurabile in sede di legittimità, se immune da vizi logici (Cass. n. 10270/2006);
– in considerazione di tali principi è evidente pertanto che la ricorrente, sotto lo schermo della violazione di legge, censura l’apprezzamento compiuto dal giudice di merito, dovendosi aggiungere, solo per completezza di esame, che la giurisprudenza di questa Corte ammette che la domanda avente ad oggetto il pagamento della somma capitale interrompa il corso della prescrizione relativa agli interessi (Cass. n. 18570/2007; v. anche Cass. 61/1982);
– il terzo motivo denuncia violazione degli artt. 1224 e 1184 c.c., art. 1185 c.c., comma 1;
– la Corte d’appello, nel riconoscere in favore dell’appaltatore gli interessi e il maggior danno, ha deciso in contrasto con la disciplina convenzionale del rapporto, sebbene questa fosse stata analiticamente descritta e richiamata nella stessa sentenza impugnata;
-in base a tale disciplina: a) gli interessi decorrono decorsi novanta giorni dal collaudo; b) il ritardo nel collaudo non dà diritto all’appaltatore di pretendere interessi e indennità di qualsiasi specie;
– il motivo è infondato;
-la Corte di merito ha individuato la giustificazione dell’obbligazione del pagamento degli interessi e del maggior danno nel ritardo imputabile della committente nella esecuzione del collaudo;
– essa ha applicato in proposito il seguente principio: “in materia di appalto di opere pubbliche, l’appaltatore, secondo la regola posta già dall’art. 44 del capitolato generale approvato con D.M. n. 28 maggio 1895 e ripetuta nell’art. 44 del nuovo capitolato approvato con D.P.R. n. 16 luglio 1962, n. 1063, può agire per far valere il suo diritto al saldo finale, allo svincolo della cauzione e ad eventuali compensi aggiuntivi, o comunque a tutela delle proprie ragioni, solo dopo che l’Amministrazione, a norma del R.D. 25 maggio 1895, n. 350, art. 109 abbia deliberato sull’approvazione del collaudo e sulle domande dell’appaltatore con provvedimento che deve essere posto in essere in un arco di tempo compreso nei limiti della tollerabilità e delle normali esigenze di definire il rapporto senza ritardi ingiustificati, tenuto conto della natura del rapporto medesimo, dell’economia generale del contratto e del rispettivo interesse delle parti. Di conseguenza, ove l’Amministrazione abbia omesso di adottare e comunicare le sue determinazioni in congruo periodo di tempo, tale comportamento omissivo denuncia di per sè il rifiuto dell’Amministrazione ed il suo inadempimento, e l’appaltatore può allora far valere direttamente i suoi diritti, in via giudiziaria o arbitrale, senza necessità di dover mettere preliminarmente in mora l’Amministrazione o di assegnarle un termine, e tanto meno di sperimentare il procedimento di cui all’art. 1183 c.c., realizzandosi in tal modo anche le condizioni perchè, a norma dell’art. 2935 c.c., incominci a decorrere il termine di prescrizione del suo diritto, a nulla rilevando che il momento iniziale di tale termine non sia stato preventivamente e precisamente determinato, essendo esso determinabile e individuabile in base ai suddetti oggettivi criteri di valutazione” (Cass. n. 132/2009; conf. n. 5530/1983).
– una volta posto tale principio, la Corte ha nello stesso tempo escluso che i diritti dell’appaltatore potessero trovare limite nella disciplina convenzionale del rapporto, in base al rilievo che la stessa disciplina non può essere interpretata “nel senso che integri un patto di esonero da responsabilità, ai sensi dell’art. 1229 c.c., comma 1, nell’ipotesi che il danno derivi da colpa grave del committente”;
– tanto premesso emerge con evidenza che la Corte ha tenuto conto della disciplina convenzionale, ma l’ha ritenuta irrilevante, in base alla considerazione che quella disciplina non poteva circoscrivere a vantaggio del committente e in danno dell’appaltatore, le conseguenze del ritardo nell’esecuzione delle operazioni di collaudo;
-tale ratio decidendi non ha costituito oggetto di censura;
– il quarto motivo denuncia violazione dell’art. 1224 c.c., comma 2;
– la ricorrente lamenta che la Corte d’appello abbia liquidato il maggior danno in presenza di apposita previsione convenzionale sul tasso degli interessi di mora, stabiliti nella specie in misura pari al tasso legale;
– il motivo è infondato;
– nella sentenza impugnata non si legge alcuna affermazione intesa a riconoscere che, in tema d’inadempimento di obbligazioni pecuniarie, il maggior danno compete al creditore pure in presenza di una determinazione convenzionale degli interessi moratori;
– nè la Corte di merito ha minimamente affermato che, ai fini di escludere il risarcimento del maggior danno, gli interessi moratori debbano essere necessariamente pattuiti in misura superiore al tasso legale;
– invero il ricorrente censura pur sempre la decisione sotto il profilo del contrasto con la disciplina convenzionale del rapporto, in particolare con la previsione secondo cui “quando i lavori siano stati ultimati e collaudati (…), se il pagamento è ritardato per più di novanta giorni dalla data del certificato di collaudo, l’appaltatore ha diritto all’interesse nella suddetta misura (quella legale) dalla scadenza dei novanta giorni sino al pagamento” (pag. 4 della sentenza);
– in verità è stato già chiarito nell’esame del terzo motivo che la Corte ha considerato la disciplina convenzionale, ritenendo di doverne prescindere;
– ma allora la sentenza doveva essere censurata diversamente, non per violazione di legge, ma sotto altro profilo, per non aver tenuto conto o comunque per non avere colto la reale portata delle previsioni contrattuali, nel senso che la previsione del tasso di interesse per il ritardo nel pagamento una volta effettuato il collaudo si riferiva anche al ritardo nell’effettuazione del collaudo;
– in conclusione il ricorso va interamente rigettato, con addebito di spese;
– ci sono le condizioni per dare atto della sussistenza dei presupposti dell’obbligo del versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.
P.Q.M.
rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 e agli accessori di legge;
dichiara, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Seconda civile, il 14 dicembre 2018.
Depositato in Cancelleria il 27 maggio 2019
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