LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –
Dott. TEDESCO Giuseppe – rel. Consigliere –
Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –
Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –
Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 5173-2015 proposto da:
C.A., L.P., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA BASSANO DEL GRAPPA 24, presso lo studio dell’avvocato DONATELLO CALAPRICE, rappresentati e difesi dall’avvocato GAIO VITINIO CASULLI;
– ricorrenti –
contro
D.M.L., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA L. GIORGIERI 82, presso lo studio dell’avvocato FERDINANDO MONTALDI, rappresentato e difeso dall’avvocato BRUNO CIARMOLI;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1549/2014 della CORTE D’APPELLO di BARI, depositata il 09/10/2014;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 14/12/2018 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE TEDESCO.
RITENUTO
che:
– D.M.L. chiamava in giudizio davanti al Tribunale di Bari la I.P.L. s. r. l.;
– deduceva che fra le parti era intercorso un contratto d’appalto per la realizzazione di lavori edili, in relazione al quale l’appaltatore I.P.L. era incorso in una pluralità di inadempimenti: la violazione del termine di consegna delle opere, la realizzazione parziale delle opere stesse, la sospensione dei lavori e l’abbandono del cantiere, la esecuzione dei lavori non a regola d’arte;
– chiedeva accertarsi la risoluzione di diritto di tale contratto o pronunciarsi la risoluzione del contratto per grave inadempimento della controparte, di cui chiedeva la condanna al pagamento delle penali pattuite per il ritardo e per l’inadempimento, oltre al risarcimento del danno per i maggiori costi che avrebbe dovuto sostenere per la prosecuzione dei lavori;
– la convenuta, costituendosi, eccepiva l’inadempienza del committente, per aver versato un acconto inferiore a quello pattuito e per non avere versato quanto dovuto per opere extra contratto;
– chiedeva quindi la condanna del committente al pagamento del saldo, della penale e di quanto dovuto per le ulteriori opere extra contratto;
– il Tribunale accoglieva in parte le contrapposte domande, riconosceva il maggior credito dell’appaltatore rispetto a quello del committente e condannava quest’ultimo al pagamento della differenza;
-contro la sentenza proponevano appello principale il D.M. e appello incidentale la società;
– la Corte d’appello accoglieva in parte l’appello principale e rigettava l’appello incidentale;
– essa operava la comparazione dei reciproci inadempimenti e quindi, sulla base di tale comparazione, pronunciava la risoluzione del contratto per grave inadempimento dell’appaltatore;
– riconosceva che il committente, nel pagare l’acconto in misura inferiore, aveva legittimamente reagito agli inadempimenti dell’appaltatore, consistenti nella esecuzione di alcuni lavori non a regola d’arte e nella mancata esecuzione di alcune opere previste in contratto;
– diversamente l’appaltatore, sulla base del pagamento parziale, aveva abbandonato il cantiere, senza riprendere l’esecuzione delle opere appaltate e senza procedere all’eliminazione dei vizi, pure avendo ricevuto un importo di poco inferiore rispetto ai lavori realizzati fino a quel momento;
– tale comportamento, in quanto eccedeva i limiti di una legittima reazione al minore versamento da parte del committente, costituiva grave inadempimento, tale da alterare in modo irreversibile il sinallagma contrattuale;
– riconosceva quindi il diritto del committente alla penale pattuita per l’inadempimento (non anche a quella per il ritardo);
– riconosceva altresì un residuo credito dell’appaltatore, che era così condannato al pagamento della differenza al committente;
– per la cassazione della sentenza hanno proposto ricorso L.P. e C.A.M., nella loro qualità di soci della IPL s.r.l., nel frattempo cancellata dal registro delle imprese;
-il ricorso è proposto sulla base di due motivi, cui il D.M. ha resistito con controricorso;
– i ricorrenti hanno depositato memoria.
CONSIDERATO
che:
– con il primo motivo i ricorrenti deducono la violazione degli art. 115 e 116 c.p.c., nonchè vizio di motivazione per non avere la Corte di merito considerato che l’abbandono del cantiere, ritenuto inadempimento prevalente, era avvenuto non per volontà dell’appaltatore, ma a seguito di diffida notificata dalla controparte (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5);
– la Corte non ha tenuto conto di tale circostanza, che risultava da un documento prodotto in primo grado dal committente e dalla stessa esposizione dei fatti operata dal medesimo nell’atto di citazione;
– il motivo è infondato;
“in tema di valutazione delle prove, il principio del libero convincimento, posto a fondamento degli artt. 115 e 116 c.p.c., opera interamente sul piano dell’apprezzamento di merito, insindacabile in sede di legittimità, sicchè la denuncia della violazione delle predette regole da parte del giudice del merito non configura un vizio di violazione o falsa applicazione di norme processuali, sussumibile nella fattispecie di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, bensì un errore di fatto, che deve essere censurato attraverso il corretto paradigma normativo del difetto di motivazione, e dunque nei limiti consentiti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come riformulato dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54 conv. con modif., dalla L. n. 134 del 2012” (Cass. n. 23940/2017);
– ciò posto si rileva che il ricorso non è conforme su questo punto ai criteri precisati dalle sezioni unite di questa Suprema Corte in relazione agli oneri imposti a chi intende denunciare in cassazione il vizio di omesso esame di un fatto decisivo, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. (Cass. S.U., n. 8053/2014);
– i ricorrenti richiamano atti processuali e documenti del giudizio di primo grado, ma non precisano se e in che termini essi furono sottoposti all’attenzione del giudice d’appello, nè illustrano la decisività del fatto a cui quegli atti e quei documenti si riferiscono;
– si ricorda che in tema di ricorso per cassazione costituisce fatto (o punto) decisivo ai sensi del’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, quello la cui differente considerazione è idonea a comportare, con certezza, una decisione diversa (Cass. n. 18368/2013);
– la omissione risulta nel caso di specie tanto più evidente posto che nel controricorso si eccepisce che la diffida aveva fatto seguito a una precedente raccomandata con la quale il committente aveva vanamente diffidato l’impresa a riprendere i lavori;
-il secondo motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1453 e 1455 c.c., “laddove il giudice non ha ritenuto di intravedere il grave inadempimento nella condotta del D.M. relativamente alle obbligazioni assunte con il contratto di appalto”;
– il motivo è infondato;
-sotto la veste della violazione di legge costituisce oggetto di censura, in via diretta, l’apprezzamento compiuto dal giudice di merito sulla gravità delle reciproche inadempienze;
-“nei contratti con prestazioni corrispettive, in caso di denuncia di inadempienze reciproche, è necessario comparare il comportamento di ambo le parti per stabilire quale di esse, con riferimento ai rispettivi interessi ed alla oggettiva entità degli inadempimenti, si sia resa responsabile delle trasgressioni maggiormente rilevanti ed abbia causato il comportamento della controparte, nonchè della conseguente alterazione del sinallagma. Tale accertamento, fondato sulla valutazione dei fatti e delle prove, rientra nei poteri del giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato” (Cass. n. 13627/2017; n. 12296/2011);
-la corte di merito, con motivazione logica e giuridicamente corretta, ha riconosciuto prevalente l’inadempimento dell’appaltatore;
– tale valutazione si sottrae perciò al sindacato di legittimità;
-in conclusione il ricorso è rigettato con addebito di spese;
– ci sono le condizioni per dare atto della sussistenza dei presupposti dell’obbligo del versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.
P.Q.M.
rigetta il ricorso; condanna i ricorrenti in solido al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.300,00 per compensi, oltre alle spese forfettaria nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 e agli accessori di legge; dichiara, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Seconda civile, il 14 dicembre 2018.
Depositato in Cancelleria il 27 maggio 2019
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