LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –
Dott. ABETE Luigi – Consigliere –
Dott. SABATO Raffaele – Consigliere –
Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –
Dott. DONGIACOMO Giuseppe – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 7806-2015 proposto da:
BOXER S.R.L., rappresentata e difesa dall’Avvocato FEDERICO ALZONA, presso il cui studio a Bologna, via Urbana 5, elettivamente domicilia per procura speciale in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
SGRANOCCHIO S.A.S. di M.F. e C., rappresentata e difesa dall’Avvocato MARIO ALFONSO FOLLIERI ed elettivamente domiciliata a Roma, via di Pietralata 320, presso lo studio dell’Avvocato GIGLIOLA MAZZA RICCI, per procura speciale in calce al controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 2083/2014 della CORTE D’APPELLO DI BOLOGNA, depositata il 7/10/2014;
udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 13/02/2019 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE DONGIACOMO;
sentito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale della Repubblica, Dott. MISTRI CORRADO, il quale ha chiesto il rigetto del ricorso;
sentito, per la ricorrente, l’Avvocato FEDERICO ALZONA;
sentito, per la controricorrente, l’Avvocato PRATICO, per delega.
FATTI DI CAUSA
Il tribunale di Bologna, con sentenza dell’8/10/2013, ha accolto le domande proposte dalla s.r.l. Boxer ed ha, quindi, dichiarato la risoluzione di diritto, a norma dell’art. 1456 c.c., del contratto di cessione di ramo d’azienda, dalla stessa stipulato con la società convenuta Sgranocchio s.n.c., per il mancato pagamento, da parte di quest’ultima, della somma di Euro 100.000,00, pari al saldo del prezzo pattuito. Il tribunale, inoltre, ha condannato la società convenuta alla restituzione dell’azienda ed ha dichiarato il diritto della cedente a trattenere, a titolo d’indennizzo, la parte di prezzo già percepita di Euro 70.000,00, in forza di quanto previsto dalla clausola n. 8 del contratto.
La Sgranocchio s.a.s., già Sgranocchio s.n.c., ha proposto appello. La s.r.l. Boxer ha resistito al gravame.
La corte d’appello di Bologna, con la sentenza in epigrafe, ha accolto l’appello ed ha, per l’effetto, respinto la domanda della Boxer s.r.l. di risoluzione di diritto del contratto per cui è causa e di condanna della Sgranocchio al rilascio dell’azienda ceduta.
La corte, in particolare, ha ritenuto, per quanto ancora rileva, fondato il motivo con il quale la società appellante aveva contestato la sentenza di primo grado per avere il tribunale erroneamente ritenuto che la stessa non avesse provato il pagamento della residua parte di prezzo, pari ad Euro 100.000,00, nonostante che tale circostanza doveva presumersi dalla restituzione, da parte della s.r.l. Boxer, delle sessanta cambiali emesse in suo favore a garanzia del pagamento delle rate mensili convenute in contratto. La corte, in effetti, dopo aver condiviso il principio affermato dal tribunale, secondo il quale il possesso da parte del debitore del titolo originale del credito implica una presunzione di avvenuto pagamento, a norma dell’art. 1237 c.c., ove il creditore non deduca e dimostri il collegamento di detto possesso ad una diversa causale, ha ritenuto che la pronuncia appellata non potesse essere condivisa nella parte in cui aveva escluso che tale principio potesse trovare applicazione nel caso di specie in ragione della mancata produzione, da parte della società appellante, dei titoli in originale. La corte, infatti, ha, sul punto, ritenuto che la produzione delle cambiali sarebbe stata necessaria, onde consentire alla Sgranocchio di avvalersi della presunzione di avvenuto pagamento, solo qualora vi fosse stata contestazione sul fatto che la creditrice Boxer, cedente il ramo d’azienda, aveva restituito alla controparte le sessanta cambiali ricevute al momento della sottoscrizione del contratto. Nel caso di specie, invece, ha osservato la corte, tale circostanza era del tutto pacifica tra le parti per cui, a fronte del possesso, da parte della società cessionaria, dei titoli, sarebbe stato onere della creditrice Boxer provare di averli restituiti alla cessionaria non a titolo liberatorio ma perchè sì trattava di cambiali affette, come dedotto in citazione, da vizi tali da renderle nulle e prive di qualsiasi valore giuridico: tale prova, però, ha aggiunto la corte, non è stata fornita dalla Boxer. Inoltre, ha proseguito la corte, ad avere interesse alla produzione in giudizio degli originali dei titoli non era la Sgranocchio, “essendo pacifico che aveva ottenuto la restituzione delle cambiali”, bensì la Boxer, la quale, infatti, ne aveva chiesto l’esibizione al fine di provare gli asseriti e mai chiariti vizi di cui gli stessi sarebbero stati affetti (osservando, per inciso, che il primo e l’ultimo pagherò prodotto in copia dalla Sgranocchio in prime cure risultano del tutto regolari e la Boxer non ha mai contestato la conformità di tali copie con gli originali): stante l’interesse della Boxer all’acquisizione dei titoli, non può che prendersi atto, ha concluso la corte, del mutamento della sua linea difensiva e della sua opposizione alla produzione, nel giudizio d’appello, degli originali delle cambiali effettuate dall’appellante in accoglimento spontaneo dell’istanza avversaria ai sensi dell’art. 210 c.p.c., non accolta dal tribunale.
La corte, in definitiva, ha ritenuto che la sentenza impugnata dovesse essere riformata, con il rigetto della domanda dell’attrice di risoluzione di diritto del contratto di cessione, dovendosi ritenere provato l’integrale pagamento, da parte della cessionaria, del prezzo pattuito.
La Boxer s.r.l., con ricorso notificato il 19/3/2015, ha chiesto, per tre motivi, la cassazione della sentenza, dichiaratamente non notificata.
Ha resistito, con controricorso notificato il 23/4/2015, la s.a.s. Sgranocchio.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo, la ricorrente, lamentando la violazione e la falsa applicazione dell’art. 1237 c.c. e l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio e la violazione e la falsa applicazione dell’art. 2727 c.c., ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello, dopo aver condiviso il principio affermato dal tribunale secondo il quale il possesso da parte del debitore del titolo originale del credito implica una presunzione di avvenuto pagamento, a norma dell’art. 1237 c.c., ove il creditore non deduca e dimostri il collegamento di detto possesso ad una diversa causale, ha ritenuto che la pronuncia appellata non potesse essere condivisa nella parte in cui aveva escluso che tale principio potesse trovare applicazione nel caso di specie a causa della mancata produzione, da parte della società appellante, dei titoli in originale: la produzione delle cambiali, infatti, ha rilevato la corte, sarebbe stata necessaria, onde consentire alla Sgranocchio di avvalersi della presunzione di avvenuto pagamento, solo qualora vi fosse stata contestazione sul fatto che la creditrice Boxer, cedente il ramo d’azienda, aveva restituito alla controparte le sessanta cambiali ricevute al momento della sottoscrizione del contratto. Così facendo, però, ha osservato la ricorrente, la corte d’appello ha omesso di verificare la ricorrenza degli elementi posti dall’art. 1237 c.c. a fondamento della sua applicazione, verificando se, nel corso del giudizio di primo grado, l’appellante avesse fornito la prova del fatto che i moduli in suo possesso rappresentavano il titolo originale del credito, condizione necessaria a far presumere l’avvenuto pagamento. Nel caso di specie, invece, la Boxer non ha mai ammesso di aver restituito alcun titolo originale del credito avendo solo precisato che il suo commercialista, dopo aver verificato che le cambiali risultavano affette da numerosi vizi tali da renderle nulle, aveva provveduto a restituirli al commercialista della società debitrice affinchè questi li facesse debitamente compilare e sottoscrivere dalla sua assistita. E’ stata la Sgranocchio, nella comparsa di costituzione nel giudizio di primo grado, a dedurre di aver adempiuto all’obbligazione di pagamento del prezzo come era dimostrato dal possesso da parte della stessa dei titoli originali del credito, ad essa restituiti, senza avere fornito in giudizio, pur avendone l’onere a norma degli artt. 1237,2697 e 2727 c.c., la prova del possesso dei titoli originali del credito, non avendo mai depositato nè offerto in visione i moduli cambiari: nessuna prova di tale asserito pagamento è stata fornita dalla convenuta, la quale, infatti, non ha prodotto nè ha mai chiarito le modalità con le quali tale ingente somma sarebbe stata versata nè il conto corrente sul quale tale importo sarebbe stato accreditato e neppure, infine, la data in cui è avvenuto l’asserito pagamento. L’esame di tali circostanze, che la corte ha del tutto omesso, l’avrebbe dovuto indurre a ritenere, ha concluso la ricorrente, che, non avendo la convenuta prodotto in giudizio le cambiali in originale, la presunzione di cui all’art. 1237 c.c. non era applicabile.
2. Con il secondo motivo, la ricorrente, lamentando la nullità della sentenza e del procedimento per omessa pronuncia sulla domanda d’inammissibilità ai sensi dell’art. 345 c.p.c. dei moduli cambiari prodotti dall’appellante, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello, a fronte della produzione, da parte dell’appellante, di sessanta moduli cambiari, sul presupposto che fossero quelli rilasciati all’atto della cessione d’azienda, non ha pronunciato, in violazione dell’art. 112 c.p.c., sull’eccezione, che l’appellata ha immediatamente proposto, d’inammissibilità, ai sensi dell’art. 345 c.p.c., della produzione, in appello, dei nuovi documenti, non avendo la stessa dimostrato di non aver potuto produrli nel giudizio di primo grado per causa ad essa non imputabile. Nè consegue, ha concluso la ricorrente, la nullità della sentenza e del procedimento, avendo la corte omesso di pronunciarsi sulla formulata eccezione e domanda di tardività della produzione in giudizio di nuova documentazione mai prodotta nel giudizio di primo grado.
3. Con il terzo motivo, la ricorrente, lamentando la violazione e la falsa applicazione dell’art. 1237 e 2697 c.c., ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha ritenuto di applicare l’art. 1237 c.c. senza, tuttavia, considerare che, in realtà, la Boxer aveva agito in giudizio non per ottenere il pagamento degli importi pattuiti ma per richiedere ed ottenere la risoluzione per inadempimento del contratto di cessione di ramo d’azienda a causa del mancato pagamento del prezzo pattuito, proponendo, quindi, un’azione causale in ordine alla quale non può invocarsi la presunzione di pagamento derivante dal possesso, da parte del debitore, del titolo nel quale è incorporato il credito. Nell’azione causale, infatti, ha aggiunto la ricorrente, la controversia che ne nasce è decisa secondo le regole del rapporto causale sottostante, che resta indifferente al rapporto cambiario, anche per ciò che riguarda l’onere della prova, con la conseguenza che, a fronte dell’azione di risoluzione proposta dalla Boxer a norma dell’art. 1453 c.c., la convenuta, secondo la ripartizione dell’onere della prova in materia di risoluzione contrattuale, aveva l’onere, a fronte della mera allegazione da parte del creditore del suo inadempimento, di provare il pagamento dell’importo di Euro. 100.000,00. La sentenza della corte d’appello, quindi, ha concluso la ricorrente, pur dovendo giudicare l’azione di risoluzione per inadempimento del contratto di cessione del ramo d’azienda a causa del mancato pagamento del prezzo da parte del cessionario, ha erroneamente applicato l’art. 1237 c.c..
4. Il primo motivo è fondato, con assorbimento degli altri. La corte d’appello, infatti, ha ritenuto, per un verso, che la Boxer, cedente il ramo d’azienda, non aveva contestato di aver materialmente restituito alla controparte le sessanta cambiali ricevute al momento della sottoscrizione del contratto e, per altro verso, che, “essendo pacifico che aveva ottenuto la restituzione delle cambiali”, sarebbe stato onere della stessa Boxer di provare che la restituzione dei titoli alla cessionaria era stata eseguita non a titolo liberatorio ma perchè si trattava, come la stessa aveva dedotto in citazione, di cambiali affette da vizi tali da renderle nulle e prive di qualsiasi valore giuridico. Sennonchè, come emerge dall’atto di citazione nel passo riprodotto in ricorso (p. 9), la società ricorrente aveva ammesso soltanto di aver accertato, per il tramite del proprio commercialista di fiducia, che le cambiali ad essa consegnate al momento della sottoscrizione del contratto di cessione, erano affette da vizi tali da renderle prive di qualsiasi valore giuridico e di avere, quindi, provveduto alla consegna delle stesse al commercialista della società cessionaria per farle compilare, completare e sottoscrivere ad opera della sua assistita. La società cedente, cioè, si è limitata ad affermare di avere materialmente operato la consegna di meri moduli affetti da vizi: ma non ha affatto riconosciuto, come ha invece ritenuto la corte d’appello, di avere restituito documenti (che, essendo stati debitamente compilati e sottoscritti dall’emittente, erano) giuridicamente qualificabili come cambiali (cfr. R.D. n. 1669 del 1933, artt. 1 e ss.): ed, in quanto tali, legittimamente deducibili a fondamento della presunzione (relativa) di avvenuto pagamento delle stesse prevista dall’art. 1237 c.c. (cfr. Cass. n. 3130 del 2018). Ed è, invece, noto che la mancata contestazione dei fatti costitutivi della domanda (o dell’eccezione), in tanto esonera la parte che li ha dedotti dalla relativa prova, in quanto la mancata negazione della loro verificazione storica sia inequivocabile (cfr. Cass. n. 10098 del 2007). La sentenza impugnata, quindi, ha erroneamente ritenuto che la società attrice non avesse contestato la restituzione alla cessionaria delle cambiali che la stessa aveva emesso al momento della stipulazione del contratto di vendita, finendo, di conseguenza, per applicare, altrettanto erroneamente, l’art. 1237 c.c. ad una fattispecie fattuale diversa dalla fattispecie astratta che tale norma prevede: la quale, infatti, presupponendo “la restituzione… del titolo originale del credito, fatta dal creditore al debitore”, richiede che risulti dimostrato in giudizio non già, semplicemente, la restituzione di documenti in ordine ai quali lo stesso creditore assuma la mancanza dei necessari requisiti per essere qualificati come titoli di credito: ma, più specificamente, la restituzione di documenti che abbiano tutti i requisiti richiesti dalla legge per essere effettivamente qualificati come tali.
5. La sentenza impugnata dev’essere, quindi, cassata con rinvio, per un nuovo esame, ad altra sezione della corte d’appello di Bologna, che provvederà anche sulle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte così provvede: accoglie il primo motivo di ricorso, assorbiti gli altri; cassa, in relazione al motivo accolto, la sentenza impugnata con rinvio, per un nuovo esame, ad altra sezione della corte d’appello di Bologna, che provvederà anche sulle spese del presente giudizio.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Seconda Civile, il 13 febbraio 2019.
Depositato in Cancelleria il 27 maggio 2019
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