Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.14592 del 29/05/2019

Pubblicato il

Condividi su FacebookCondividi su LinkedinCondividi su Twitter

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –

Dott. CARRATO Aldo – rel. Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 7609-2018 proposto da:

CIOSTER SRL, in persona del legale rappresentante pro tempore, e R.A. IN A., elettivamente domiciliate in ROMA, VIA CASSIODORO 9, presso lo studio dell’avvocato MARIO NUZZO, che le rappresenta e difende unitamente agli avvocati ANDREA MORA, MICHELE CALANDRUCCIO;

– ricorrenti –

contro

COMUNE DI PARMA, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, P.LE MEDAGLIE D’ORO 72, presso lo studio dell’avvocato CLAUDIO CIUFO, rappresentato e difeso dall’avvocato SARA REVERBERI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1753/2017 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, depositata il 28/7/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata dell’1/2/2019 dal Consigliere Relatore Dott. ALDO CARRATO.

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

In data 6 marzo 2003 il Comune di Parma emetteva ordinanza – ingiunzione nei confronti di R.A. (anche) nella qualità di legale rappresentante p.t. della s.r.l. Cioster (già Baccanelli s.r.l.) per la somma di Euro 503.036,32, in ordine alla violazione di cui alla L.R. Emilia Romagna n. 17 del 1991, art. 3, in materia di escavazioni per abusiva estrazione e trasporto di materiale litoide in località *****, in proprietà della suddetta s.r.l. Baccanelli, poi trasformatasi in s.r.l. Cioster.

A seguito di opposizione proposto dalle ingiunte avverso la suddetta ordinanza-ingiunzione, l’adito Tribunale di Parma, con sentenza del 9 gennaio 2004, l’annullava per ritenuta maturazione della prescrizione ai sensi della L. n. 689 del 1981, art. 28. In virtù di successivo ricorso per cassazione, questa Corte, con sentenza n. 16861/2007, cassava, con rinvio, la predetta sentenza. Provvedutosi alla riassunzione del giudizio, il Tribunale di Parma rigettava l’originaria opposizione con sentenza n. 628/2015, ravvisando la tempestività della contestazione operata ai sensi della L. n. 689 del 1981, art. 14,la sussistenza del presupposto della solidarietà in relazione alla stessa L., art. 6, e la configurazione della contestata violazione per la quale era stata emanata l’ordinanza-ingiunzione.

Decidendo sull’appello avanzato dalle soccombenti ricorrenti e nella costituzione del Comune di Parma, la Corte di appello di Bologna, con sentenza n. 1753/2017 (depositata il 28 luglio 2017), rigettava il gravame, confermando integralmente l’impugnata sentenza, con particolare riguardo sia all’insussistenza delle asserite violazioni procedimentali che con riferimento alla rilevata configurazione dell’accertata violazione, anche in ordine alla ritenuta sua persistenza fino all’atto dell’accertamento, in dipendenza della circostanza che il sito ove era avvenuta l’abusivo scavo con il prelievo dell’indicato materiale non era stato rimesso in pristino.

Avverso la citata sentenza di appello hanno proposto ricorso per cassazione le predette appellanti soccombenti, articolato in tre motivi, al quale ha resistito con controricorso l’intimato Comune di Parma.

Con il primo motivo le ricorrenti hanno dedotto – in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la nullità dell’impugnata sentenza per violazione e falsa applicazione della L. n. 689 del 1981, art. 14, avuto riguardo all’assunta illegittimità dell’impugnata sentenza laddove aveva ritenuto che il termine di 90 giorni previsto dalla suddetta norma si sarebbe dovuto ritenere decorrente non dalla data di accertamento dell’infrazione amministrativa bensì dalla data di cessazione dell’illecito. Con il secondo motivo le ricorrenti hanno denunciato – con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – il vizio di nullità della sentenza di appello per violazione e falsa applicazione della L. n. 689 del 1981, art. 6, sul presupposto dell’asserita illegittimità di detta sentenza nella parte in cui non aveva escluso che l’escavazione era stata effettuata contro la volontà della proprietaria del terreno e del suo legale rappresentante.

Con il terzo ed ultimo motivo le ricorrenti hanno prospettato – sempre ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – il vizio di nullità della sentenza per assunta violazione della L.R. Emilia Romagna 18 luglio 1991, n. 17, art. 3, comma 1, in virtù della deduzione che, nella fattispecie, non si sarebbero potuti ritenere concretati gli elementi per la configurazione dell’infrazione amministrativa prevista da tale L.R..

Su proposta del relatore, il quale rilevava che tutti i motivi formulati con il ricorso potesse essere ritenuti manifestamente infondati in relazione all’art. 375 c.p.c., comma 1, n. 5), il presidente ha fissato l’adunanza della camera di consiglio, in prossimità della quale il difensore delle parti ricorrenti ha depositato memoria ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c..

1. Rileva il collegio che il primo motivo è infondato.

Bisogna, innanzitutto, rilevare che, correttamente, la Corte di appello di Bologna ha qualificato la violazione amministrativa ascritta alle ricorrenti (ricondotta alla previsione di cui alla L.R: Emilia Romagna n. 17 del 1991, art. 3, comma 1) come permanente.

Sulla base di tale presupposto le ricorrenti hanno contestato l’individuazione del “dies a quo” dal quale far decorrere il termine di 90 giorni per provvedere alla notificazione dalla data dell’accertamento, poichè – a loro avviso – per quest’ultimo sarebbe stato necessario far riferimento alla data dell’11 aprile 1997 (e, quindi, a più di cinque anni prima rispetto a quando era stato notificato il verbale di contestazione dell’illecito amministrativo), allorquando i verbalizzanti si erano recati sul sito accertando che nell’area interessata proseguivano le opere di escavazione non autorizzate.

La ricostruzione delle ricorrenti non è condivisibile poichè – come correttamente rilevato dal giudice di appello (confermando sul punto la decisione di primo grado) – la consumazione dell’illecito permanente in questione era proseguita anche a seguito del sopralluogo avvenuto nella indicata data perchè non solo l’attività di escavazione era ancora persistente, ma soprattutto perchè i responsabili erano rimasti inerti, non attivandosi per l’eliminazione della prodotta alterazione del suolo e del sottosuolo in assenza della prescritta autorizzazione e, quindi, non provvedendo alla rimessione in pristino dello stato dei luoghi, la cui mancata esecuzione era stata constatata anche al momento dell’ulteriore sopralluogo del 4 ottobre 2002, in esito al quale si era dato seguito alla formale attività dell’elevazione del verbale di contestazione, essendo stato rilevato che la permanenza della violazione era ancora in atto non essendone stata riscontrata la sua cessazione (cfr. Cass. n. 21190/2006 e Cass. n. 3535/2012).

In altri termini, a tal fine, va riconfermato il principio secondo cui, in materia di sanzioni amministrative, la coltivazione di una cava abusiva con asportazione del relativo materiale costituisce illecito non istantaneo ma permanente, in cui occorre distinguere il momento perfezionativo – che coincide con l’inizio dello scavo senza la prescritta autorizzazione (o, eventualmente, in difformità dalla stessa) – dal momento consumativo, che nell’illecito permanente (nel caso di specie ricollegabile alla protrazione della lesione ambientale) è caratterizzato da una situazione giuridica già realizzata ma che continua nel tempo finchè perdura la condotta illecita del contravventore. Pertanto, la permanenza persiste fin quando non ne vengano eliminati gli effetti nella loro materialità od antigiuridicità, ovvero fino al momento in cui lo stato dei luoghi (in cui è stata realizzata illegittimamente la cava) non sia stato ripristinato o la sua alterazione sia stata resa legittima (in questo senso si era, peraltro, già pronunciata Cass. n. 16861/2007, con la quale era stato accolto il ricorso per cassazione proposto dal Comune di Parma proprio con riferimento alla vicenda in questione, ritenendosi che il termine della relativa prescrizione non decorreva fino a quando non fosse cessata la sua permanenza, da sostanziarsi nell’eliminazione delle conseguenze dannose della condotta e, quindi, nella rimessione in pristino del sito interessato dall’illegittimo intervento produttivo dell’alterazione ambientale).

Nè a conforto dell'(assunta) inesigibilità – come prospettata dalle ricorrenti – dell’attività di eliminazione della situazione antigiuridica rilevante sul piano sanzionatorio amministrativo può avere rilievo che il sito in cui era stata effettuata l’abusiva estrazione fosse sottoposto a sequestro penale, poichè l’attività di ripristino – a fronte di un ordine adottato in merito dalla competente autorità amministrativa – sarebbe stata eseguibile ad opera dei responsabili previo ottenimento, su loro legittima iniziativa, del dissequestro dell’area da parte del giudice penale finalizzato proprio a rendere possibile l’eliminazione degli effetti illegali della condotta e la rimessione in pristino, con la loro effettiva conformazione all’ordine emesso, nel caso specie, dal Comune di Parma.

2. Anche il secondo motivo è privo di fondamento giuridico.

Esso, in realtà, si risolve in una rivalutazione delle circostanze fattuali poste dal giudice di appello a fondamento della rilevata sussistenza del vincolo di solidarietà riconducibile alla L. n. 689 del 1981, art. 6.

La Corte territoriale, infatti, ha – con motivazione logica ed adeguata – rilevato la sussistenza della suddetta solidarietà essendo rimasto accertato che l’autore materiale della violazione aveva potuto disporre del bene quantomeno in epoca immediatamente successiva al 6 marzo 1995 allorchè, per conto della s.r.l. Baccanelli, aveva richiesto al Comune un parere in merito alla possibilità di estrazione di argilla e ghiaia “nella zona limitrofa (a quella in parola”), al quale fu data una risposta negativa. Inoltre il giudice di appello – come, del resto, già quello di prime cure – ha dato atto dell’irrilevanza, nell’ambito di un non meglio precisato contratto, di un determinato rapporto con tal Colla e delle sue iniziative di quest’ultimo in data antecedente, conferendo rilievo determinante alla riscontrata circostanza che, successivamente alla indicata data, era stata accertata, a seguito di vari sopralluoghi, la realizzazione di una attività di escavazione che insisteva sulla proprietà della s.r.l. Baccanelli anche al momento dell’ulteriore ispezione del 22 febbraio 1997, malgrado che già in precedenza (ovvero il 29 gennaio 1996) fosse stata emessa nei confronti della medesima società ordinanza di demolizione e ripristino luoghi (rimasta, quindi, inadempiuta).

Sulla scorta di tali risultanze – frutto di insindacabili, in questa sede, accertamenti di merito – la Corte bolognese ha ritenuto correttamente sussistente, in concreto, l’ipotesi della solidarietà non essendo rimasto escluso che l’abusiva attività di escavazione fosse stata realizzata contro la volontà del proprietario del bene su cui era stata eseguita detta illegittima attività, poi – come già evidenziata – accertata essersi protratta nel tempo, la cui persistenza era stata constatata ancora in atto al momento del sopralluogo del 4 ottobre 2002.

3. Pure il terzo motivo non coglie nel segno e va disatteso, essendo indubitabile che la condotta ascritta alle ricorrenti sia riconducibile proprio al precetto contemplato dalla L.R. Emilia Romagna n. 17 del 1991, art. 3, comma 1, la cui violazione è specificamente integrata ed anche sanzionata dalla medesima legge, art. 22, comma 1.

Essendo rimasto accertato in fatto che l’attività svolta in assenza della prescritta autorizzazione amministrativa (che deve rilasciare il competente Comune ai sensi della stessa L.R., art. 11) riguardava l’estrazione di materiali comportanti modificazioni dello stato fisico del suolo e del sottosuolo, è evidente che il relativo illecito ricadeva nell’ambito di applicabilità del combinato disposto di cui citati artt. 3 e 22. In tal senso si è anche pronunciata questa stessa Corte che ha statuito come la sanzione comminata dalla L.R. Emilia Romagna n. 17 del 1991, art. 22, comma 1, si applica a chiunque svolga “attività estrattiva” senza avere conseguito l’autorizzazione per quella specifica attività in rapporto all’area in cui ricade (cfr. Cass. n. 4324/1998, con cui si precisò che rimane irrilevante – ai fini della configurazione di detto illecito amministrativo – la circostanza che su quella stessa area sia stata rilasciata autorizzazione ad un diverso soggetto e che l’agente sia titolare di autorizzazione per l’esercizio di attività estrattiva in un’area diversa).

Bisogna, infine, rilevare l’ininfluenza in ordine all’accertata configurazione dell’illecito amministrativo in questione della portata della sentenza penale – passata in giudicato – del Tribunale di Parma n. 498/2003 (prodotta in atti), con la quale, a fronte della congiunta (possibile) rilevanza penale del fatto siccome concretante anche la violazione della L. n. 47 del 1985 e della conseguente contestazione del relativo reato, il predetto giudice non aveva pronunciato sul merito dell’illecito penale (da cui l’esclusione di ogni eventuale interferenza con il procedimento amministrativo sanzionatorio riguardante la violazione della L.R. n. 17 del 1991, art. 3, comma 1, e art. 22, comma 1), ma si era limitato alla sola verifica dell’avvenuta maturazione – poi ritenuta effettivamente sussistente – del termine di prescrizione, comportante l’estinzione del reato.

4. Alla stregua delle argomentazioni complessivamente svolte il ricorso deve, dunque, essere integralmente rigettato, con conseguente condanna delle soccombente ricorrenti al pagamento, in solido tra loro ed in favore del Comune controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano nei sensi di cui in dispositivo. Sussistono, inoltre, le condizioni per dare atto – ai sensi della L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 1, comma 17, che ha aggiunto al D.P.R. n. 115 del 2002, all’art. 13, il comma 1-quater – dell’obbligo di versamento, da parte delle stesse ricorrenti (sempre con vincolo solidale), dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione integralmente rigettata.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna le ricorrenti, in solido fra loro, al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 8.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre contributo forfettario al 15%, iva e cap nella misura e sulle voci come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte delle ricorrenti, con vincolo solidale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della VI-2 Sezione civile della Corte di cassazione, il 1 febbraio 2019.

Depositato in Cancelleria il 29 maggio 2019

©2024 misterlex.it - [email protected] - Privacy - P.I. 02029690472