LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE L
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CURZIO Pietro – Presidente –
Dott. DORONZO Adriana – Consigliere –
Dott. LEONE Margherita Maria – rel. Consigliere –
Dott. SPENA Francesca – Consigliere –
Dott. DE FELICE Alfonsina – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 7079-2018 proposto da:
R.A., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dagli avvocati DANTE STABILE, ANNA AMANTEA;
– ricorrente –
contro
INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE *****, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso la sede dell’AVVOCATURA dell’Istituto medesimo, rappresentato e difeso dagli avvocati CLEMENTINA PULLI, EMANUELA CAPANNOLO, MANUELA MASSA, NICOLA VALENTE;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 621/2017 della CORTE D’APPELLO di SALERNO, depositata il 30/08/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 06/02/2019 dal Consigliere Dott. I/LARGFIERITA MARIA LEONE.
RILEVATO
CHE:
La Corte di appello di Salerno con la sentenza n. 621/2017 aveva accolto l’appello proposto dall’Inps avverso la decisione con la quale il tribunale di Salerno aveva dichiarato illegittima la richiesta di restituzione avanzata dall’Istituto nei confronti delle somme erogate in favore di R.A..
La corte territoriale, premesso che la R. era titolare di assegno di invalidità civile attribuito dal comune di Salerno con provvedimento del 22.7.2003, successivamente revocato in data 1.7.2004 per il venir meno del requisito sanitario, e che il comune in data 15.11.2005 aveva comunicato all’Inps decreto di revoca della prestazione, mai impugnato dalla assistita, tutto ciò premesso, aveva rilevato l’applicabilità della prescrizione decennale all’indebito in questione e dunque la legittimità della pretesa di restituzione dell’Inps. La corte aveva poi chiarito che la produzione in sede di gravame del decreto di revoca della prestazione da parte del Comune non poteva ritenersi tardiva e che comunque la stessa era conseguente allegazione alle deduzioni già svolte in sede di relazione amministrativa allegata dall’istituto. Peraltro soggiungeva che i poteri del giudice nel rito del lavoro sono esercitabili anche in presenza di preclusioni e decadenze delle parti ove siano diretti a superare dubbi residuati dalle risultanze istruttorie acquisite in atti come, tra le altre circostanze, la consapevolezza che la ricorrente fosse a conoscenza delle ragioni dell’indebito, avendo prodotto la sentenza attributiva della prestazione poi revocata.
Avverso detta decisione R.A. aveva proposto ricorso affidato a tre motivi cui aveva resistito con controricorso l’Inps.
Veniva depositata proposta ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., ritualmente comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio.
CONSIDERATO
CHE:
1) Con il primo motivo è dedotta la violazione o falsa applicazione degli artt. 166,167,416,291 e 345 c.p.c. (ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.), per aver la corte territoriale erroneamente fatto riferimento alle eccezioni ed argomentazioni svolte dall’Inps in primo grado quando invece l’Istituto era rimasto contumace.
2) Con il secondo motivo è dedotta la nullità della sentenza e del procedimento per violazione dell’art. 291 c.p.c. (ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), per aver ritenuto costituito l’Inps in primo grado.
3) Con il terzo motivo è censurato l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, per non aver, la corte salernitana, considerato la contumacia dell’Inps in primo grado.
I motivi possono essere trattati congiuntamente in quanto attinenti, sotto i vari profili di vizi denunciati, alla medesima circostanza inerente alla contumacia dell’Inps in primo grado.
La corte di Salerno in sentenza ha erroneamente fatto riferimento alla presenza dell’Istituto nel giudizio di primo grado (rilevata infondatezza delle questioni della ricorrente), anche richiamando genericamente le stesse come riproposte in sede di gravame.
Peraltro ha fondato la decisione sulla carenza di prove da parte della assistita circa le condizioni necessarie a rilevare l’illegittimità dell’indebito (pg 7 sentenza). Si tratta quindi di errore sulla posizione processuale dell’Inps che non produce effetti negativi sulla decisione del giudice del gravame, essendo questa fondata su presupposto (carenza probatoria sulle condizioni utili a rappresentare l’irripetibilità dell’indebito) non inficiato dalla contumacia dell’Istituto.
Con riguardo alle eccezioni relative ai documenti allegati in sede di gravame quale il provvedimento di revoca della prestazione, deve osservarsi che il giudice del gravame, con valutazione di merito, ha ritenuto lo stesso connesso alla relazione amministrativa già acquisita e comunque acquisibile nell’esercizio dei poteri d’ufficio del giudice del lavoro, nei limiti delle prerogative allo stesso attribuite circa la ricerca della verità di fatto, sulla base degli elementi già in atti. La valutazione risulta coerente con i principi in più occasioni enunciati, a riguardo, da questa Corte, secondo cui “nel rito del lavoro, il giudice d’appello, nell’esercizio dei suoi poteri istruttori d’ufficio, in applicazione del precetto di cui all’art. 437 c.p.c., comma 2, deve acquisire e valutare i documenti esibiti nel corso del giudizio dall’appellato, sia pure non in contestualità con il deposito della memoria di costituzione, allorquando detti documenti siano indispensabili, perchè idonei a decidere in maniera definitiva la questione controversa tra le parti sulla ammissibilità del gravame” (Cass. n. 11994/2018; Cass. n. 17196/2018; Cass. n. 23382/2006).
I motivi devono quindi essere rigettati.
Sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
PQM
La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali liquidate in Euro 2.000,00 per compensi ed Euro 200,00 per esborsi oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, il 6 febbraio 2019.
Depositato in Cancelleria il 29 maggio 2019
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