LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –
Dott. SCALDAFERRI Andrea – Consigliere –
Dott. SAMBITO Maria Giovanna C. – Consigliere –
Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –
Dott. MARULLI Marco – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 8565-2018 proposto da:
S.O., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA TORINO 7, presso lo studio dell’avvocato LAURA BARBERIO, rappresentato e difeso dall’avvocato GIANLUCA VITALE;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO *****, in persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;
– controricorrente –
PUBBLICO -MINISTERO PRESSO LA CORTE DI CASSAZIONE;
– intimato –
avverso la sentenza n. 1704/2017 della CORTE D’APPELLO di TORINO, depositata il 27/07/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 11/09/2018 dal Consigliere Dott. MARCO MARULLI.
RITENUTO IN FATTO
1. Con il ricorso in atti si impugna l’unita sentenza con la quale la Corte d’Appello di Torino ha confermato il diniego di protezione internazionale ed umanitaria pronunciato nei confronti dell’odierno ricorrente dal giudice di primo grado e se ne chiede la cassazione avendo il giudicante 1) erroneamente ritenuto non credibili le dichiarazioni rese dal richiedente in sede istruttoria; 2) omesso di procedere all’audizione personale del medesimo; 3) escluso la sussistenza delle condizioni per accordare la protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. b), in presenza del rischio di un danno grave ascrivibile a soggetti non statuali; 4) revocato l’ammissione al gratuito patrocinio in applicazione del D.P.R. 3 maggio 2002, n. 115, art. 136, sul presupposto della ritenuta infondatezza della domanda di merito.
Al ricorso resiste l’amministrazione convenuta.
CONSIDERATO IN DIRITTO
2. Il ricorso non merita accoglimento.
3. Il primo motivo è affetto da pregiudiziale inammissibilità poichè postula la rinnovazione dell’apprezzamento di fatto operato dal decidente di merito che nel rispetto degli indicatori di genuinità elencati dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3,comma 5, è pervenuto alla formulazione dell’impugnato giudizio prognostico sul punto in considerazione della contraddittorietà e dell’incoerenza del racconto del richiedente (che avrebbe dichiarato prima di essere stato intimidito da agenti della società per cui lavorava poi di essere stato invece arrestato dalla polizia, prima di essere stato liberato per l’opera di uno zio poi di essersi sottratto ai controlli di polizia recandosi al funerale della sorella, prima di essere figlio unico e poi di essersi recato al funerale della sorella), non giustificate, alla luce dei criteri di valutazione individuale indicati dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 3, dall’allegato livello di bassa scolarità del richiedente, trattandosi di fatti che, come bene osserva il decidente, “non possono non essersi profondamente impressi nella sua memoria”.
4. Il secondo motivo è infondato poichè “nel procedimento, in grado d’appello, relativo ad una domanda di protezione internazionale, non è ravvisabile una violazione processuale sanzionabile a pena di nullità nell’omessa audizione personale del richiedente, atteso che il rinvio, contenuto nel D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35, comma 13, al precedente comma 10 che prevede l’obbligo di sentire le parti, non si configura come un incombente automatico e doveroso, ma come un diritto della parte di richiedere l’interrogatorio personale, cui si collega il potere officioso del giudice d’appello di valutarne la specifica rilevanza” (Cass., Sez. VI-I, 07/02/2018, n. 3003). Si tratta, per vero, di una scelta discrezionale che compete al giudice di merito operare in base alle concrete circostanze di causa e alla necessità di vagliarle anche alla luce delle dichiarazioni rese in sede di audizione personale.
5. il terzo motivo è inammissibile per difetto di conferenza con il decisum, avendo il decidente escluso la sussistenza nella specie delle condizione per accedere alla protezione sussidiaria a mente del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. b), sul rilievo della mancata dimostrazione dell’esistenza di un procedimento penale a suo carico, onde la censura – che, peraltro, incongruamente argomenta la fonte non statuale del rischio, sebbene, stando al racconto del richiedente, la minaccia avrebbe invece proprio questa provenienza (“ho saputo che hanno imprigionato mio zio e lo ora so che senza lo zio, se mi prendessero, mi metterebbero in carcere ed io non potrei più salvarmi”) – oltre ad essere estranea al dettato normativo – non essendo con essa dedotto il rischio di essere sottoposto ad un trattamento inumano e degradante -non si allinea propriamente con quanto deciso dal giudice d’appello.
6. Il quarto motivo è infondato, avendo il giudicante proceduto alla revoca sulla base non già dell’esito della lite, ma rettamente ravvisando la colpa grave nell’iniziativa processuale rilevando che “la non credibilità del richiedente appare evidente sin dalla immediata disamina delle dichiarazioni rese avanti alla Commissione”.
7. Il ricorso va dunque respinto con ovvio aggravio di spese.
8. Ricorrono le condizioni per l’applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater.
P.Q.M.
Respinge il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in Euro 2100,00, di cui Euro 100,00 per esborsi, oltre al 15% per spese generali e s.p.a.d..
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della VI-I sezione civile, il 11 settembre 2018.
Depositato in Cancelleria il 29 maggio 2019