Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.14601 del 29/05/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 3538-2017 proposto da:

***** SRL, in persona del Liquidatore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE GIUSEPPE MAZZINI 145, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE TEPEDINO, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato MARCO DE CRISTOFARO;

– ricorrente –

Contro

FALLIMENTO ***** SRL, in persona dei Curatori pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA FEDERICO CESI 72, presso lo studio dell’avvocato DOMENICO BONACCORSI DI PATTI, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato ANTONIO PINAMONTI;

– controricorrente –

Contro

TE.CO.ME. SRL, UNICREDIT LEASING SPA, B.M., V.E.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 2960/2016 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 27/12/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 22/02/2019 dal Cons. Relatore, Dott. Paola VELLA.

RILEVATO

che:

1. Con la sentenza impugnata, la Corte d’appello di Venezia ha rigettato il reclamo ex art. 18 L.Fall proposto dalla ***** s.r.l. avverso il decreto di risoluzione del concordato preventivo e la contestuale sentenza dichiarativa di fallimento pronunciati dal Tribunale di Padova, a seguito dell’istanza di revoca/decadenza ex art. 173 L.Fall. proposta in data 08/06/2016 dal creditore TE.CO.ME. s.r.l. (per grave inadempimento della debitrice agli obblighi assunti con la proposta di concordato omologata dal tribunale), nonchè dell’istanza di risoluzione ex artt. 137 e 186 L.Fall. proposta il 15/06/2016 da Unicredit Leasing s.p.a. e dell’analoga istanza depositata il 22/06/2016 dagli ex dipendenti B.M. ed V.E., i quali, dopo la riunione dei tre procedimenti, avevano instato anche per la declaratoria di fallimento della debitrice ***** s.r.l.

2. Avverso detta sentenza F.F., quale liquidatore volontario della ***** s.r.l., ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi, successivamente corredato da memoria, cui solo il Fallimento ***** s.r.l. ha resistito con controricorso, parimenti corredato da memoria, i restanti intimati non avendo svolto difese.

3. A seguito di deposito della proposta ex art. 380 bis c.p.c. è stata ritualmente fissata l’adunanza della Corte in camera di consiglio.

CONSIDERATO

che:

4. Con il primo motivo si deduce la violazione dell’art. 186 L.Fall., comma 3, “per avere la Corte d’appello rigettato l’eccezione di tardività delle domande di risoluzione del concordato preventivo ***** srl, ancorchè esse fossero state proposte in un momento ampiamente successivo alla scadenza del temine decadenziale acceleratorio di un anno previsto dalla norma de qua, il cui dies a quo avrebbe dovuto, in caso, farsi coincidere con il momento in cui i creditori ebbero a pervenire a conoscenza del definitivo inadempimento del piano concordatario da parte della debitrice”. Con il secondo mezzo si lamenta altresì l’omesso esame di un fatto decisivo, `per avere la Corte d’appello omesso di avvedersi che al momento della presentazione di tutti e tre i ricorsi per la risoluzione del concordato ***** srl da parte dei creditori il termine di un anno di cui all’art. 186, comma 3, L.Fall., era ampiamente scaduto per tutti e ciascuno di essi”.

5. In sintesi, la questione posta dal ricorrente è se il dies a quo del termine annuale per la proposizione della domanda di risoluzione del concordato preventivo, che l’art. 186 L.Fall., comma 3, fa decorrere “dalla scadenza del termine fissato per l’ultimo adempimento previsto dal concordato” – termine nel caso di specie pacificamente fissato al 31/12/2015 – possa essere anticipato al momento in cui “il venir meno di ogni possibilità di efficiente adempimento del piano emerga univocamente all’attenzione dei creditori.

6. La Corte d’appello ha osservato che la tesi divisata dal reclamante è “inevitabilmente destinata a infrangersi innanzi tutto sul rilievo che dalla relazione del liquidatore del novembre 2014 non si evince affatto alcuna valutazione dotata di irregolare certezza, quanto meno in relazione al soddisfo dei crediti muniti di prelazione” – trovandosi ivi affermato esclusivamente che a quella data “nessuna soddisfazione è presumibile per il ceto chirografario e (…)allo stato risulta incerta la soddisfazione per i creditori privilegiati e prededucibili” – e comunque, anche a voler aderire a detta tesi, “resterebbe l’incontrovertibile dato di fatto che gli ex dipendenti V. e B., titolari di un credito munito di privilegio ex art. 2751-bis c.c., n. 1), la cui soddisfazione viene definita dal liquidatore “incerta”, avrebbero dovuto essere soddisfatti entro 12 mesi dall’omologa (intervenuta il 26.2.2014) e tale termine era ancora pendente alla data della relazione del 5.11.2014". Di qui la conclusione che le iniziative volte alla risoluzione del concordato erano tutte tempestive, scadendo il termine di legge finale solo al 31/12/2016.

7. I motivi sono infondati, poichè la decisione impugnata non risulta in contrasto con i principi progressivamente elaborati da questa Corte, a partire dall’inequivocabile dato letterale dell’art. 186 L.Fall., comma 3.

7.1. In particolare, Cass. n. 27666/2011 ha affermato che solo qualora non sia indicata la scadenza dell’ultimo adempimento previsto dal concordato, il dies a quo del termine annuale “decorre dall’esaurimento delle operazioni di liquidazione, che si compiono non soltanto con la vendita dei beni, dell’imprenditore, nonchè con la predisposizione e comunicazione del piano di riparto, ma anche con gli effettivi pagamenti, compresi quelli conseguenti ad eventuali sopravvenienze attive”.

7.2. Tale principio è stato ribadito da Cass. n. 13446/2011, che -così accertata la tempestività dell’istanza di risoluzione – ai soli fini del riscontro delle condizioni per la risoluzione di un concordato omologato anteriormente alla riforma del 2005, afferma che “il concordato preventivo con cessione dei beni ai creditori deve essere risolto a norma dell’art. 186 L.Fall., qualora emerga che esso sia venuto meno alla sua funzione, in quanto, secondo il prudente apprezzamento del giudice del merito, le somme ricavabili dalla liquidazione dei beni ceduti si rivelino insufficienti, in base ad una ragionevole previsione, a soddisfare, anche in minima parte, i creditori chirografari e, integralmente, i creditori privilegiati”, ovvero quando venga accertata “l’obiettiva impossibilità sopravvenuta di attuare le condizioni minime previste dalla legge fallimentare”, senza che alcun rilievo possa assumete l’eventuale colpa del debitore.

7.3. Il suddetto criterio valutativo è stato ribadito da Cass. n. 4398/2015, in fattispecie in cui non era però in discussione la questione della tempestività o meno dell’istanza di risoluzione.

7.4. Cass. n. 22273/2017 ha invece ribadito il principio per cui “il termine per domandare la risoluzione del concordato preventivo, ai sensi dell’art. 186 L.Fall., comma 3, nel testo ratione temporis anteriore alle modifiche apportate all’istituto nell’art. 160 L.Fall., comma 4 e nell’art. 161 L.Fall., comma 2, a seguito del D.L. n. 83 del 2015 conv. con modif. dalla L. n. 132 del 2015, decorre dall’ultimo adempimento previsto nel concordato”, limitandosi ad aggiungere che esso “ha natura decadenziale e non processuale, poichè il dedotto inadempimento e la predetta domanda non sono eventi o atti interni alla procedura, che si chiude con l’omologazione”, e ciò al fine di escludere, per la ritenuta non pertinenza del richiamo all’art. 36-bis L.Fall., l’applicabilità della sospensione feriale dei termini processuali.

7.5. Infine, Cass. n. 18738/2018 ha ribadito, attualizzandolo, il principio per cui “il concordato preventivo deve essere risolto, a norma dell’art. 186 L.Fall., qualora emerga che esso sia venuto meno alla sua funzione di soddisfare i creditori nella misura promessa, a meno che l’inadempimento non abbia scarsa importanza, a prescindere da eventuali profili di colpa del debitore, non trattandosi di un contratto a prestazioni corrispettive ma di un istituto avente una natura negoziale contemperata da una disciplina che persegue interessi pubblicistici e conduce, all’esito dell’omologa, alla cristallizzazione di un accordo di natura complessa ove una delle parti (la massa dei creditori) ha consistenza composita e plurisoggettiva”, evidentemente enunciando un criterio diretto alla valutazione dei presupposti per la risoluzione, non già alla individuazione del dies a quo per la relativa domanda.

8. Alla luce della giurisprudenza di questa Corte deve quindi concludersi che è ben possibile accertare oggettivamente il venir meno della funzione del concordato – per l’impossibilità di soddisfare i creditori nella misura proposta ed omologata (sempre che non si tratti di inadempimento di scarsa importanza) – anche prima della scadenza del termine annuale stabilito dall’art. 186 L.Fall., comma 3 (contra debitorem), ma ciò non implica, nè consente, che il suddetto termine decadenziale di cui dispongono i creditori per far valere la risoluzione del concordato sia abbreviato (contra creditorem) rispetto ad un dato normativo chiaro e inequivocabile; obbiettivo, questo, perseguito con il ricorso in esame, in quanto finalizzato alla declaratoria di inammissibilità delle istanze di risoluzione proposte dai creditori proprio in ragione della loro pretesa tardività rispetto ad un dies a quo individuato contra legem.

9. Segue il rigetto del ricorso con condanna alle spese.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.000,00 per compensi, oltre a spese forfettarie nella misura del 15 per cento, esborsi liquidati in Euro 100,00 ed accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 22 febbraio 2019.

Depositato in Cancelleria il 29 maggio 2019

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