Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.14611 del 29/05/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Presidente –

Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – rel. Consigliere –

Dott. DI MARZIO Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 3095/2013 R.G. proposto da:

Agenzia delle Entrate, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n. 12.

– ricorrente –

contro

Ilcos s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avv. Lucia Vianello e dall’Avv. Alessandro Boienti, elettivamente domiciliata presso lo studio del primo, sito in Roma, Lungotevere Marzio, n. 1, giusta delega in calce al controricorso.

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia, n. 16/27/2012, depositata il 16 febbraio 2012.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 14 febbraio 2019 dal Consigliere Luigi D’Orazio.

RITENUTO IN FATTO

1. L’Agenzia delle entrate emetteva avviso di accertamento nei confronti della Ilcos s.r.l., per l’anno 2003, avendo determinato i ricavi derivanti dalla vendita di immobili da parte della società in misura superiore a quella risultante dai contratti di compravendita, sulla base del duplice rilievo relativo, da un lato, alla applicazione dei valori dell’Osservatorio del Mercato Immobiliare (OMI) dell’Agenzia del Territorio, e, dall’altro, in quanto gli acquirenti avevano ottenuto dalle banche mutui per importi di molto superiori al valore degli immobili acquistati.

2. La Commissione tributaria provinciale accoglieva il ricorso, in quanto dopo la L. comunitaria del 2008, che aveva annullato le modifiche legislative di cui al D.L. n. 223 del 2006, non esisteva più la presunzione legale relativa in favore dell’Ufficio, con la determinazione del valore degli immobili, secondo il criterio del loro “valore normale”.

3. La Commissione tributaria regionale rigettava l’appello proposto dalla Agenzia delle entrate, in quanto era verosimile che gli istituti di credito concedessero mutui di importo superiore al valore degli immobili da acquistare, dovendosi tenere conto anche della copertura di ulteriori costi, quali l’onorario del Notaio, le spese di registro, il compenso all’agente immobiliare ed altro.

4. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’Agenzia delle entrate.

5. La società ha resistito con controricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con un unico motivo di impugnazione l’Agenzia delle entrate deduce “Motivazione insufficiente, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5”, in quanto la Commissione regionale non ha tenuto conto dell’importo dei mutui concessi agli acquirenti dei beni, di valore di molto superiore a quello degli immobili. Infatti, in alcuni casi mentre il valore dell’immobile era di Euro 80.000,00, il mutuo era stato concesso per Euro 140.000,00 e, in altri casi, l’importo del mutuo era di circa il 50 % superiore a quello del bene (mutuo Euro 145.000 a fronte di un immobile del valore di Euro 100.000,00). L’importo del finanziamento, quindi, non è determinato dai bisogni del cliente della banca, ma in base al valore della stima del bene determinato a mezzo di apposita perizia di stima del bene svolta dalla banca in sede di istruttoria, sicchè l’istituto di credito iscrive ipoteca per l’importo del valore dell’immobile (ed in linea di massima per un importo leggermente inferiore), dovendo garantirsi per l’eventuale recupero delle somme versate. Peraltro, le spese paventate dalla Commissione regionale non sono state in alcun modo documentate.

1.1. Il motivo è fondato.

1.2. Invero, il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, comma 3, (lo stesso principio valeva per il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39), dopo il D.L. 223/2006, prevedeva che “per le cessioni aventi ad oggetto i beni immobili e relative pertinenze, la prova di cui al precedente periodo s’intende integrata anche se l’esistenza delle operazioni imponibili o l’inesattezza delle indicazioni di cui al comma 2, sono desunte sulla base del valore normale dei predetti beni, determinato ai sensi del presente decreto, art. 14”.

Sussisteva, quindi, una presunzione legale relativa di corrispondenza tra il valore normale dei beni immobili ceduti e quello reale.

1.3. Peraltro, la L. n. 244 del 2007, art. 1, comma 265, in vigore dal 1-1-2008, ha stabilito che le presunzioni legali relative, introdotte dal D.L. n. 223 del 2006, legate al valore normale, si applicavano soltanto per gli atti formati a decorrere dal 4-7-2006, mentre per gli atti formati anteriormente valevano, agli effetti tributari, come presunzioni semplici.

1.4. Quanto al merito della controversia, si è ritenuto che, a fondamento dell’accertamento da parte dell’Agenzia, è sufficiente anche il semplice scostamento tra l’importo del mutuo erogato ed il prezzo dichiarato nel contratto di compravendita, in quanto anche un solo fatto, se presenta i caratteri della gravità e della precisione, può essere idoneo a costituire la fonte della presunzione (Cass., 26485/2016; Cass., 9 giugno 2017, n. 14388).

Nella specie, come detto, la sproporzione tra il valore dell’importo dei mutui erogati ed il valore degli immobili indicati negli atti di compravendita risulta evidente, con una differenza del valore dei finanziamenti talora anche superiore al 50% del valore degli immobili, nè la Commissione regionale ha indicato se le spese ulteriori affrontate dagli acquirenti erano o meno documentate, dovendosi tenere conto anche che l’importo del mutuo erogato dalla banche, in genere, è coperto dal valore dell’immobile sul quale viene iscritta l’ipoteca, per consentire alla banca, in caso di mancata restituzione delle somme, di recuperale con l’azione esecutiva sull’immobile. Pertanto, l’accertamento non è avvenuto solo sulla base dello scostamento dei valori OMI, ma su dati specifici relativi ad importi erogati dall’istituto di credito di gran lunga superiori ai corrispettivi di acquisto, indicati negli atti di compravendita.

Nell’apprezzamento degli elementi presuntivi circa l’esistenza di corrispettivi maggiori di quelli dichiarati, desumibili dall’importo dei mutui concessi dalle banche (previa istruttoria) per l’acquisto dei medesimi immobili, importo di gran lunga superiore al prezzo di acquisto dichiarato negli atti di compravendita, il giudice del rinvio dovrà anche considerare che, secondo la Delib. 22 aprile 1995, del Comitato Interministeriale per il Credito ed il Risparmio “l’ammontare massimo dei finanziamenti di reddito fondiario è pari all’80 per cento del valore dei beni ipotecati. Tale percentuale può essere elevata fino al 100 per cento qualora vengano prestate garanzie integrative”. Analogamente la Circolare della Banca d’Italia n. ***** del 21 aprile 1999, Titolo V cap. 1, sez. II stabilisce che “Le banche possono concedere finanziamenti di credito fondiario per un ammontare massimo pari all’80 per cento del valore dei beni immobili ipotecati”.

2. La sentenza impugnata deve, quindi, essere cassata, con rinvio alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, in diversa composizione, anche per provvedere sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

In accoglimento del ricorso, cassa la sentenza impugnata, con rinvio alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, in diversa composizione, anche per provvedere sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 14 febbraio 2019.

Depositato in Cancelleria il 29 maggio 2019

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