Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.14641 del 29/05/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Presidente –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – rel. Consigliere –

Dott. CATALDI Michele – Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello M. – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 24529/2014 R.G. proposto da:

Agenzia delle Entrate, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n. 12;

– ricorrente –

contro

F.G.P.;

– intimato –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Lombardia n. 3202/14, depositata il 16 giugno 2014 e notificata in data 27/06/2014;

Udita la relazione del Consigliere D’Angiolella Rosita nella camera di consiglio dell’11 aprile 2019.

RITENUTO

che:

L’Agenzia delle entrate ha chiesto la cassazione della sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Lombardia (di seguito per brevità CTR) di cui in epigrafe, che aveva respinto il suo appello avverso la sentenza Commissione Tributaria Provinciale di Pavia.

Quest’ultima sentenza aveva accolto la domanda di definizione della lite fiscale, D.L. n. 98 del 2011 ex art. 39, comma 12, recante il n. rg. 1194/2009, definita dalla stessa Commissione provinciale di Pavia, con sentenza n. 51/02/2011, notificata in data 2/3/2011; l’Ufficio aveva respinto tale domanda di definizione con gli atti di “diniego della definizione della lite pendente” sul rilievo che la sentenza numero 51/02/11 era passata in giudicato prima del 5 luglio 2011, data di entrata in vigore del D.L. citato, art. 39.

F.G.P. non si è costituito, rimanendo intimato.

CONSIDERATO

che:

Con il primo ed unico motivo di ricorso l’Agenzia dell’entrate denuncia la violazione e falsa applicazione del D.L. n. 98 del 2011, art. 39, comma 12, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

La questione che si pone riguarda la legittimità degli avvisi di diniego di definizione della lite, D.L. cit. ex art. 39, in quanto fondati sul presupposto della mancanza del requisito della pendenza della lite, requisito che, secondo l’assunto dei secondi giudici, risulterebbe integrato dal fatto che la sentenza n. 51/02/2011 della CTP di Pavia è stata notificata all’Ufficio in data 2 marzo 2011, di talchè la lite era ancora pendente alla data del 1^ maggio 2011, data alla quale fa riferimento il testo del D.L. n. 98 del 2011, art. 39, comma 12, per indicare le liti definibili. Il presupposto giuridico da cui muove la CTR è “il carattere retroattivo della disposizione agevolativa che si deve intendere applicabile a tutte le controversie (di valore non superiore a 20.000 Euro) in cui è parte l’Agenzia che, come quella in esame, erano ancora pendenti alla data 1 maggio 2012”. Viceversa, l’Agenzia delle entrate sostiene che la sentenza della commissione tributaria provinciale di Pavia che ha definito la lite tra fisco e contribuente, recante il numero R.G. 11194/2009, poichè è stata notificata in data 2 marzo 2011, alla data del 5 luglio 2011, data di entrata in vigore dell’art. 39 cit., era passata in giudicato con conseguente definizione della vertenza, non più pendente.

La doglianza è fondata.

Il passaggio in giudicato della sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Pavia n. 51/02/2011, notificata il 2/3/2011, che aveva definito la lite fiscale avente ad oggetto l’impugnativa degli avvisi di accertamento per cui è sorta la lite, fa venir meno il requisito della “pendenza” della lite richiesto dalla norma in parola per l’accesso al condono fiscale.

Come affermato da questa Corte in fattispecie analoga alla presente “in tema di condizioni per l’accesso al condono fiscale, il requisito della pendenza della lite, pur ancorato temporalmente alla data del 1^ maggio 2011 dal D.L. n. 98 del 2011, art. 39, comma 12, conv. in L. n. 111 del 2011 (nella formulazione antecedente alle modificazioni apportate dal D.L. n. 216 del 2011, conv. in L. n. 14 del 2012), deve essere interpretato nel senso che la controversia di cui si chiede la definizione agevolata deve essere ancora pendente alla data del 6 luglio 2011, nella quale soltanto, invero, è entrato in vigore il detto D.L. n. 98 del 2011.” (cfr. Cass., sez. 6 – 5, Ordinanza n. 5969 del 12/03/2018, Rv. 647470-01, nella specie, in applicazione del principio è stata ritenuta non condonabile una lite che era stata definita con sentenza passata in giudicato nella data del 16 maggio 2011).

La giurisprudenza richiamata ha soggiunto che il D.L. cit., art. 39, comma 12, che pur ha rinviato, quanto alla determinazione delle somme dovute, alle disposizioni della L. n. 289 del 2002, art. 16, non ha riprodotto la disposizione di quel medesimo L. cit., art. 16, che ammettendo la definizione della liti pendenti al 1^ gennaio 2003 – data di entrata in vigore della legge – aveva espressamente stabilito che “si intende comunque pendente la lite per la quale alla data del 29 settembre 2002 non sia intervenuta sentenza passata in giudicato”, di modo che potesse, in deroga al principio di intangibilità del giudicato, considerarsi pendente quella controversia per la quale fosse intervenuto il giudicato nel periodo compreso tra il 29 settembre 2002 le data di entrata in vigore (1^ gennaio 2003) della L. n. 289 del 2002 (cfr., in termini, Cass. 23/06/2017 n. 15807, Cass. 13 gennaio 2017 n. 810; Cass. 5969 del 2018).

In altri termini, la norma citata non è retroattiva e pertanto il requisito della pendenza deve comunque sussistere alla data di entrata in vigore del D.L. n. 98 del 2011.

In applicazione di tali principi, non è condonabile, dunque, la “lite” oggetto di causa in quanto definita con sentenza passata in giudicato tra la data del 1.5.2011 e la data del 6 luglio 2011.

Il ricorso va dunque accolto e la sentenza impugnata cassata; non essendo necessari ulteriori accertamenti di merito, la causa può essere decisa ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2, rigettandosi il ricorso originario del contribuente.

Possono essere compensate tra le parti le spese dell’intero giudizio, stante la sopravvenienza, in pendenza del giudizio di legittimità, di specifica giurisprudenza di questa Corte in materia.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo del contribuente. Compensa tra le parti le spese dell’intero giudizio.

Così deciso in Roma, il 11 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 29 maggio 2019

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