LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –
Dott. MANZON Enrico – rel. Consigliere –
Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –
Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO Maria Giulia – Consigliere –
Dott. ANTEZZA Fabio – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 25638/2012 R.G. proposto da:
Agenzia delle dogane e dei Monopoli, in persona del Direttore pro tempore, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
N.E.A., rappresentato e difeso dall avv. Ester Perifano, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via dei Gracci n. 39;
– controricorrente e ricorrente incidentale condizionato –
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Campania n. 115/39/12 del 14 marzo 2012, depositata il 28 marzo 2012;
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 17 aprile 2019 dal Consigliere Manzon Enrico.
RILEVATO
che:
Con sentenza n. 115/39/12 del 14 marzo 2012, depositata il 28 marzo 2012 la Commissione tributaria regionale della Campania respingeva l’appello proposto dall’Agenzia delle dogane e dei monopoli, ufficio locale, nonchè quello incidentale proposto da N.E.A., avverso la sentenza n. 13/02/11 della Commissione tributaria provinciale di Benevento che aveva accolto il ricorso del N. contro l’avviso di intimazione di pagamento di accise su oli lubrificanti, illecitamente immessi in consumo dalla Axxon Chimica Italia s.r.l. durante il periodo in cui il ricorrente ne era stato amministratore.
La CTR osservava in particolare che:
– era infondato il primo motivo dell’appello principale dell’agenzia fiscale, dovendosi escludere la responsabilità del N. per l’obbligazione dedotta in lite sia perchè, a seguito delle modifiche introdotte al D.Lgs. n. 472 del 1997 con il D.L. n. 269 del 2003, la responsabilità per le sanzioni amministrative tributarie poteva essere ascritta soltanto alla società contribuente da questi rappresentata pro tempore, sia perchè, a maggior ragione, nemmeno gli si poteva attribuire la titolarità passiva dell’obbligazione di imposta, stante il generale principio civilistico-societario ex art. 2462 c.c., secondo il quale solo la società (con personalità giuridica) risponde per le obbligazioni sociali;
– che neppure era fondato il secondo motivo del gravame agenziale, poichè in virtù della Direttiva comunitaria n. 92/81 Cee, da considerarsi self executing, non era applicabile alcuna accisa nel caso di specie, trattandosi di oli minerali non utilizzati come carburanti o come combustibili per riscaldamento, sicchè la correlativa normativa impositrice nazionale doveva essere disapplicata.
Il giudice tributario di appello riteneva tali considerazioni assorbenti dell’appello incidentale del contribuente.
Avverso la decisione ha proposto ricorso per cassazione l’Agenzia delle dogane e dei monopoli deducendo un motivo unico.
Resiste con controricorso il contribuente che propone altresì ricorso incidentale condizionato.
CONSIDERATO
che:
Con l’unico motivo dedotto, articolato in due distinte censure – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – l’agenzia fiscale ricorrente denuncia la violazione del D.Lgs. n. 504 del 1995 (TUA), art. 2, e la falsa applicazione dell’art. 8, n. 1, lett. a) della Direttiva CEE 98/81 e dell’art. 3, n. 2, della Direttiva CEE 92/12. Lamenta, sotto il primo profilo, che la CTR non abbia considerato che N., quale amministratore di Axxon, era stato imputato del reato di illecita immissione in consumo degli oli minerali ed aveva patteggiato la pena, e che dunque rispondeva dell’obbligazione in via solidale con la società, ai sensi del TUA, art. 2, comma 4, quale soggetto nei cui confronti si erano verificati i presupposti per il pagamento dell’imposta; osserva, per altro verso, che, stante l’accertata commissione dell’illecito, il credito azionato non poteva ritenersi insussistente per un mal ravvisato contrasto con la direttiva unionale.
Il mezzo è infondato con riguardo alla seconda censura.
Va premesso che la pretesa creditoria erariale si fonda sul D.Lgs. n. 504 del 1995, art. 62, comma 1 – nella versione originaria vigente ratione temporis ed antecedente la sua abrogazione disposta con D.L. n. 452 del 2001 – che prevedeva la sottoposizione ad accisa degli oli lubrificanti “anche quando sono destinati, messi in vendita o impiegati, per usi diversi dalla combustione o carburazione”, essendo pacifico presupposto di fatto che la pretesa stessa riguarda immissioni in consumo di detti oli verificatesi prima dell’abrogazione di detta disposizione legislativa.
Correttamente tuttavia i due giudici del merito, con decisioni pienamente conformi, hanno disapplicato tale norma impositrice per la sua difformità dalla previsione della Direttiva 92/81/Cee relativa all’armonizzazione delle accise, quale vigente ratione temporis, il cui art. 8, par. 1, espressamente richiedeva agli Stati membri di esentare da accisa “.. a) gli oli minerali non utilizzati come carburanti o come combustibili per riscaldamento”.
Infatti, al tempo dei fatti di causa, il termine fissato per l’adeguamento (31 dicembre 1992, art. 10, comma 1) era ampiamente scaduto; nè può aversi dubbio che la Direttiva fosse fra quelle cd. self executing, stante il tenore preciso ed incondizionato della citata previsione esentativa, con la conseguenza che la norma interna evocata dall’agenzia fiscale ricorrente, pur formalmente vigente ratione temporis, non poteva essere applicata per la sua “incompatibilità” con la disposizione Euro unitaria (cfr. Cass., n. 3553 del 13/02/2009, Rv. 606709 – 01 ed ancor più nello specifico v. Corte di Giustizia del 10/06/1999, in causa C-346/97, Braathens Sverige, come pertinentemente richiamata da Cass. n. 7995 del 2019).
D’altro canto, ancorchè, come detto, successivamente sia stata disposta con il D.L. n. 452 del 2001, art. 6, l’abrogazione del TUA, art. 62, comma 1, nella versione originaria, tale “incompatibilità” è stata comunque sancita dalla Corte di giustizia UE con sentenza del 25 settembre 2003, Commissione vs Italia, C-437/01, la cui efficacia deve ritenersi estesa al presente contenzioso, in quanto afferente ad un rapporto ancora “non esaurito” (cfr. in questo senso ancora la recente Cass. n. 7995 del 2019).
Deve quindi affermarsi che la pretesa azionata con l’atto impositivo impugnato è del tutto priva di un titolo giuridico che la fondi.
Nè può accedersi alla tesi dell’Agenzia delle dogane e dei monopoli secondo la quale l’evocata direttiva comunitaria non risulterebbe applicabile nel caso di specie, stante l'”irregolare immissione in consumo” degli oli minerali, posto che una tale “riserva” (condizione) non risulta affatto apposta nella previsione esentatrice della direttiva medesima, parendo piuttosto l’esenzione configurata in termini meramente oggettivi, ossia con esclusivo riferimento alla tipologia del prodotto in questione.
Le considerazioni che precedono risultano pregiudiziali ed assorbenti rispetto al primo profilo di articolazione del motivo, posto che, accertata l’insussistenza dell’obbligazione tributaria, è evidente che non vi è più ragione di discussione intorno alla questione, colta appunto con tale profilo della censura, della estensione della titolarità passiva dell’obbligazione stessa al N., derivandone altresì l’assorbimento del suo ricorso incidentale condizionato.
In conclusione, il ricorso va rigettato.
Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna l’agenzia fiscale ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 5.600 oltre 15% per contributo spese generali ed accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 17 aprile 2019.
Depositato in Cancelleria il 29 maggio 2019